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Forse c’è un vincitore: Occhetto

Paolo Guzzanti

 

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Questo articolo e' apparso su "Il Giornale" del 28 giugno

Brutt’affare, ragazzi, al Bottegone Oscuro dove sta andando tutto a rotoli. E dove Walter passerà alla storia come Colui Che Ha Perso Bologna. Questo diranno. E diciamo Bologna, compagni, mica Roccacannuccia (che già sarebbe comunque grave). Come mai? Che cos’è successo? Sono le ore dei coltelli a serramanico e però non è solo una questione interna del vecchio Pci: un’ariaccia globale, o se preferite globalizzante, tira da quando qualcuno ha detto a caldo che "il Paese è malato". E in questa diagnosi infatti si rintraccia il nucleo cristallino della proteina che brilla sulla spirale 416 dell’elica sinistra del Dna comunista. È quella proteina che induce geneticamente al più puro e cristallino automatismo: se il Partito prende legnate dal Paese, questo vuol dire che il Paese è malato. O, come orridamente si dice oggi, ha "il mal di pancia".

E dire che il Paese è malato perché non vota più il Partito, significa fare come lo scienziato tedesco delle barzellette che strappava una dopo l’altra le zampe a una pulce, prima di gridarle "salta". E quando la pulce non saltò più perché non c’erano più zampe, lo scienziato tedesco delle barzellette ne concluse che una pulce senza zampe diventa sorda. Lo stesso ragionamento sta alla base del "maldipancia" italiano inteso come rifiuto del mitico Partito. Non vorremmo che a qualcuno venisse in mente di attaccarci alla flebo di una chemioterapia bottegoscura. Ma in questa vecchia idea del partito sano per definizione, e del Paese il cui stato dipende da quanto è più vicino o più lontano dal Partito stesso che è il sole del sistema tolemaico-leninista, consiste il nucleo genetico e velenoso di cui dicevamo all’inizio. E la prova provata della non liberalità dell’ex Pc (o comunque lo si chiami in questa stagione primavera-estate 1999), consiste nell’istintivo tentativo di colpevolizzare qualcuno fuori, senza capire il marcio dentro.

Ci torna in mente, e del tutto a proposito, la comicissima intervista che qualche giorno fa l’elegante e aristocratico Antonio Giolitti ha rilasciato a un quotidiano. Il nobile Giolitti, "vicino" ai Ds oggi dopo essere stato un virgulto di Togliatti, uscito dal Pci per l’Ungheria nel ’56, poi socialista anticraxiano, infine rientrato alla base, svolgeva in quell’intervista una terrificante antropologia dell’elettore di Forza Italia con la spocchia del più reazionario tory illustrando la volgarità del suo stalliere, anzi no, del suo idraulico, il quale gli aveva confessato di voler votare per Berlusconi, trovando giusto che chi lavora abbia la sua giusta mercede. Cito il caso di Lord Giolitti come un caso esemplare e non come un caso limite: la sinistra neo-trans-post-comunista non fa infatti che allontanare da sé l’amaro calice della resa dei conti con la realtà (e in questo si rivela pessima alunna di Palmiro Togliatti, che non la perdeva d’occhio neanche cinque minuti), trovando molto più comodo insultare gli italiani: la pulce non salta perché è sorda.

E nello stesso modo si è comportato anche il nobile dioscuro Castore Walter Veltroni quando ha tirato fuori l’insultante teoria dello spot: gli italiani sono dei mortadellari con il pannolino inserito nel detersivo della crema solare: tu dàgli la martellata ossessiva del tuo brandy da quattro soldi, e quel babbeo, quel plebeo, quell’idraulico, quello stalliere, quel mondezzaio di gusti da motoscafo con lo schizzo, da fuoristrada col servosterzo, quella schifezza di consumatore consumista globalizzato, come un imbecille ti mangia e ti vota a metraggio, come la pizza al taglio. Tu dàgli lo spot, e vedi quello come obbedisce. Sei uno schizza miliardi? Bene, e tu spara quei maledetti spot, e vedrai i voti che ramazzi: così, compagni, ha vinto Berlusconi, radunando mucche e pecore nelle sue stalle agitando il portafoglio. E questa sarebbe l’idea liberaldemocratica di Castore Walter Veltroni.

