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Bussole rotte, naufraghi disorientati

Michele Serra

 

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Questo articolo e' apparso su 'La Repubblica' (www.repubblica.it) del 28 giugno

  A mezzanotte e mezzo, la piazza rossa diventa altrui. Improvvisamente sconosciuta. I compagni si ritirano lentamente verso I gradoni di San Petronio, poi svicolano nelle viuzze del centro. Spaesarsi in casa propria, accorgersi che non gli alieni, ma altrettanti bolognesi, anzi qualcuno in più, li hanno sfrattati dal loro selciato, dalle loro mura, dal loro palazzo comunale. Non si dovrebbe essere possessivi, in politica. Grave, avvertono gli esperti, è la confusione tra cosa pubblica e ragioni di parte. Ma non è facile spiegarlo ai vecchi operai, ai piccoli artigiani, agli impiegati, ai professori, alle donne del popolo che hanno visto coincidere, come una cosa sola, le loro vite e la vita della città rossa.

Quelle che nella notte escono di scena sono esistenze, non ideologie. Bussole rotte, naufraghi disorientati, ogni tanto la politica davvero si fa storia e allora sì che gli evviva e le lacrime fanno il rumore della tempesta. E nessuno, a parte i gretti e gli stupidi, riesce a sottrarsi. Immaginate un dedalo di percorsi familiari, di porti sicuri, di parole d'ordine, che si disfa in una notte di luna, notte conradiana, notte incui davvero si vive e si invecchia. La porta stretta e riposta della Bolognina, i circoli

Arci formicolanti di anziani in una nube di dialetto, scopone e sigarette, il monumento di Minguzzi (bellissimo) ai partigiani a Porta Lame, le scalfitture dei proiettili di guerra che solo pochi sanno ancora riconoscere sulle facciate, gli incredibili dopolavoro delle municipalizzate dove eserciti di pastaie presidiano la fureria per i loro uomini. Tutto questo era casa, per la mezza Bologna che ha perso.

Ma tutto questo è sconosciuto, o quasi, ai guazzalochiani festanti, per i quali Resistenza, per esempio, non è nemmeno più un mito da infrangere, ma - peggio - una parola insignificante. Solo una cinquantina di trucidi fa il saluto romano davanti all'ex Palazzo Rosso, con la gongolante fierezza della profanazione. Gli altri, giovani e giovanissimi che l'età contrappone con crudele evidenza all'altra Bologna, generalmente anziana, non hanno neppure troppo astio. Per loro la vittoria del centrodestra è soprattutto una vittoria del tempo che passa, finalmente passa, e rimpiazza le cose di ieri con quelle di oggi.

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"Andatevene a casa. Tocca a noi, finalmente". Questa sensazione - invincibile - di tempo che si sblocca, di inevitabilità (quasi statistica, direi) di una sconfitta dopo una serie lunghissima di vittorie, è ciò che maggiormente segna il voto bolognese, e anche ciò che più spietatamente colpisce la sinistra italiana. Al di là degli errori tattici, della gestione convulsa e a tratti maleducata della scelta del candidato, della perdita di capacità progettuale e di lucidità politica, Bologna è persa perché una parte decisiva della città ha considerato residuale, datata, sorpassata la leadership rossa. Per quanto vaniloquente e velleitario possa essere il "nuovismo", per quanto vuoto il giudizioso programmino di Guazzaloca (che non ha alcuna fretta, pare, di indicare chi metterà in giunta, e a fare che cosa), sinistra, a Bologna e mica solo a Bologna, rischia di diventare sinonimo di vecchi tempi, di inerte ingombro sulla strada del cambiamento, in una parola sola, di conservazione.

E saranno anche solo sensazioni: ma sono le sensazioni che spostano quei cinque-seimila voti di differenza, e sono le sensazioni che più sinceramente animavano la piazza notturna, i compagni a masticare ricordi di gloria e a misurare le occasioni perdute come veterani sconfitti, gli altri a esultare perché, comunque, "cambia".

I due schieramenti sono rimasti a lungo frammisti, davanti al tabellone luminoso che snocciolava i dati. La promiscuità era beffarda, spesso aspra, ma mai davvero incivile, e costringeva a riflettere sull'impossibilità di un'analoga confusione di tifoserie per esempio in uno stadio, dove la tribalizzazione è anche divisione militare degli spazi. La povera politica, che tanto ci schifa, non è ancora evidentemente, così malridotta. Solo a notte piena perdenti e vincenti hanno cominciato a dividersi, gli uni per lasciare il campo agli altri.

