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C'e' un futuro per i partiti?

Peter Mair

 

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Seminario di studio "Il futuro dei partiti, i partiti del futuro". Associazione Crs/Democratici di Sinistra - Direzione Nazionale. Roma, 24 giugno 1999.

In tempi relativamente recenti sembrava che i partiti politici stessero vivendo il loro periodo aureo.

Il tono era stato dato da una frase di Schattschneider, un politologo americano nel 1942: la democrazia moderna non è pensabile che in termini di partiti.

Ancora un decennio fa l'associazione di democrazia e partiti politici sembrava inevitabile tanto che nei fenomeni di transizione dell'Europa orientale post-comunista, la democrazia arrivò ad essere definita non tanto in relazione ai diritti dei cittadini quanto in relazione all'esistenza di una pluralità di partiti fra loro in competizione in libere elezioni. In altre parole democrazia significava democrazia di partito e competizione tra i partiti.

Oggi comunque soprattutto nelle democrazie da tempo consolidate i partiti politici sembrano attraversare un periodo di crisi e di disamore. Per alcuni osservatori sono perfino visti come un problema per la democrazia piuttosto che come parte integrale della stessa. Anche se la maggior parte di queste democrazie consolidate è ancora dominata da sistemi partitici formatisi più di mezzo secolo fa, è comunque impressionante vedere che nel solo sistema in cui la politica è stata completamente riformulata negli ultimi dieci anni, qui in Italia, nessuno dei movimenti politici importanti che oggi svolge un ruolo nella politica nazionale si riconosce come partito politico. La parola stessa sembra diventata una parolaccia. Perfino nell'Inghilterra contemporanea, che è stata per tanto tempo l'esempio più efficace di un sistema governativo di partito, la politica nuova di Tony Blair è deliberatamente organizzata sotto l'insegna del "New Labour" - e non, si badi bene, sotto quella di nuovo Labour Party. Di fatto a proposito della cifra retorica che ha reso Blair tanto famoso, va notato che la parola "partito" è pressoché assente dal suo discorso.

In questa sede mi occuperò di tre problemi:

Prima di tutto affronterò i cambiamenti che oggi si stanno verificando all'interno dei partiti veri e propri, occupandomi dei cambiamenti interni ai partiti stessi; dei cambiamenti delle funzioni che i partiti tradizionalmente svolgevano e di quelli verificatisi nell'identità stessa dei partiti.

In secondo luogo cercherò di identificare alcune delle conseguenze più importanti che sono derivate da quei cambiamenti.

In terzo luogo, preso atto di quei cambiamenti e delle loro conseguenze, cercherò di trarre qualche lezione sul futuro che i partiti ancora possono avere e su come i partiti attuali debbano indirizzare meglio i loro sforzi futuri in modo da assicurarsi una legittimità duratura.

La mia tesi principale può essere così riassunta:

per una quantità di ragioni, che comprendono il mutamento di carattere della democrazia oltre al cambiamento dei partiti come anche della società, i partiti hanno visto sempre più impoverita la loro funzione rappresentativa. Al tempo stesso comunque i partiti svolgono un ruolo importante anzi di importanza sempre crescente, nella gestione della democrazia. Dunque, se il loro ruolo rappresentativo è in declino, il loro ruolo procedurale rimane come sempre essenziale. Se i partiti vogliono avere un futuro, allora, sarà bene che affrontino queste mutate condizioni, rivendicando la loro fondamentale legittimità come garanti di una forma di democrazia allargata, trasparente e responsabile.

Gran parte di quello che discuterò qui si basa sul mio lavoro degli ultimi cinque anni, al quale si aggiunge qualche ulteriore riflessione suscitata dalla speciale occasione di questo incontro.

I. Allora prima di tutto mi occuperò dei cambiamenti che riguardano direttamente i partiti e ancora una volta toccando tre tematiche.

I.i Cambiamenti interni ai partiti.

