Questo
articolo è apparso su Il Foglio (www.ilfoglio.it)
del 12 novembre.
"Un giorno Giorgio Pisanò, incontrando Vittorio Foa, gli disse:
'Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano'.
Foa gli rispose: 'E' vero abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi
vinto tu io sarei ancora in carcere'. Ecco, ci rifletta. Ci rifletta un istante".
Riflettiamo. Norberto Bobbio scruta ancora un po' l'interlocutore e poi
si lascia avvolgere dalla penombra che comincia a velare il suo studio. Se ne va via
facendosi scivolare alle spalle la scia della sua gravosa autorità. Quando ancora il
pomeriggio aveva appena iniziato la propria discesa nella sera torinese, la conversazione
aveva avuto anche un fantasma nel ruolo di padrino cerimoniere, un convitato presto
dileguatosi: Ernst Jünger, l'ultracentenario che vide due volte la cometa. "Un
grande uomo, una personalità straordinaria". Bobbio sorride pensando ai suoi
novant'anni. E' l'età della distanza. Aveva tredici anni quando Benito Mussolini arrivava
a Roma per consegnare a Vittorio Emanuele l'Italia di Vittorio Veneto. "Lui aveva
trentanove anni".
Sappiamo tutto dell'antifascismo dei padri, ma non sappiamo nulla del
fascismo che precedette il loro antifascismo. "Le dirò qualcosa che forse può
sembrare troppo forte". Fa una pausa. "Mi chiede dunque perché fino a oggi non
abbiamo parlato del nostro fascismo? Ebbene: perché ce ne ver-go-gna-va-mo". Ancora
una pausa, quindi sillaba di nuovo. "Ce ne ver-go-gna-va-mo. Adesso che ho novanta
anni, adesso che sono vicino al traguardo io ne parlo. Non l'ho fatto prima perché me ne
vergognavo".
"Che cosa fu il fascismo? Fu un'epopea di tragedia e balletto. Il
fascismo fu Achille Starace, l'inventore dei saggi ginnici. Mi creda, ne parlo con pietà.
Ma fu lui che inventò la formula: "Saluto al Duce, fondatore dell'Impero! Eja, eja,
alalà!". Il fascismo movimento era diventato farsesco. Far-se-sco!". A questo
punto il professore alza il braccio e recita con la forza della dolorosa caricatura di un
catechismo dimenticato: "Saluto al Duce, fondatore dell'Impero! Eja, eja,
alalà!".
Come in una sovrapposizione dada, gli si vede accanto l'altro se
stesso, il ventenne irrigidito nella posa spavalda e marziale. La giovinezza gli si
avvampa addosso nei ricordi: "Anch'io comprai l'orbace, ma non l'ho mai indossato. Ho
fatto tre viaggi con il Guf, dove mi ero iscritto nel 1927 (gruppi universitari fascisti,
ndr), il primo in Libia, il secondo a Budapest, il terzo, quello più d'élite, in Egitto.
Erano viaggi senza alcun obbligo ideologico. Non c'era dottrina, ma vacanza. L'unico
momento formale accadde al Cairo quando venimmo ricevuti dall'ambasciatore, un importante
gerarca, ma per il resto fu solo vacanza. Ho avuto la tessera del partito dopo
l'università, perché il Guf immetteva automaticamente i suoi tesserati nel Pnf (Partito
nazionale fascista, ndr).
"Io non ho mai svolto particolare attività dentro il Guf, il mio
fascismo, il mio filofascismo familiare, scorreva accanto alla vita di tutti i giorni di
uno studente appassionato di studio. Separavo nettamente lo spazio della politica da
quello della cultura. Infatti non esiste rigo di quegli anni dove io abbia mai fatto
apologia di fascismo, non mi interessavo affatto alla politica e i miei amici, da Leone
Ginzburg a Vittorio Foa, tutti antifascisti, mi perdonavano queste mie debolezze.
Dicevano: 'A Norberto interessa solo studiare e leggere'. Non mi hanno mai, mai,
considerato fascista. Sì, lo sapevano che ero filofascista, ma dicevano: 'Bobbio non ha
nessun interesse politico'. Non esiste comunque frase, non esiste rigo che possa provare
una mia qualsiasi complicità con la retorica del tempo".
