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"Meno scoop, più soldi alla ricerca"

 

Edoardo Boncinelli con Paola Casella

 

   

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Quali sono le nuove frontiere della genetica?

Oggi come oggi abbiamo trovato la causa e siamo in grado di diagnosticare molte malattie ereditarie monofattoriali, quelle cioé che dipendono da un gene, ma non tutte, quindi il prossimo obbiettivo è finire questo inventario.  Obbiettivo numero due è scoprire quali sono i geni responsabili delle malattie multifattoriali, cioé quelle che non dipendono da un solo gene. Obbiettivo numero tre, sono pronto a scommetterci, sarà trovare la maniera di sconfiggere i tumori, che attualmente non sono eliminabili, sono l'altra faccia della vita, e diventeranno sempre più importanti via via che la vita si allunga.

Che cosa significa aver completato la mappatura del genoma?

E' come aver comprato un'enciclopedia.  Adesso bisogna leggerla voce per voce, e ci vorrà un bel po' di ingegno per trovare il modo di farlo. 

La sorprende l'accelerazione che ha subito negli ultimi anni la ricerca scientifica in materia di genetica?

Sorprendermi no, perché sono uno che non si sorprende di nulla. Ma se mi guardo indietro riconosco che 15 anni fa tutto questo non sarebbe stato concepibile.

Nel concreto, quali sono i vantaggi reali della ricerca genetica e quali quelli immaginari?

Non ho mai sentito fare una previsione che fosse campata in aria. E' tutto reale, il problema è quanto tempo ci vuole per arrivarci. Le previsioni, quando sono sbagliate, lo sono semmai per difetto: ne vedremo di più di quante ne possiamo immaginare.  Però bisogna metterci il fattore tempo: almeno una ventina d'anni per un bel numero di cose, secoli per altre.

Quali sono invece gli svantaggi?

Io sono ottimista per natura per quanto riguarda le cose del mondo.  Per cui svantaggi non ne vedo, fermo restando che l'uomo può usare tutto per il bene o per il male.  Non mi illudo che gli uomini diventeranno più buoni, nè più felici.  Ma il benessere materiale certamente aumenterà: è già aumentato molto, ma siccome la gente continua ad essere infelice esattamente come nel Medioevo, non se ne rende conto e se la piglia con la scienza.

Di recente si è fatto un gran parlare della sua scoperta del cosiddetto "gene del pensiero".

La definizione di "gene del pensiero" è un'invenzione di giornalisti dotati di scarsa inventiva e ancor minore buona fede.  Ecco quel che c'è di vero:  noi pensiamo con la corteccia cerebrale, che è ciò che ci distingue da tutti gli animali.  Per funzionare, la corteccia cerebrale dev'essere divisa in aree, che nel caso degli esseri umani sono più di 50.  Questa suddivisione è fondamentale per il funzionamento del cervello: le aree posteriori processano i segnali visivi, grazie alle aree centrali sinistre siamo in grado di parlare, ci muoviamo con le aree centrali e pensiamo con le aree anteriori.  E' abbastanza ovvio porsi la domanda: chi divide la corteccia in queste aree?   Abbiamo individuato un gene, al quale seguiranno molti altri, che comincia a dividere la corteccia in aree funzionali.  Certo, se questo gene non funziona bene, di pensiero non se ne parla. Ma ciò non significa che quel gene possa da solo determinare il pensiero. Sarebbe troppo comodo.

C'è però chi ha vissuto male l'idea che la facoltà di pensiero dipenda direttamente dalla genetica.

E' la paura di chi è schiavo delle chiacchiere: sono loro i veri clonati. In realtà, per il 98% delle persone, nulla di ciò che costituisce il patrimonio genetico è determinante.  Purtroppo esiste un 2% a cui la mutazione particolarmente fetente di un gene particolarmente importante pone seri limiti.  Nel loro caso purtroppo si verifica quello che io chiamo un diritto di veto.  In tutti gli altri casi i geni non determinano nulla, ma mettono semplicemente in condizione di diventare o meno qualcosa. Sta poi al singolo individuo studiare l'italiano o il francese, la matematica o il greco, allenarsi o no.  Solo per una percentuale bassa e sempre in diminuzione di persone i geni hanno un potere diretto.

Quali sono le implicazioni etiche e culturali delle recenti scoperte in campo genetico?