La prima osservazione in merito riguarda il declino delle iscrizioni ai partiti. Anche se c'è una diffusa consapevolezza di questo problema sarà bene ricordarne i particolari. Dati recenti mostrano la seguente situazione: la media di tesseramento ai partiti nell'Europa contemporanea è caduta dall'8,2 per cento dell'elettorato al principio degli anni '80 al 7,1 per cento alla fine degli anni '80, e appena al 5,2 per cento oggi. Inoltre in quello che è forse il modello più significativo di 15 paesi per i quali ci sono a disposizione per tutti e tre gli anni in questione in tutti tranne che in tre di quei paesi si registra un declino continuo e in qualche caso addirittura drammatico del numero di iscrizioni ai partiti. In particolare i soli tre paesi nei quali si è assistito al processo inverso sono la Grecia, il Portogallo e la Spagna. In tutti e tre i casi la democrazia risale alla fine degli anni '70 e in tutti e tre partiti e sistema dei partiti sono cominciati più o meno da zero. Viceversa in tutte le democrazie da lungo consolidate le iscrizioni sono cadute in modo rilevante.

La seconda osservazione è più impressionistica e deriva dalla lettura di resoconti di organizzazioni di partito. Se ne deduce che anche tra i membri i livelli di attivismo o militanza sono caduti in modo considerevole. In altre parole ci sono meno iscritti di 20 anni fa, ma gli iscritti che rimangono oggi sono più passivi di quanto non lo fossero in passato.

La terza osservazione riguarda i livelli declinanti di turnout e non solo nelle elezioni del Parlamento Europeo, anche se in quel caso particolare un turnout inferiore al 30% nei Paesi Bassi e inferiore al 25% in Gran Bretagna non va ignorato. Ma anche al di là delle elezioni europee, comunque si possono cogliere indicatori che evidenziano come i livelli massimi di partecipazione elettorale durante le elezioni nazionali siano già stati toccati. I livelli di turnout naturalmente sono impressionantemente alti in gran parte d'Europa, ma è nondimeno interessante notare come sia stato proprio negli anni '90 che si sono registrati i livelli più bassi nella proporzione di voti validi durante le elezioni nazionali. Il livello più basso di partecipazione elettorale nel periodo postbellico è stato registrato nel 1994 in Austria; in Finlandia nel 1999; in Germania nel 1990; in Islanda nel 1995; in Irlanda nel 1997; in Italia nel 1996; in Olanda nel 1998; in Norvegia nel 1993; in Portogallo nel 1995; in Svezia nel 1998; in Svizzera nel 1995; e in Gran Bretagna nel 1997.

Anche se si potrebbe dire di più a proposito di questi patterns, i limiti del presente intervento ci permettono di tracciare solo una conclusione generale e molto semplice: i partiti non raccolgono più come un tempo l'interesse e la partecipazione dei cittadini. Ma anche questo è ben noto. Voglio solo sottolineare come tale tendenza sia pressoché universalmente rilevabile nelle democrazie da tempo consolidate.

Contemporaneamente si assiste a una tendenza parallela e di cruciale importanza e cioè la sempre maggiore distanza dei partiti dalla società allargata e il loro legame sempre più stretto e inestricabile con il governo e con lo stato. Questo aspetto dello spostamento dei partiti è stato già ben evidenziato altrove e non c'è bisogno di riprenderlo in questa sede. Basterà qui notare tre sviluppi fondamentali che hanno segnato la maggior parte delle democrazie occidentali negli ultimi trent'anni e che sembrano destinati a rafforzarsi in futuro.

Il primo punto riguarda i fondi, e il fatto che per finanziare la loro organizzazione oggi i partiti in molte democrazie, sia vecchie che nuove, contano sempre di più sul denaro pubblico che ricevono dallo stato. E infatti nella maggior parte dei paesi oggi, e in quasi tutte le democrazie di recente formazione, si preferisce ricorrere al finanziamento pubblico dei partiti cosicché la sopravvivenza organizzativa di tanti partiti dipende dallo stato. In altre parole senza l'aiuto del portafoglio pubblico e dello stato è probabile che tanti partiti incontrerebbero notevoli difficoltà.

