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Letto per voi/Il vero bersaglio

Sergio Romano

 

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Questo articolo e' apparso sul "Corriere della Sera"   del 21 maggio.

Nulla è pericoloso, dopo un attentato terroristico, quanto un'analisi frettolosa e sbagliata. Le bombe di Londra e alcune vicende americane degli scorsi anni dimostrano che esiste ormai nelle società avanzate un terrorismo mimetico alimentato da piccoli gruppi che si copiano a vicenda e sfogano rancori personali o marginali, politicamente irrilevanti. Le sigle e le bandiere - nazismo, comunismo, messianesimo religioso - sono soltanto pretesti con cui queste cellule impazzite cercano di dare visibilità e giustificazione ai loro crimini. Gli attentati, in questo caso, appartengono alla patologia delle società moderne piuttosto che alla loro storia politica. Ci auguriamo che l'omicidio di Massimo D'Antona rientri in questa categoria.

Ma il tono della rivendicazione, il numero delle persone coinvolte nell'attentato e la personalità della vittima suggeriscono riflessioni diverse. D'Antona è stato in questi mesi, a fianco del ministro Bassolino, l'esatto corrispondente degli uomini che durante gli anni Settanta e Ottanta furono nel mirino delle organizzazioni terroristiche. Cerchiamo di ricordare. Il terrorismo predicava la "lotta di classe", ma colpì in molte circostanze le personalità della sinistra riformatrice e moderata che maggiormente si adoperavano per trovare uno sbocco ragionevole alle tensioni sociali del Paese. Colpì Guido Rossa, sindacalista dell'Italsider, perché non era disposto a permettere che la sua fabbrica divenisse un "covo". Colpì Ezio Tarantelli e Gino Giugni perché stavano elaborando modelli di cooperazione e concertazione. Colpì Roberto Ruffilli perché cercava di riformare il sistema politico italiano. Colpì Walter Tobagi perché si ostinava a fornire un quadro ragionato e imparziale degli avvenimenti di cui era testimone. Come altre volte nel corso del secolo il massimalismo rivoluzionario dimostrò di odiare i riformatori più del "nemico di classe". E poiché i leader erano generalmente protetti si accanì contro i loro consiglieri.

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Le circostanze sono diverse. Il Paese ha superato le tensioni sociali degli "anni di piombo", è passato senza violenza attraverso le vicende costituzionali e giudiziarie di questo decennio, ha vinto la scommessa dell'euro con la collaborazione delle "parti sociali", ha pagato con molti sacrifici le spese del risanamento finanziario e ha festeggiato avant'ieri l'elezione di un capo dello Stato che gode di un largo consenso nazionale.

Ma ciò che a noi sembra una manifestazione di maturità e di progresso civile può sembrare ad altri una minaccia e un pericolo. L'Italia attraversa, con qualche pesante ma inevitabile costo sociale, una fase di trasformazione e modernizzazione a cui maggioranza e minoranza collaborano da posizioni diverse. Ma vi è ancora nel Paese un'area massimalista che continua a inventarsi nuovi nemici: la globalizzazione, l'imperialismo capitalista, i poteri forti un'area che non rinuncia a esprimersi (lo abbiamo constatato nel corso di alcune recenti manifestazioni) con brutalità e teppismo. Per quieto vivere a questa frangia della società è stata concessa una licenza di illegalità che nessuno Stato democratico ha il diritto di tollerare. Incontrollata e indisturbata, può diventare, come è giàaccaduto in passato, il terreno di culturae il retroterra di organizzazioniterroristiche.

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In Italia, fra il 1976 e il 1988, sono morti 229 civili, 73 agenti delle forze dell'ordine e 9 magistrati. Sono cifre che nessuno - classe politica, servizi e polizia, per non parlare dei giovani nati negli ultimi vent'anni - ha il diritto di dimenticare.

 

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