C’è poi l’altra forma di liberaldemocrazia posticcia praticata dall’altro dioscuro: Polluce Massimo D’Alema, il quale si è decalcomanizzato sulla Nato con la decalcomaniacalità con cui per fedeltà genetica si poteva aderire soltanto al Patto di Varsavia. Non c’è la minima traccia di liberalità nelle sue parole come nella sua gestualità il cui costante ruotare d’occhi connesso con la muscolarità facciale esprime soltanto nausea, disprezzo e sofferenza per avere a che fare con gente tanto cafona come gli oppositori, signora mia a che punto siamo arrivati. E la sofferenza consiste nel far finta. Far finta di essere la Thatcher, far finta di essere Tony Blair, finta di essere Bill Clinton. Finta. Noi soffriamo, ma sappiamo stare a tavola. Noi facciamo il nostro dovere atlantico perché questo è il nuovo modo di essere - strutturalmente parlando - più che mai sovietici. Ma ciò non toglie che questa gente, gli idraulici di Giolitti, ci fa schifo.

Ora, dopo Bologna, ferve il dibattito: chi doveva ricordarsi di dare il Ddt? Chi è stato che non ha pulito il pavimento di cucina, permettendo che arrivassero gli scarafaggi. L’un dioscuro, Castore, ha dissipato il tesoro della Corona, Bologna. Gli è caduto per terra il rubino ed è finito in mille pezzi. L’altro, Polluce, non ha conquistato un solo liberale in Italia, per quanti cacciabombardieri abbia fatto alzare dal suolo (e Dio sa, lo dico per inciso, se non ha fatto bene a farlo: non è questo il punto).

Come mai, dopo aver fatto la guerra con la Nato, dopo aver bombardato l’Armata Rossa dell’ultima Unione Sovietica sotto casa, D’Alema non ha sfondato lui a destra, non ha conquistato maree di italiani occidentali che amano Londra, Parigi e New York? Risposta: perché non può convincere neanche cinque minuti. La vittoria dura e pura di D’Alema sull’apparato costretto a cambiar vestito e cravatta per adattarsi ai nuovi tempi, si è trasformata in una sclerosi: il corpo del vecchio grande partito è diventato una statua rigida, supponente, altèra, ma con la base di sabbia.

Né ha mai convinto il posticcio filo-americanismo cinefilo del genere "Altra-America" di Castore, amante della saga americana dei Kennedy, di Paperino disegnato da Baker e di Martin Luther King, senza però aver assorbito la luce della liberaldemocrazia. E allora diciamo chi è il vero vincitore di questa sconfitta. Il vincitore è Akel: Achille Occhetto che con lacrime dolore e sangue ha tratto dal mezzo del guado in cui sguazzavano da decenni, i suoi. E che ha intuito come un partito movimentista, un vascello da combattimento su cui potessero salire tutte le ciurme, era meglio che la corazzata Potiomkim zavorrata di pietre miliari della fallita rivoluzione mondiale e locale. Noi non siamo ulivisti, Dio ci scampi.

Ma l’Ulivo è stato e resta un’idea, tant’è vero che gli italiani, forse anche l’idraulico di Giolitti, potrebbero farne oggetto di scelta libera e reversibile. Il partito-corazzata invece no, va a fondo. Non serve farne un fantoccio e tentare di travestirlo da americano col sassofono come vorrebbe fare Veltroni, oppure da "marine" della 101ª aviotrasportata come farebbe D’Alema. Macché: per poter offrire un piatto quanto appena commestibile sulla tavola della politica occorrerebbe coraggio, idee e più che altro l’onestà di dichiarare chiusa, fallita, persa, da dimenticare con rossore, tutta la saga del Pci.

Certo, Veltroni scandalizzò i suoi boys un giorno, sussurrando di non essere stato comunista neanche mezzo secondo, cosa che fece giustamente uscire dai gangheri tutti quei poveri disgraziati di idraulici di Giolitti che prima di Forza Italia votavano comunista. Ma dichiarazioni del genere fanno un effetto pessimo, perché in Veltroni manca l’elemento genetico che separa l’uomo dalla scimmia, l’orso sovietizzato dal cittadino liberaldemocratico. E quell’anello genetico mancante è il rispetto sacrale, doveroso, in certi casi perfino rispettosamente entusiasta, che si deve avere per il nemico politico, per chi vota dall’altra parte.

Veltroni, invece, e purtroppo per lui, sembra talmente disperato da non vedere altra strada che non quella, stracomunista, della riduzione dell’avversario al rango di creatura disprezzata e disprezzabile, carne da spot, spazzatura: questa è la prova della permanenza del leninismo-togliattismo, senza scomodare Stalin, perché il comunista è quello che, sempre, per minorità ideale, non ti concederà mai la dignità della tua opinione e radicalmente avversa alla sua.

Ma sempre lo riconoscerai perché sarà quello che griderà: chi ti paga? Chi paga? E così facendo i dioscuri hanno ormai condotto il vecchio partito nel mattatoio della memoria, in cui un elettorato sempre più liberale, insofferente e insensibile alle intimidazioni, lo trasformerà in un ricordo minimo e imbarazzante.


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