Nemmeno la campagna elettorale era stata astiosa. Robe di parcheggi, di viabilità, di antiscippo e antiscasso, di asili-nido e di filovie, come in un grosso condominione litigioso. Nelle dichiarazioni del dopovoto, rilasciate a notte fonda dagli uomini del centrodestra, ci si sforzava di rendere la storicità dell'accaduto ricorrendo a metafore auliche, spesso ridicole. Berselli, capo locale del post-fascismo, tirava in ballo "la caduta dell'Impero Romano d'Occidente". La storia quella vera, intanto, passava in strada tenendo sottobraccio gli sconfitti che scivolavano via umiliati, e soffiando nelle bandiere dei vincitori che gridavano di gioia per avere espugnato la piazza.

E la "borghesia rossa"? E i comunisti tutti ricchi e con la erre moscia dei quali ha parlato Bossi proprio qui in piazza? Nei crocchi di sinistra davanti al tabellone, e su nelle stanze torride del palazzo, dove i capi spillano sezione dopo sezione le cifre della disfatta, si trova il tempo di sorridere almeno su questo. Nei seggi del centro storico, quelli dei più abbienti, la sinistra non ha mai avuto (mai) la maggioranza, e oggi stravince Guazzaloca.

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Un po' di conforto arriva dalla cintura popolare e dai quartieri ex- operai, Navile, Borgo Panigale, Savena, dove la Bartolini ha vinto quasi ovunque, e dove i redditi si abbassano. Bologna, molto banalmente, è più di destra dove ci sono più soldi, secondo un criterio, almeno questo, né "vecchio" né "nuovo" ma evidentemente immortale (battuta di piazza: "Siamo diventati troppo ricchi. Dovevamo confiscarci i patrimoni"). Vista dall'alto la si vedrebbe arrossare mano a mano che ci si sposta verso la periferia e la provincia, come una cittadella di centrodestra assediata dal nemico. Gli intellettuali, i professori, gli artisti, i galleristi, le teste d'uovo prodiane e diessine che hanno casa in centro sono sempre stati, nel loro habitat, una minoranza. Leggendaria, ma minoranza. Nel seggio di Palazzo d'Accursio, il numero uno, quello dove votano i commercianti di via D'Azeglio e i pochissimi residenti di piazza Maggiore, Guazzaloca ha il 75 per cento.

Il voto di sinistra si è sfibrato, comunque, anche nelle tradizionali zone rosse, quelle nelle quali la Bartolini ha sperato fino all' ultimo per ribaltare il risultato. Nei decorosi quartieroni pieni di verde pubblico dove l'edilizia popolare è una delle poche decenti in Italia, è mutata la composizione sociale. Un sistema di consenso politico così coeso e capillare, abituato al porta a porta, al rapporto personale, parla dei "nuovi insediamenti" con smarrimento. Hic sunt leones: famiglie, caseggiati interi dei quali non si conosce più la natura, l' antropologia. Sconosciuti anche loro, "nuovi", chissà cosa pensano, chissà cosa vogliono.

Tornando a casa a notte fonda, i bolognesi di sinistra, non riuscendo a prendere sonno per il maldipancia, si saranno chiesti per chi avrà mai votato il loro nuovo vicino, o il figlio strano e imperscrutabile del loro vecchio vicino comunista. Una città "nuova", un'umanità "nuova" che disarma le antiche, solide categorie usate con buon successo per mezzo secolo. Se ne parla da decenni, della "nuova composizione sociale", nelle sezioni e nelle riunioni di partito. Ma vederlo, questo misterioso e sfuggente nemico, che occupa all'improvviso la piazza, alieno eppure tuo concittadino, tuo vicino, tuo simile, è come avere compiuto cinquant'anni tutti in un colpo, e senza preavviso.

La sinistra, ieri mattina, si è svegliata molto più vecchia. Non basterà più un lifting come quello improvvisato alla Bolognina e lasciato, per giunta, incompiuto. Bisognerà ricominciare a uscire di casa con un poco di spirito d'avventura. Sentirsi stranieri in casa propria, dopotutto, può dare qualche brivido. Nuovo

 

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