L'etica, a dire il vero, non ho mai capito cosa sia. Secondo me è come il sesso: si fa, non si dice. Quanto alle implicazioni culturali, non sappiamo quasi nulla di noi, ma adesso grazie al genoma possiamo guardarci dentro, e questo ci incuriosisce tremendamente.  Nel corso dei prossimi vent'anni ne vedremo delle belle.

Sente la necessità di un controllo sociale rispetto alla ricerca scientifica?

Naturalmente ci vuole controllo: i malandrini sono dappertutto. La stessa necessità però esiste in qualsiasi settore.  E non è che perché si controllano i cibi transgenici si debba smettere di controllare gli altri cibi: i transgenici non c'entravano nulla con la mucca pazza, il vino al metanolo, il bestiame alla diossina.
  
Come si esplica il controllo sociale?

Controllando non la scienza, ma le sue applicazioni, e stabilendo: "Questo non si fa, questo si fa solo in certi casi, questo si fa liberamente".  Sono decisioni politiche che mi auguro diventino sempre più collettive.  Bisogna rendere la piattaforma decisionale più ampia, come succede in Danimarca, dove il comitato di bioetica nazionale decide promuovendo la discussione fra tutti i cittadini. In generale comunque si può parlare di controllo a valle, ma non di strangolamento a monte.

Ha l'impressione che in Italia si verifichi uno strangolamento a monte?

Ancora no.  Ma ad esempio in Italia la clonazione, che consente di replicare il gene di un organismo per studiarlo a fondo, è proibita.  Per ora non la usa nessuno, quindi si tratta di una proibizione solo virtuale, ma se un domani la clonazione dovesse venire utile, sarebbe una stupidaggine non servirsene. 

Secondo lei si sta parlando troppo di genetica?

Più che altro, c'è troppo "scoopismo".  Se ogni scoperta scientifica viene definita fondamentale, e non lo è nemmeno per me che sono uno scienziato, la gente si chiede: "Questi scoprono, scoprono, come mai allora noi continuiamo a morire?"  Che si parli di genetica però è quasi inevitabile. Sarebbe importante però che se ne parlasse di più nelle scuole, perché quello che si impara a 15 anni non si dimentica più. Purtroppo i professori appartengono a due categorie: quelli che se ne fregano e gli zelanti, e non so quale dei due sia peggio.

C'è il rischio che tutto questo chiasso porti a una ribellione contro la scienza?

Il rischio di una sollevazione irrazionale contro la scienza esiste sempre. E se accadesse non ci rimetterebbe solo la biotecnologia, ma la democrazia in generale.  Non è detto che non succeda, perché i nemici della scienza si alleano spesso.

Chi sono oggi i nemici della scienza?

Quelli che io definisco gli aprioristi, e ce ne sono tanti, di tutte le confezioni: religiosi, psicanalisti, guaritori, filosofi, omeopati, metafisici. Tutti coloro i quali hanno l'anima del Dottor Azzeccagarbugli, che possono cioé argomentare tutto, mentre per la scienza alcune cose sono così e basta.  Questo agli aprioristi non piace: non si arrendono, e forse vinceranno loro. Devo dire che anche da parte di certi scienziati c'è un atteggiamento arrogante che risulta un po' irritante: è un problema di mancanza di cultura, di immaturità. Alcuni adoperano troppo il cervello, e il resto non cresce.

Vuole fare dei nomi?

Già, così domani mi trovate appeso all'albero.

E' difficile per un ricercatore rimanere in Italia?

Alla mia età, mi riesce facilissimo.  Io poi non sono mai andato a fare ricerca all'estero, e questa è stata la mia fortuna, perché non ho avuto lo choc del rientro.  Qui ci impediscono tutto e non ci danno soldi. I cervelli italiani non si mettono a fare ricerca, per poi morire di fame: vanno a fare economia o ingegneria, perché devono mantenere la famiglia.  In Italia c'è una crisi globale di vocazione scientifica, dovuta anche al consumismo sempre più imperante.  Forse all'estero alcuni ricercatori danno meno importanza ai soldi: basta vedere come vanno vestiti. In Italia la ricerca è vista come un secondo, terzo o quarto lavoro.  E invece questo è un mestiere che va fatto con passione, perché si guadagna poco, e le soddisfazioni sono rarissime. 

Anche in Italia è il capitale privato a finanziare la ricerca scientifica?

Più che di capitale privato, parlerei delle tasche della gente. E non vedo nessun segno che stia cambiando qualcosa. Da noi della ricerca scientifica non gliene frega nulla a nessuno.  Compriamo tutto dall'estero, anche i brevetti: per rendersene conto, basta aprire il frigorifero.

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