In secondo luogo i partiti sono sempre più tenuti a conformarsi alle nuove leggi e ai nuovi regolamenti dello stato che a volte determinano perfino il funzionamento della loro organizzazione interna. Molte di tali leggi e regolamenti applicati ai partiti sono stati introdotti o ampliati sulla scia dell'introduzione del finanziamento pubblico, con la distribuzione di sovvenzioni statali che inevitabilmente richiedono l'introduzione di un sistema più codificato di registrazione e controllo del partito. Il controllo dell'accesso dei partiti ai mezzi di comunicazione di stato ha richiesto a sua volta una nuova regolamentazione che, a sua volta richiede di codificare lo status dei partiti e il loro raggio di attività. Partendo da una condizione largamente "privata", da associazioni volontarie che si sviluppavano all'interno della società e che da essa traevano legittimità, i partiti sono divenuti sempre più oggetto di un inquadramento che accorda loro uno status (quasi) ufficiale come parte dello stato.

In terzo luogo tanti partiti hanno cementato ulteriormente il loro legame con lo stato dando sempre maggiore priorità al loro ruolo di detentori di cariche pubbliche. Secondo gli analisti della formazione di coalizione, i partiti sono diventati sempre più interessati ad ottenere incarichi pubblici e ottenere un posto al governo è diventata sempre di un obiettivo in sé oltre che un'aspettativa diffusa. A ciò va aggiunta la tendenza crescente a concentrare le risorse finanziarie e di personale sul partito in parlamento piuttosto che sulla base del partito. Si assiste inoltre al fenomeno di partiti che si presentano sempre più in termini dei loro incarichi pubblici. In altre parole tutto il partito diventa più o meno identico a quello in parlamento o al governo e scompare la sua identità al di là di quelle responsabilità pubbliche. E' in questo senso che il partito si riduce ai suoi leader e che i leader in questione si trasformano nella risorsa più importante del partito.

Se mettiamo insieme queste due tendenze parallele assistiamo a uno spostamento graduale dei partiti che da parte integrante della società diventano parte integrante dello stato; nonché a uno spostamento del centro di gravità del partito stesso dalla base alla sfera pubblica.

I.ii Trasformazione delle funzioni dei partiti

Questo importante cambiamento che si sta verificando all'interno dei partiti è collegato ed accompagnato anche da uno spostamento delle funzioni democratiche che i partiti svolgono, o per le quali sembrano ancora necessari.

Ma lasciatemi ricordare brevemente tali funzioni per vedere come sono cambiate. Mi occuperò delle funzioni classiche, una per una, specificandone il carattere rappresentativo o procedurale - o entrambi - e analizzerò i problemi o le sfide attuali che debbono affrontare per svolgere quelle funzioni.

La prima funzione, classicamente associata ai partiti politici, è quella di integrare e mobilizzare la cittadinanza. Una funzione rappresentativa un tempo fondamentale che però all'oggi può facilmente essere vista come ridondante. In altre parole si tratta sì di una funzione importante in qualunque sistema di governo, ma, come ha sostenuto Pizzorno, è anche storicamente contingente e può essere vista come non più necessaria e neppure praticabile nelle democrazie pienamente organizzate.

La seconda funzione da sempre associata con i partiti è rappresentativa e implica l'espressione e l'aggregazione degli interessi. Nelle democrazie contemporanee comunque la prima funzione - espressione degli interessi - è ormai condivisa da altre associazioni e movimenti indipendenti dai partiti oltre che dai mezzi di comunicazione. E anche se l'aggregazione degli interessi rimane relativamente importante nel senso che esigenze contraddittorie debbono essere riconciliate a un qualche livello politico, questa seconda funzione può essere sussunta sotto quella della formulazione del programma politico (vedi sotto). E infatti l'espressione degli interessi e delle esigenze popolari oggi avviene spesso al di fuori del mondo del partito, mentre i partiti che si limitano sempre più a recepire i segnali che arrivano loro dall'esterno. In questo senso non sembra necessario avere partiti per ciò che riguarda l'articolazione degli interessi.

La terza funzione è anch'essa fortemente rappresentativa e implica la formulazione del programma politico. In pratica comunque è evidente che i partiti si stanno dimostrando sempre meno necessari in tale ambito poiché i programmi possono anche essere formulati da esperti o comunque da organizzazioni palesemente non politiche. In altre parole i partiti sono meno necessari quando tali programmi perdono il loro carattere politico (vedi sotto). I partiti sono invece necessari quando le decisioni vengono prese per motivi di parte e le scelte sono inquadrate prima di tutto in termini normativi o ideologici, o quando si scontrano esigenze ugualmente valide e potenzialmente inconciliabili. In altre parole, a rischio di essere tautologici, diremo che i partiti sono necessari alla formazione dei programmi politici quando si devono prendere decisioni di parte. Ma man mano che il governo si fa meno di parte, i partiti si fanno meno necessari.

