Questo articolo è apparso
su La Stampa (www.lastampa.it) del 13 novembre
Norberto Bobbio ha rilasciato a Pietrangelo Buttafuoco, che l'ha pubblicata su Il
Foglio di ieri, un'intervista sul proprio fascismo giovanile. Pare che qualcuno lo avesse
sconsigliato. Credo che Bobbio abbia invece fatto bene a dire ciò che aveva nel cuore e
nella mente.
In quella che il giornale presenta come "la serena confessione di Norberto
Bobbio", il maestro torinese dice, in sintesi, questo: quando "i miei amici, da
Leone Ginzburg a Vittorio Foa", avevano fatto una precisa scelta antifascista, che
pagarono duramente, io restavo "immerso nella doppiezza", dominato dalla
passione per gli studi e dalle esigenze della carriera universitaria, muovendomi tra i
fascisti e gli antifascisti, in uno stato di "sdoppiamento". E, dopo la caduta
del fascismo, subentrò in me un bisogno profondo di rimozione per un senso di vergogna di
fronte a me stesso e a coloro che avevano patito il carcere e anche perduto la vita.
Altri, e Bobbio menziona Giorgio Bocca, avevano parlato "tranquillamente" e
per tempo del loro fascismo che aveva preceduto il passaggio all'antifascismo. Il filosofo
torinese, per contro, è rimasto a lungo dominato da un paralizzante imbarazzo. E quando,
alcuni anni or sono, venne alla luce una lettera del giovane Bobbio a Mussolini, ciò fu
un'occasione di festa per tanti a cui non pareva vero di avere finalmente modo di mettere
in discussione la figura di un esponente tanto rispettato della cultura antifascista (che,
voglio ricordare, dopo gli anni della "doppiezza" aveva preso il suo posto nelle
file dell'antifascismo e della Resistenza).
Orbene, veniamo al dunque. Sì, Bobbio non è stato all'altezza di quei suoi amici che
hanno avuto la giovinezza spezzata dal fascismo. Egli lo ha sempre saputo. E per questo li
ha celebrati, sapendo che essi erano anche la misura delle debolezze di quanti non erano
stati al pari di loro.
Bobbio non è stato Gobetti o Ginzburg. E' stato un giovane studioso che ha vissuto e
pagato il prezzo delle contraddizioni e delle ambiguità che il fascismo generava,
obbligando alla dura scelta tra il conformarsi e il ribellarsi apertamente, ma che ad un
certo punto si è anche lui sollevato. La sua vocazione era quella degli studi e, nel
perseguirli, come nell'intervista ha ricordato, non si è in nessun momento piegato alla
cultura di regime. E per questa via è andato avanti sino a fare di sé il maestro che
ammiriamo.
Buttafuoco tira le fila della sua intervista, dicendo che "non è mai troppo tardi
per chiudere gli ultimi fuochi del dopoguerra". Non ha capito. Parlando delle sue
debolezze, Bobbio ha esaltato quelli che non le hanno condivise. Egli non ha dato il suo
contributo a spegnere i fuochi. Li ha mantenuti accesi. Non bisogna confondere il doveroso
sentimento della pietas verso i contrasti di un passato che ancora addolora con il calare
dell'ombra che tutto pareggia.