Letti
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Alberto Ronchey
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Questo
articolo è apparso sul Corriere della
Sera del 13 luglio
Conclusi gli esami di Stato nelle scuole italiane, la moltitudine dei
promossi sarà dinanzi alla scelta degli studi ulteriori. Finora, in
Italia solo il 16 per cento della popolazione universitaria si laurea
nelle discipline scientifiche, in Francia il 31, in Germania il 38. È
incredibile che ancora sia così poco diffusa, tra noi, la
considerazione per le sconfinate prospettive del sapere scientifico
dopo le accelerate scoperte sui fronti avanzati della ricerca negli
ultimi decenni. Basta ricordare due soli esempi, le avventure della
genetica e dell’elettronica. Per la comune cultura, le prime
avvisaglie pubbliche del mondo nuovo annunciato dalla biogenetica
risalgono a quell’avvincente cronaca divulgativa delle ricerche sul
Dna, ´La doppia elicaª di James Watson e Francis Crick, premiati con
il Nobel 1962. Era già prevedibile, allora, l’impresa compiuta poi
con la mappatura del genoma. La ricerca successiva non potrà che
rivoluzionare la medicina diagnostica, la farmacologia, la sociologia
con l’ulteriore longevità di massa e dunque la sfera
dell’economia politica, oltreché la stessa concezione del vivente
umano e non umano.
Eppure, anche se l’Italia dal principio aderì al progetto
internazionale di ricerca sul genoma, il finanziamento pubblico fu
interrotto nel ’95. Qualcuno dovrebbe spiegare perché. Certo in
Italia, come testimonia Umberto Veronesi, gruppi di ricercatori hanno
continuato a scoprire geni e a studiarne le funzioni malgrado la
scarsità delle risorse disponibili. Ora, per la ricerca postgenomica,
un inquieto risveglio appare manifesto in quello stesso progetto
governativo che annuncia la ´Scuola superiore di medicina molecolareª
a partecipazione pubblica e privata, con un dignitoso ausilio a
scienziati come il Nobel Renato Dulbecco.
Da ricordare poi la diffusa incuranza, o incredula accoglienza,
concessa in Italia sul principio all’annuncio dell’era informatica
e alla potenzialità del computer, in seguito strumento decisivo per
il progresso d’ogni scienza. Invano si leggeva su Encounter
negli anni ’60, per esempio, che l’intelligenza umana
presto avrebbe acquisito ´poteri sempre più estesi, usando il
computer come prolungamento delle facoltà di calcolo e memoria,
giudizio e comunicazione globalizzataª. Eppure, il computer allora
funzionava solo sul transistor, diffuso dai laboratori Bell del New
Jersey nel ’47. Il microprocessore, con la moltiplicazione
accelerata dei bit, doveva nascere solo nel ’70 all’Intel, in
quella nursery dell’alta tecnologia che nel ’71 fu denominata
Silicon Valley.
Ora, se tanti lavorano in Italia sul computer quando non divagano
sulle chat-lines, pochi sanno come l’elettronica funziona e perché.
Introdursi magari a caso nei meandri del sistema Internet sì, ma
studiare a fondo l’elettronica no? Tutto questo può somigliare alla
scena elementare del bambino in bicicletta che grida: ´Guarda, mamma,
vado senza maniª. E poi cade sul primo inciampo. Qualche avviso utile
sarebbe anche necessario per quanti, non avendo letto e studiato mai
quasi niente, non sanno che cosa chiedere con precisione all’oracolo
Internet.
Ma ritornando alla questione iniziale, ossia la scarsità in Italia
dei laureati nelle discipline scientifiche, l’increscioso fenomeno
è spiegabile non solo risalendo a certi connotati della comune
cultura convenzionale, ma spesso alle scarse disponibilità
d’impiego nei laboratori pubblici e privati. Oggi, per esempio, il
Cnr può dedicare alla ricerca biogenetica meno di 2 miliardi
l’anno. Per tutta la ricerca scientifica in Italia, come ha
segnalato il governatore Fazio, s’investe l’1,03 per cento del Pil,
contro il 2,32 della Germania, il 2,2 della Francia, il 2,77 degli
Usa, il 2,91 del Giappone. Partiti, governi, legislatori e pubblici
ammonitori disputano su tutto ma non sulla vitale questione, mentre si
annuncia una gravosa ipoteca sul futuro e il mondo nuovo può caderci
addosso.
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