La quarta funzione associata ai partiti è di carattere più procedurale, e riguarda il reclutamento dei capi. Se tale funzione implica il reclutamento iniziale e la socializzazione dei potenziali leader politici e la conseguente istituzione di percorso politico, allora i partiti sono certamente necessari, ma solo in quei casi in cui i partiti sono richiesti anche come mezzo per strutturale il voto e le scelte elettorali. Se così non è e i partiti non sono richiesti a scopi elettorali, cioè se la scelta elettorale può essere organizzata dai singoli candidati (come per esempio nel sistema presidenziale o in quello di governo assembleare) allora è improbabile che ci sia bisogno dei partiti in quanto tali per il reclutamento dei leader. Questi ultimi potrebbero invece venire anche da altri percorsi all'interno della società.

L'ultima funzione che qui possiamo indicare è anch'essa di tipo procedurale e implica il ruolo dei partiti nell'organizzazione del parlamento e del governo.Di fatto questa è potenzialmente la funzione più importante che si richiede di svolgere ai partiti. Nei sistemi di governo parlamentare la necessità dei partiti è evidente. I governi in tali sistemi hanno prima di tutto bisogno di essere formati, per lo più grazie ad accordi di coalizione; quindi è necessario assegnare ai diversi dipartimenti e ministeri le responsabilità di governo e, una volta formati, la gestione dei governi in questione richiede un appoggio più o meno disciplinato in parlamento. Nessuna di queste condizioni può darsi senza l'autorità e le capacità organizzative dei partiti politici. Inoltre anche al di là dei sistemi convenzionali di governo parlamentare, i partiti di fatto sembrano necessari anche per l'organizzazione delle procedure legislative, per il funzionamento dei comitati legislativi e per l'accordo quotidiano sul programma legislativo.

Quello che tutto ciò implica sembra evidente: la funzione rappresentativa dei partiti è andata declinando o comunque è stata almeno in parte sostituita da altre organizzazioni, mentre il loro ruolo procedurale è stato mantenuto e anzi si potrebbe addirittura dire che sia andato aumentando di importanza.

In altre parole, proprio come i partiti si sono spostati dalla società allo stato, le funzioni che svolgono e si richiedono loro sono passate da quelle di enti fortemente rappresentativi a quelle di enti governativi.

I.iii Offuscamento dell'identità dei partiti.

Si tratta in breve della sensazione che i partiti stiano perdendo la loro coscienza individuale di identità politiche separate e stiano diventando sempre più uguali l'uno all'altro. Ancora una volta sono coinvolti molti fattori e per semplicità farò riferimento solo a quattro caratteristiche.

L'identità ideologica o programmatica si va facendo sempre più sfocata, almeno nel caso dei maggiori partiti tradizionali, fenomeno che deriva almeno in parte dall'erosione palese dei loro diversi profili elettorali. I partiti si distribuiscono sempre di più i voti fra di loro e col declinare progressivo della lealtà reciproca oramai tendono a rivolgere tranquillamente i loro appelli agli antagonisti di un tempo. Il risultato è che l'idea della politica come conflitto sociale in cui i partiti erano visti come i rappresentanti degli interessi politici di forze politiche opposte è sempre meno rilevante e non solo più o meno tutti gli elettori sono potenzialmente aperti a tutti i partiti, ma anche più o meno tutti i partiti sono aperti a tutti gli elettori, nel senso che anche la nozione della politica come conflitto ideologico, così prevalente nel periodo della Guerra Fredda, è andata svanendo. Sia in termini sociali che ideologici perciò oggi l'opposizione si esprime sempre meno nelle modalità della competizione tra i partiti.

