Lelemento innovativo che consentì allUlivo
la vittoria nelle elezioni politiche del 1996 fu la combinazione virtuosa di proposta
programmatica e di rinnovamento-trasformazione istituzione. Lopinione pubblica
avvertì che la coalizione guidata da Prodi avrebbe innovato rispetto alla ormai
consolidata e fatiscente "costituzione materiale" del paese e che il rapporto
tra sistema delle istituzioni e opinione pubblica avrebbe goduto dellapertura di
nuovi canali di comunicazione.
Quella che Roberto Michels, agli inizi del secolo, chiamò la
"ferrea legge delle oligarchie" è stata brutalmente ripristinata con la crisi
del governo Prodi e con la nascita del governo DAlema che ha reintrodotto la
costituzione materiale della prima Repubblica. Governo di coalizione tra partiti e
partitini, distribuzione dei Ministeri e dei Sottosegretariati a seconda dei rapporti di
forza interpartitici, ribaltoni e ribaltini nelle Regioni con la logica delluno a me
e uno a te; infine la formazione delle coalizioni alle elezioni amministrative e la
designazione dei candidati Sindaci attraverso forti conflittualità e comunque
caratterizzate da una ripresa dei poteri da parte dei partiti e delle loro dirigenze.

Ciò ha precise ragioni materiali: lapertura ad una rappresentanza più aperta
allopinione pubblica, la formazione di classi dirigenti espresse meno direttamente
dai partiti, inducono processi di disoccupazione di massa nel ceto politico e di chi nel
partito politico è nato e cresciuto. Nella stessa realtà provinciale bolognese vi sono
stati più fenomeni di questo tipo.
Abbiamo così affrontato queste elezioni amministrative lasciando al
centro destra il vantaggio, non recuperabile, di proporsi come lo schieramento che meglio
interpretava le istanze di innovazione della politica e di rappresentanza di gruppi
sociali emergenti. Bologna è stato il caso più importante (dato il valore simbolico
dellegemonia della sinistra di questa città) ed emblematico di questo errore.
Di fronte ad una oggettiva erosione dalla base sociale della propria
egemonia politica, e ad una forzata omogeneizzazione delle proprie problematiche a quella
delle altre città italiane, la classe dirigente della sinistra aveva a disposizione tante
possibilità, fatta eccezione per quella di proporre - dopo una lacerante e "aperta
al pubblico" frantumazione interna - una spenta espressione della burocrazia di
partito e delle sue logiche ormai superate.
Purtroppo - nonostante gli avvertimenti di molte persone di buon senso
- la scelta è stata proprio questa. E tale scelta ha coinvolto nella sconfitta anche
coloro che - con ostinazione - continuano a credere che abbia ancora un senso la
distinzione tra destra e sinistra. La vicenda di queste elezioni amministrative, in
particolar modo del secondo turno dei ballottaggi, dimostra, ove ve ne fosse ancora
bisogno, che è impossibile disgiungere qualsiasi prospettiva politica o contenuto
programmatico da una seria innovazione sui contenuti partecipativi del nostro sistema
democratico.
Mentre la gerontocrazia dei partiti di sinistra e dei partitini di
centro continua ancora a discettare su forme di identità e di legittimazione che non
interessano più a nessuno, e che nella loro concettualizzazione risalgono ad epoche nelle
quali i giovani elettori di oggi non erano ancora nati, le classi dirigenti del centro
sinistra restano avviluppate in una retorica di autolegittimazione che finirà per
consegnare inevitabilmente alla destra la bandiera del nuovo.
Occorrerebbe uno scatto di reni. Ma la crisi democristiana e socialista
del 1992 ha dimostrato quanto sia difficile, se non impossibile, un processo di riforma
interna che non sia scatenato da una catastrofe esogena.