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Se il coraggio cancella la rimozione

Giovanni De Luna


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Questo articolo è apparso su La Stampa (www.lastampa.it) del 13 novembre

E' da almeno dieci anni che Bobbio torna con assiduità sui suoi trascorsi fascisti. Già nell'intervista pubblicata nel 1989 su Nuova Antologia (curata da Arturo Colombo) si era espresso con la massima chiarezza: "Sono stato iscritto ai Guf anch'io, come tanti altri; e dal Guf sono passato ad avere la tessera. E l'ho sempre conservata, anche quando mi hanno arrestato nel 1935... Non ho mai sentito come una contraddizione, per quanto mi sia stato rimproverato, l'aver conservata la tessera, pur non essendo mai stato in coscienza un fascista. Praticavamo quel comportamento che veniva chiamato nicodemismo, per cui l'aver la tessera era un obbligo puramente esterno, non in coscienza".

Commentando la sua "supplica" al Duce - pubblicata nel 1992 - il contesto della sua iscrizione al PNF si era arricchito di altri particolari, brandelli di un'esistenza giovanile in cui spiccava anche il brillante exploit come autore teatrale della rivista "Gonne e colonne".

Nell'intervista a Pietrangelo Buttafuoco, Bobbio ripercorre quasi alla lettera molti di questi passaggi già noti, svuotando dall'interno ogni enfasi sulla rottura di una reticenza che non c'era mai stata. Solo in un punto il suo racconto quasi si interrompe, la memoria cessa di trasformarsi in ricordo lasciando affiorare una sensazione lancinante, dolorosa: "È stata una catastrofe tale la fine del fascismo che alla fine noi abbiamo dimenticato, anzi abbiamo rimosso. L'abbiamo rimosso perché ce ne vergognavamo". Scandito, sillabato, ripetuto, quel grido si trasforma in un'appassionata testimonianza a futura memoria.

Le generazioni cresciute dopo la caduta del fascismo hanno misurato la loro opposizione al sistema politico dominante su una pluralità di registri morali: indignazione, rabbia, forse odio; almeno, essere a sinistra per tutti gli anni '50 e '60 voleva dire essere radicalmente e visceralmente contro la DC. Ma la vergogna? Quella è una sensazione che può nascere solo dallo scandalo del totalitarismo! Solo il fascismo in Italia ha operato consapevolmente e lucidamente quella corruzione delle coscienze che induce gli individui a vergognarsi delle proprie scelte, a ragionare esclusivamente in termini di abiure e di confessioni.

Dalla collera, dallo sdegno, possono scaturire gli incubi della violenza, ma anche lo slancio per una intensa partecipazione politica e per l'impegno civile. Dalla vergogna nascono solo le macerie dell'indifferenza e del qualunquismo. Fu questo il grande scandalo dell'Italia del dopoguerra: la vergogna collettiva si trasformò in rimozione collettiva e il fascismo fu archiviato e rinchiuso in una gigantesca parentesi. Rifiutando di fare i conti fino in fondo con quell'esperienza, con i suoi contorni morali e esistenziali oltre che con quelli politici, l'Italia si consegnò ai percorsi obbligati di una continuità che si rispecchia anche nella situazione attuale.

Oggi Bobbio ha il coraggio di rispolverare una parola desueta; nella sua testimonianza, la vergogna cessa di essere soltanto la premessa del disimpegno e dell'inganno per indicare la strada di un indissolubile intreccio tra integrità morale e democrazia.

 

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