Inoltre i governi e i partiti che ne fanno parte e cercano di opporvisi, adesso subiscono pressioni crescenti che riducono le loro capacità di manovra. Questo fenomeno riguarda tutti i governi del nostro mondo economico internazionalizzato e globalizzato, ma è particolarmente pronunciato all'interno del sistema dell'Unione Europea. I partiti sono sempre più costretti a condividere programmi e scelte e quando sono al governo collaborano alla loro realizzazione. Espedienti retorici permettono ai votanti di distinguere i partiti al governo da quelli all'opposizione ma sembra che i contrasti di fondo nella pratica politica siano sempre più difficili da individuare. Il governo agisce in base ai regolamenti piuttosto che in base alle politiche di parte. Né d'altra parte i partiti possono presentarsi facilmente come molto diversi l'uno dall'altro, perché anche l'individualità organizzativa si è andata sempre più sfocando. Poiché i partiti pescano i voti nello stesso bacino elettorale, tendono ad adottare analoghe tecniche organizzative e propagandistiche. Anche i modi di comunicare con i potenziali elettori sono divenuti sempre più professionali e di conseguenza standardizzati. Nella maggior parte dei casi nell'Europa contemporanea i singoli partiti hanno abbandonato i loro giornali e adesso concorrono per avere spazio e audience nella stampa nazionale comune e sulle reti televisive pubbliche. Per chi vota è ormai quasi impossibile cogliere messaggi alternativi o ascoltare solo una campana. Seguire un partito significa seguire anche tutti gli altri, poiché ciascuno avrà i suoi portavoce nei vari dibattiti televisivi o comunque i suoi commenti da pubblicare nei diversi giornali.

L'ultimo punto di cui mi occuperò qui riguarda l'identità strategica, e anche in questo caso la tendenza più evidente è stata quella alla perdita delle caratteristiche individuali. Quasi tutti i partiti sono ormai partiti di governo, nel senso che ognuno di essi ormai coltiva l'aspettativa realistica di ottenere incarichi di governo almeno per un breve periodo. Sono pochi o forse non esistono più del tutto i partiti percepiti come esclusi in modo permanente dalla partecipazione ai gabinetti. Nella maggior parte dei casi però si tratta del risultato degli aumentati livelli di frammentazione che hanno finito per caratterizzare i sistemi di partito europei negli ultimi vent'anni, l'accesso alle cariche di governo richiede in genere la formazione di coalizioni e dunque la costruzione di amicizie ed alleanze che attraversano i diversi partiti. E quel che è più impressionante in tali processi, soprattutto di quelli che si sono sviluppati negli ultimi dieci anni, è che sono caratterizzati da un livello crescente di promiscuità strategica. I socialisti francesi attualmente sono al governo carica insieme agli ecologisti francesi, così come i socialisti tedeschi lo sono con gli ecologisti tedeschi; i partiti laici olandesi sono oggi al governo senza che ci sia bisogno dei soliti meccanismi di unione forniti loro dalle principali correnti religiose; il partito laburista inglese si è dimostrato capace di costruire un'alleanza di coalizione informale con i liberali; qui in Italia l'incorporazione dell'ex partito fascista di Alleanza Nazionale in una coalizione di destra è stata seguita da un nuovo governo che includeva sia il PDS sia l'ex Democrazia Cristiana. In breve gli schemi da tempo consolidati di formazione dei governi vengono rapidamente superati e i partiti un tempo tradizionalmente nemici stanno trovando un comune terreno di governo.

Tutto questo suggerisce che sia sempre meno facile per gli elettori vedere differenze ideologiche o programmatiche significative tra i partiti o comunque vedere quelle differenze come particolarmente importanti per le loro esigenze e la loro situazione.

In altre parole per via delle identità sempre più confuse dei partiti così come per le loro mutate funzioni e per i cambiamenti intervenuti nel modo in cui si organizzano e si presentano, i cittadini sembrano trovare sempre più difficile vederli come in qualche modo rappresentativi.

II. Quali le possibili conseguenze di tutti questi cambiamenti?

Le conseguenze di tutto ciò si possono già vedere in nuce e potrebbero diventare più evidenti col tempo. Due di tali conseguenze meritano particolare attenzione.

