DNA: il miglior
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Odette Misa Sonia
Hassan
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Era biotecnologica, organismi geneticamente modificati, DNA
ricombinante e infine mappatura del genoma umano: sono termini che nei
mass media amplificano non solo le nostre conoscenze, ma anche le
nostre apprensioni e le nostre speranze. Nel 1953, quando sulla
rivista “Nature” sono stati descritti la struttura a doppia elica
del DNA e il suo meccanismo di replicazione, era difficile immaginare
lo sviluppo vertiginoso di queste conoscenze. La genetica si è
trasformata ben presto in genetica molecolare e negli anni ’80 in
biotecnologia, grazie anche all’evolersi del supporto informatico.

Oggi l’ingegneria genetica
ha definizione giuridica e finalità precise: l'inserzione di
molecole, di qualunque provenienza, che una volta acquisite possono
propagarsi indefinitivamente, per indurre nei microrganismi la sintesi
di proteine come l’insulina, l’interferone, l’ormone somatotropo,
l’eritropoietina, l’attivatore tessutale del plasmogeno e i
vaccini; la creazione di animali a supporto della medicina e della
chirurgia; di corregere difetti genetici; la produzione di piante e
animali con caratteristiche tali da massimizzarne la
commercializzazione e la qualità.
Accettare che geni vengano scambiati fra organismi di specie e regni
diversi (animale e vegetale) non sembra solo un problema scientifico
ma anche etico e sociale: le opportunità offerte dall’ingegneria
genetica sono grandissime ma presentano anche enormi incognite. La
cura del diabete, dell’infarto, della trombosi e dell’ictus sono
possibili grazie a sostanze e farmaci ottenuti mediante l’ingegnerizzazione
di ceppi batterici o di animali. I vaccini ricombinanti – ottenuti
con i lieviti - contengono solo la proteina virale che induce la
risposta anticorpale protettiva senza altre frazioni virali pericolose
(vedi vaccino per l’epatite B).
Gli stessi animali da laboratorio nella loro quasi totalità sono
transgenici, e consentono la creazione di modelli animali per lo
studio delle patologie umane e della cancerogenesi, rendendo possibile
la terapia genica. Tuttavia, si osserva, il materiale con potenziale
di alterazione potrebbe essere rilasciato nell’ambiente trasmettendo
caratteri fenotipici o meno a organismi non manipolati. Ciò che
inquieta è soprattutto l’ingegnerizzazione degli alimenti al fine
di produrre vaccini in vegetali transgenici (banane, pomodoro e soia )
commissionati a produrre proteine virali o batteriche immunizzanti verso specifiche malattie degli uomini e degli
animali (come la poliomelite).
A fronte di tali benefici, il vantaggio delle biotecnologie
potrebbe essere effimero, e sedimentare un danno nei tempi lunghi.
Timori che si trasformano in allarme sociale diffuso nel caso degli
alimenti transgenici. Si
trascura però che alcuni bioinsetticidi, ad esempio quelli prodotti
dal mais, sono usati con successo dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità e senza grandi contestazioni nella lotta biologica contro
insetti che trasmettono gravi malattie infettive e infestive dell’uomo
(malaria e oncocerchiasi).
In molti campi dunque occorrerebbe più chiarezza, e purtroppo la
legislazione europea non è percepita come un’efficace tutela della
sicurezza e della salute pubblica. A fronte di investimenti sempre più
consistenti, poco si parla ad esempio della regolamentazione
dell’animale transgenico (le tabelle statistiche comunitarie non
contemplano neanche l’aggettivo ). La stessa recente normativa
sull’ identificazione in etichetta degli alimenti transgenici ha
suscitato critiche essendo circoscritta solo agli alimenti in cui
l’elemento transgenico e’ ancora presente (dunque non nell’olio
di soia o di mais modificato dove
il gene mutato non permane) e nella misura dell’1%. Ed il
fatto che questi controlli siano possibili solo in Europa, ma non sui
prodotti provenienti
dall’America o dai paesi in via di sviluppo, rischia di vanificare
le buone intenzioni dei legislatori. Una responsabilità particolare
hanno i mass media a cui spetta il compito di garantire un'efficace
comunicazione tra gli scienziati e i consumatori.
Perché i risultati della tecnologia del DNA ricombinante appaiono
necessariamente più pericolosi di quelli ottenuti con le tradizionali
tecniche di mutagenesi (radiazioni ionizzanti e composti chimici
mutageni)? La questione investe sia chi ha fame e si attende raccolti
abbondanti, cioé i paesi in via di sviluppo, sia chi si preoccupa per
la sicurezza e la salute pubbliche. Due diritti, per altro
complementari, che sollecitano a coniugare meglio informazione,
sicurezza, benessere e libertà. L’annuncio a sorpresa del
commissario europeo per l’ambiente circa l’illegalità
della moratoria che proibisce la vendita di cibi transgenici nei paesi
dell’Unione europea sembra indicare una direzione definita. In nome
dell’impossibilità di “bloccare il progresso della tecnologia”
si sollecitano gli Stati ad aprire i loro mercati a questi nuovi
prodotti. Non è difficile prevedere nuove polemiche.
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