Questo articolo è apparso
su La Stampa (www.lastampa.it) del 14 novembre
Vittima di una sorta di Inquisizione, o autore di un racconto autobiografico di grande
onestà? Sono alcune delle reazioni, da Lerner a Montanelli, dall'Unità al Giornale,
sollevate dall'intervista di Norberto Bobbio a Pietrangelo Buttafuoco del Foglio, sui suoi
trascorsi giovanili fascisti. A pagina 20 il resoconto del dibattito. Qui di seguito la
replica del filosofo ai suoi interlocutori.
Norberto Bobbio: E' stata una intervista diversa dal solito. In quella che Giancarlo
Bosetti chiama la mia "diplomazia del dialogo" non mi era mai capitato di
dialogare con un giovane colto e convinto delle sue idee, appartenente a quella che noi
chiamiamo "l'altra Italia", e che mi era stato segnalato come un fascista e un
provocatore da cui dovevo stare in guardia. Mi ero disposto a rispondere a domande
impertinenti. Così non è stato. Siccome mi aveva chiesto di raccontare del mio passato
di giovane fascista mi ha lasciato parlare. Ho parlato quasi sempre io. Naturalmente gli
piaceva quello che stavo dicendo. Gli raccontavo proprio quello che voleva sapere, e che
io, pur avendo parlato non so quante volte dei miei anni giovanili, non avevo ancora mai
detto così esplicitamente.
L'unico punto su cui la conversazione si è, forse per colpa mia, inceppata, riguarda
l'idea che il mio interlocutore si era fatta dell'importanza che i fascisti diventati
antifascisti avevano avuto nella fondazione della nuova Italia. E' una idea sbagliata.
Addussi come prova del contrario rapidamente il nome di Valiani. Al telefono, dopo aver
letto il testo dell'intervista che mi aveva inviato per fax, aggiunsi che i primi
fondatori della democrazia in Italia erano stati i vecchi antifascisti come Nenni,
Saragat, De Gasperi. Avrei potuto aggiungere altri nomi. Se l'abbia convinto, non lo so.
A un commentatore dell'intervista non è piaciuto che io dicessi e ripetessi in tono
esasperato che io avevo rimosso il mio fascismo perché me ne vergognavo. Eppure è
proprio così. Ho una certa tendenza, l'ho già anche scritto in pagine autobiografiche, a
comportarmi da punitore di me stesso. Il castigo non come sofferenza inflitta al
colpevole, ma come atto di liberazione. Purtroppo delle due possibili interpretazioni del
mio stato d'animo di allora, la doppiezza e lo sdoppiamento, è stato messo in particolare
rilievo il primo, come ha fatto con malizia il giornale che ha ospitato l'intervista
annunciandola nella prima pagina. Un infortunio prevedibile.
Per finire, non avevo nessuna intenzione, raccontando le mie vicende di allora e nel
dare un giudizio sul fascismo e su altri eventi scabrosi, di "chiudere gli ultimi
fuochi del dopoguerra". Da parte mia, li ho già chiusi da un pezzo. Non so quante
volte ho scritto che occorreva andare al di là dell'antifascismo e dell'anticomunismo.
Pervicace e petulante è, semmai, ancora soltanto quest'ultimo.