Prima di tutto ovviamente la politica si è depoliticizzata. Di fatto esattamente 30 anni fa studiosi come Lijphart e Dahl avevano suggerito che le cose sarebbero andate così e in special modo il secondo aveva predetto lo sviluppo di un mondo politico che sarebbe divenuto "troppo remoto e burocratizzato, troppo incline al mercanteggiare e al compromesso [e] troppo colonizzato dalle elites politiche e dai tecnici". Tale depoliticizzazione viene accentuata anche da altri sviluppi, tra cui il trasferimento di alcune responsabilità decisionali al parlamento europeo; nonché quello di altre responsabilità ad organizzazioni indipendenti o alle cosiddette commissioni di esperti e il ricorso sempre più frequente all'uso delle autorità giudiziarie e perfino ai referendum popolari per esimersi dalla necessità di prendere decisioni a livello governativo.

In secondo luogo e per effetto dello stesso processo i cittadini rischiano di diventare indifferenti alla politica. Questa credo sia potenzialmente la conseguenza più grave dei cambiamenti cui ho accennato sopra, poiché l'indifferenza alla politica convenzionale potrebbe tradursi anche nell'indifferenza alla democrazia.

In una certa misura questo si può vedere già nello scetticismo con cui tanti cittadini osservano il processo politico e nei giudizi negativi che hanno dei leader politici e della classe politica. Lo si può anche vedere, certamente, nel fenomeno macroscopico del disimpegno popolare. Ma va notato anche che quest'indifferenza alla politica convenzionale è anche visibile tra gli intellettuali e nel discorso di tanta letteratura moderna sui problemi della democrazia.

In breve la tesi che s'incontra sempre più spesso nella letteratura normativa che si occupa dei problemi delle democrazie contemporanee non esalta il rinnovamento o la revitalizzazione della politica in quanto tale ma cerca piuttosto di negare la politica. Questo si può vedere negli appelli a:

(a) rinnovare la democrazia ridando vita alla società civile e nella tendenza ad associare la cosiddetta "buona" democrazia con elementi della cultura civica; (b) sostituire la democrazia con la cosiddetta "democrazia associativa", una forma di democrazia che rimane interamente a livello della sfera privata e nella quale il ruolo dei partiti viene rimpiazzato dalle associazioni civiche;

(c) ridefinire la democrazia come si può vedere negli scritti di un certo numero di intellettuali della "Terza Via", in modo tale che la politica "reale" non si occupi più di partiti, parlamenti e stati, temi che effettivamente sono abbandonati ma piuttosto di quello che succede a livello di quello che viene detto della "sub-politica", della società privata. Dove l'impegno attivo dei singoli cittadini può facilmente compensare la mancanza di impegno nel mondo politico più convenzionale e dimostrarsi anche migliore. Quel che segue qui è l'ideologia secondo cui non dobbiamo preoccuparci troppo dei fallimenti della politica convenzionale - della classe politica che pensa solo ai suoi interessi, delle procedure inadeguate e così via. Né ci si deve preoccupare più di tanto di decisioni politiche demandate agli esperti, né della depoliticizzazione, o della mancanza di democrazia all'interno dell'Unione Europea, e così via. Non è li che si trova la vera politica oramai e fintanto che il mondo "sub-politico" è vivo quelle ed altre mancanze non contano poi tanto. E questa è un'altra forma di indifferenza.

III. Esiste un futuro per i partiti?

Dal punto di vista dei partiti questa indifferenza, popolare e intellettuale, pone un grave problema. Cosa possono fare i partiti? In altre parole,di fronte all'aumentato disimpegno e all'indifferenza cui, si accompagna una diminuita capacità rappresentativa e di fronte al linguaggio persuasivo di una nuova generazione di teorici democratici che cercano soluzioni nella società civile piuttosto che nel mondo della politica è possibile immaginare un futuro per i partiti? Quali opportunità si aprono loro - almeno nel breve periodo?

Si tratta di un tema su cui si potrebbe discutere all'infinito. Dobbiamo però ricordare che le circostanze, anche se oggi sono sfavorevoli ai protagonisti della democrazia rappresentativa, potrebbero cambiare. Ammettendo ciò si presentano le seguenti conclusioni.

Prima di tutto c'è una serie di cose che i partiti dovranno accettare così come sono, almeno al momento:

- non sembra ci sia la possibilità di ricostruire radici forti nella società. L'era dei partiti di massa sembra conclusa. L'elettorato, e la società nel suo complesso, sono inevitabilmente più lontano e più individualisti. Il disimpegno è una realtà e una distinta identità organizzativa è ormai cosa del passato.

