Letti per voi/Nell'urna svanisce il sogno
centrista Angelo Panebianco
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Accade di rado che il Paese possa legittimamente rallegrarsi del
comportamento della sua classe politica. Questo è uno di quei rari momenti. Per le
caratteristiche dell'uomo che è stato eletto presidente della Repubblica. Quanto al modo
di elezione, la convergenza al primo turno del grosso della maggioranza e dell'opposizione
sul nome di Ciampi è un grande successo dei principali leader dei due schieramenti, da
Veltroni a D'Alema, da Berlusconi a Fini, a Casini, e crea anche le premesse per un clima
di collaborazione (ma aperta, non sottobanco) anche su altri impegnativi temi dell'agenda
politica italiana.
Quanto alla figura dell'eletto, con Ciampi - secondo governatore della
Banca d'Italia che sale al Quirinale, dopo Luigi Einaudi - l'Italia si dà un presidente
che gode di unanime stima nelle capitali europee.

Non per ingenerosità nei confronti del presidente uscente, ma solo per
amore di obiettività, possiamo dire che con l'elezione di Ciampi viene definitivamente
chiusa l'epoca della Dc, di cui la presidenza Scalfaro è stata in molti modi la coda
finale. Scalfaro venne eletto nel 1992, quando la Dc era ancora il partito di maggioranza,
secondo un rituale tante volte utilizzato nei decenni precedenti: dopo che il candidato
ufficiale alla presidenza (era allora Forlani) era stato bruciato dai franchi tiratori, si
ricorse all'outsider, al nome inizialmente inaspettato (anche lui democristiano).
Sulla base della regola secondo cui, al gioco delle correnti dc,
conveniva l'elezione di un democristiano non troppo potente dentro il partito.
L'elezione di Ciampi è la prima dell'epoca post democristiana. Essa
ha, fra l'altro, il vantaggio di mettere la parola fine su quei confusi progetti di
ricostituzione del "partito di centro" che tanti ex democristiani, ovunque
fossero politicamente collocati, e dunque non solo nel Partito Popolare, hanno coltivato
in questi anni.
Dimenticando che se la Dc ebbe grandi meriti (e li ebbe senz'altro,
insieme anche ad alcuni demeriti) nella storia della Repubblica, nell'intervallo che
separò la fine della Seconda guerra mondiale dalla fine della Guerra fredda, l'idea di
ricostituire oggi qualcosa di simile era assurda, antistorica, comunque destinata a
fallire, magari dopo avere procurato danni al Paese. A dispetto di coloro che strillano,
sbagliando bersaglio, contro il "consociativismo" la modalità di elezione di
Ciampi, con la convergenza sul suo nome dei due poli, di maggioranza e di opposizione, ha
attuato precisamente quello che dovrebbe essere il modo "normale" di elezione
del presidente della Repubblica in una democrazia che resta (almeno per ora) parlamentare
ma che, al tempo stesso, ha scelto, sia pure fra mille contraddizioni, la strada del
confronto "bipolare" fra schieramenti contrapposti: si converge su un candidato
che, per la sua statura, il suo prestigio, la sua credibilità personale, promette di
comportarsi da presidente "al di sopra delle parti", in grado di garantire, allo
stesso modo, entrambi gli schieramenti.

Ogni presidente neo-eletto è sempre, almeno per certi versi, un
oggetto misterioso. Non importa quanto crediamo di sapere di lui e della sua storia
passata. La solitudine del ruolo fa sì che spesso i suoi comportamenti come presidente
riservino sorprese. In una Repubblica che, dopo il crollo dei grandi partiti, ha affidato
all'inquilino del Quirinale un peso politico di primissimo piano, avremo presto modo di
osservare le mosse del nuovo presidente in situazioni delicate e difficili.
Resta sempre aperto il problema di come conciliare un'accresciuta
politicizzazione del ruolo del presidente con una modalità di elezione alla carica che
(nelle intenzioni dei costituenti) quella politicizzazione escludeva. Per chi ancora ci
crede, di questo dovrebbe soprattutto occuparsi la riforma della Costituzione.
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