Quando scrisse "Gonne e colonne"
Era la stagione degli universitari che cantavano: "Bocche di
porpora ridenti, date amor, date amor, e noi daremo a tutti i venti il nostro
tricolor". Era la stagione delle "nude, fredde e squallide stanze" dello
studio. Il professore ci ascolta e ride di un ricordo di goliardia: "A quel tempo
scrissi con altri amici un libretto di una rivista di varietà. S'intitolava "Gonne e
colonne". La musica era di mio cugino Norberto Caviglia. Un gioco frivolo tratto dal
romanzetto di un autore francese leggero, una specie di Pitigrilli d'Oltralpe. Si figuri,
conquistammo con 'Gonne e colonne' il primo premio di un concorso alla cui presidenza
c'era Blanc, l'autore di 'Giovinezza'.
"Non ne parlo mai volentieri e il libretto, che conservo, è top
secret. Il mio fascismo (il mio filofascismo familiare) era tutto qui, continuavo a
studiare, continuavo a seguire le tappe della mia carriera universitaria. Ero, come posso
dirlo?, come posso dirlo senza mascherarmi nell'indulgenza con me stesso?, ero immerso
nella doppiezza, perché era comodo fare così. Fare il fascista tra i fascisti e
l'antifascista con gli antifascisti. Oppure, e lo dico per dare un'interpretazione più
benevola, era solo uno sdoppiamento quasi consapevole tra il mondo quotidiano della mia
famiglia fascista e il mondo culturale antifascista. Uno sdoppiamento tra il me politico e
il me culturale. Vivevo la mia passione per la filosofia del diritto, seguivo il mio
maestro Gioele Solari, integerrimo antifascista, incontravo Piero Martinetti, diventando
segretario di redazione della 'Rivista di Filosofia'.
"Frequentavo i salotti antifascisti e partecipavo alla fondazione
dell'Einaudi nel 1933. Ecco, non mi curavo di quel fascismo progressivo che soddisfaceva
le ambizioni di ordine reclamate dalla vecchia destra liberale. La domanda che lei mi fa,
'che cosa è stato il fascismo allora', cosa mai sia stato il fascismo di molti
intellettuali e politici del futuro antifascismo, ha solo una risposta: sì e no. Sì e no
perché la Repubblica è stata fondata da personaggi estranei al fascismo, basti pensare a
Leo Valiani. La domanda lascia pensare che il passaggio nel fascismo sia stato un
passaggio obbligato. Me lo sono domandato anch'io. Non direi. In fondo c'è stato un
fascismo di prima e un fascismo di dopo, dico un luogo comune, lo so benissimo. Ho letto
recentemente un articolo di Indro Montanelli dove spiega perfettamente come in realtà il
fascismo sia diventato per strada un'altra cosa. Ci sono stati due fascismi, uno di destra
e uno di sinistra. Quello dei liberali e quello degli avventurieri.
"La differenza tra il fascismo dei giovani e il fascismo dei
vecchi, secondo me, si riduce a questo: quello dei primi è (se possiamo usare questa
parola), rivoluzionario, quello dei padri, invece, strumentale. Questi ultimi volevano
soltanto ordine, gli altri un ordine nuovo. Bisogna arrivare al 1932, il punto culminante
di questo fascismo primitivo, con il decennale che festeggia il Primato d'Italia con la
trasvolata oceanica. Il caso ha voluto che l'anno dopo arrivi sulla scena Adolf Hitler del
quale Mussolini, salutato come maestro, diventerà succubo".
Mussolini capo carismatico
La storia di dopo è il precipitato di tragedia. "Ho sempre
giudicato il fascismo dal punto di vista dell'antifascismo, ma se si leggono i miei studi
sul fascismo, ci si renderà conto della loro obiettività storica. Ho detto: con Hitler
al potere la guerra non è più un mito esaltante, ma un preciso programma politico. Anche
il fascismo dovette aggiornarsi. Legislatori e filosofi vennero congedati, presero il
sopravvento le nuove leve stordite dalla retorica".
La tragedia incontrerà l'orrore: "Gli ebrei che erano assimilati
in Italia, ce n'erano perfino nella strutture del partito fascista, conobbero la
persecuzione, lei lo sa benissimo, come sia finita questa storia non è il caso di
ripeterla. Tutto questo spiega perché tante persone che erano state sinceramente
fasciste, o simpatizzanti, a un certo punto lo hanno odiato. E' stata una catastrofe tale
la fine del fascismo che alla fine, noi abbiamo dimenticato, anzi, abbiamo rimosso.
L'abbiamo rimosso perché ce ne ver-go-gna-va-mo. Ce ne ver-go-gna-va-mo. Io che ho
vissuto 'la gioventù fascista' tra gli antifascisti mi vergognavo prima di tutto di
fronte al me stesso di dopo, e poi davanti a chi faceva otto anni di prigione, mi
vergognavo di fronte a quelli che diversamente da me non se l'erano cavata".