- non sembra ci sia la possibilità di sviluppare una forte identità di parte. Che sia per effetto del generale processo di internazionalizzazione o dell'influenza delle limitazioni europee in particolare è comunque improbabile che lo spazio di manovre politiche di parte vada allargandosi nel prossimo futuro.

- per entrambe queste ragioni è difficile vedere come i partiti possano accentuare in modo significativo il loro ruolo rappresentativo. Casomai tale ruolo andrà incontro ad un'erosione ancora più forte nel prossimo futuro.

- ne consegue che il solo ruolo significativo che potrà resistere o comunque il ruolo principale che resisterà è quello procedurale. Per i partiti dunque è il lato democratico della democrazia rappresentativa , più che il lato rappresentativo, che potrebbe divenire cruciale.

Inoltre è proprio quello il ruolo che attualmente non viene messo in discussione. Se i partiti sono criticati per la loro mancanza di rappresentatività di fronte alle sfide dei nuovi movimenti sociali o della politica alternativa, o quant'altro, lo sono in quanto organizzazioni. Non c'è niente e nessuno che cerchi di sostituirsi al loro ruolo procedurale o governativo. Si tratta di una funzione per la quale i partiti continuano ad essere visti come necessari.

Se i partiti vogliono avere un futuro dovranno rendersi conto di questa realtà e costruire a partire da essa.

Che cosa vuol dire in pratica?

Prima di tutto i partiti, questo partito, devono liberarsi dall'idea che il partito di massa sia l'unica forma di partito legittima e debbono ridurre la priorità che annettono al loro ruolo rappresentativo. Per quanto importante possa essere il dato rappresentativo è improbabile che diventi la fonte primaria di legittimazione. Ovvero i partiti il fatto che l'era dei partiti di massa si è conclusa e dovrebbero smettere di mascherarsi da partiti di massa.

In secondo luogo i partiti dovrebbero sottolineare il loro ruolo procedurale. Si tratta di organizzazioni che governano: gestiscono lo stato se sono al governo e ne controllano la gestione se all'opposizione. E' questo ciò che fanno meglio, e nessuna organizzazione può sostituirli.

Infine in quanto organizzazioni con un ruolo essenzialmente procedurale i partiti che cercano un ruolo legittimo nella democrazia dovrebbero fondare le proprie rivendicazioni su tre granzie chiave:

- La prima garanzia: adozione di giuste procedure nel governo. Il governo deve essere trasparente e responsabile, al servizio degli interessi della democrazia piuttosto che di quelli della classe politica o di speciali gruppi di sostenitori dei partiti.

- Seconda garanzia: apertura e accessibilità. I partiti dovrebbero evitare di competere con i movimenti sociali o con altri canali di rappresentanza alternativi non hanno bisogno di farlo. Piuttosto dovrebbero ascoltare quegli altri canali e lavorare al loro fianco per rispondere alle esigenze e agli interessi popolari.

- Terza garanzia: la conservazione della democrazia popolare elettorale come unico modo attraverso il quale dare ascolto a voci marginalizzate. In altre parole se il canale di partito - e dunque elettorale - s'indebolisce come canale rappresentativo e se la funzione di rappresentazione trova voce soprattutto in altri canali organizzati, resterà certamente una parte della società la cui voce sarà esclusa, marginalizzata: i poveri, gli emarginati, coloro cui mancano le risorse ed è solo attraverso i partiti e attraverso il voto che quella voce ha una qualche possibilità di farsi sentire.

In conclusione allora: se i partiti vogliono avere un futuro, questo potrà essere sviluppato meglio quando smetteranno di agire principalmente come partiti di massa e invece cominceranno a funzionare come garanti di una forma di democrazia proceduralmente allargata, responsabile, e trasparente e che, almeno per un partito di sinistra, e in modo ancora più sostanziale per un partito di sinistra, rimane sempre a favore di quelli la cui unica risorsa politica è il voto. In altre parole i partiti dovrebbero lasciarsi alle spalle la tendenza a fare appello alla rappresentatività e cominciare a indirizzarsi verso gli appelli al buongoverno.

 

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