L'età della distanza consente al professore adesso di parlarne
serenamente. Altri protagonisti, invece, preferiscono trincerarsi nell'omertà di un
silenzio: "No, non è così, per esempio Giorgio Bocca parla tranquillamente del suo
essere stato un fascista".
Quando già il pomeriggio si consuma nella prima microcassetta del
registratore, negli occhi del professore avanzano altri ricordi che si svelano come in un
racconto che fugge dalle pupille. Un fantasma irrompe, Benito Mussolini. "Adesso è
facile fare la caricatura di Mussolini, ma non si deve dimenticare che ha tutti i
caratteri di quello che Max Weber avrebbe potuto chiamare il capo carismatico. Era l'uomo
che, nonostante le traversie della sua vita, povero quale era, era riuscito
rapidissimamente a saltare tutte le tappe. Il più giovane presidente del Consiglio che ci
sia mai stato, i suoi discorsi erano secchi, rapidissimi, incisivi. Era aggressivo e
rapiva la massa.
"Non c'è niente da dire, fu tanto capo carismatico da seguire
fino in fondo il destino dei capi carismatici: avere sempre ragione fino al giorno in cui,
sbagliando, si cade. Quando dichiarò la guerra, non se ne rendeva conto, ma era già
finito tutto. Abbiamo visto il Mussolini degli ultimi anni, abbiamo visto il Mussolini con
il cappellaccio e il pastrano a Campo Imperatore. Aveva il viso magro, smunto, pallido - e
poi finire così, non riuscire a capire quello che gli succedeva intorno in quella notte
del 25 luglio, tanto meno poteva prevedere la fine orrenda di Piazzale Loreto. La riprova,
una delle poche prove certe che la guerra partigiana è stata una guerra civile. Solo una
guerra civile può finire con il capo appeso per i piedi, una guerra fra Stati non finisce
così. Fu una guerra tra italiani".
Bobbio ha il peso di una responsabilità, quello proprio dell'autorità
morale. Ogni sua parola, adesso, si assesta nella decisione di chiudere l'eterno
dopoguerra italiano. Giovanni Gentile: "La mia tesi di laurea era la testi di laurea
di un gentiliano. Riguardo alla lapide, non sono assolutamente d'accordo con la decisione
del Senato accademico di Pisa, Gentile non merita l'accusa di razzismo, nel momento
peggiore aiutò tanti studiosi ebrei".
Ogni altra parola, sull'insensato esilio dei Savoia per esempio, fa
scuotere la testa importante di questo torinese nel gesto del no, non ha più senso. Non
è mai troppo tardi per chiudere gli ultimi fuochi del dopoguerra.
Come se il fascista tra i fascisti, Primo Arcovazzi, lo stralunato
milite di Luciano Salce interpretato da Ugo Tognazzi nel film "Il Federale",
potesse riaccompagnare nel suo sidecar il Professore antifascista, e non per portarlo al
confino a Ventotene, ma per andare in quel confino dell'ideale che è la distanza dove
nessuno rischia di restare in galera o di diventare senatore e dove le generose
sgangheratezze dell'uno nutrono le solidi convinzioni dell'altro.
Nell'umanità del dolore, ovviamente, in quella storia dove "dopo
non si è più quello che si è stati prima". C'è una scena sublime in quel film,
quando nella disperazione della fine, avvampati dalla voglia di fumare, i due attraversano
una strada da dove sfrecciano le jeep americane. Per tutto il tempo della pellicola il
Professore aveva dovuto salvare i suoi libri dall'Arcovazzi che ne voleva strappare le
pagine per rollarsi le sigarette. Stremati, non degnano di uno sguardo i pacchetti di Pall
Mall gettati dai soldati Usa. Il Professore anzi, ne calpesta furiosamente uno, prende il
suo libro di Leopardi, strappa l'Infinito e si prepara una sigaretta: "Tanto, lo
conosco a memoria".
Adesso che il pomeriggio è finito, Norberto Bobbio chiede al suo
interlocutore: "Vorrei fare anch'io una domanda, quando ho detto che lei sarebbe
venuto, i miei amici, i miei amici del mio entourage mi hanno avvisato, 'quello è un
fascista'. Ecco, mi spiega perché è fascista?".
Professore, confessione per confessione, io non sono fascista. Sono
altro. Ho amato lo scandalo di chi gioca da fascista in questo dopoguerra perché è stata
la prospettiva più inedita da dove ho potuto fare altro, diventare altro, per leggere e
studiare in orizzonti ad altri inaccessibili. Lo confido così, al grande studioso, non al
suo entourage.