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Letti per voi/Tra Mosca e Belgrado

 

Alberto Ronchey

 

 

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Questo articolo è apparso sul "Corriere della sera" di mercoledi' 7 aprile

 

Prima domanda. Milosevic annuncia la tregua unilaterale della "pulizia etnica" nel Kosovo per la pasqua ortodossa come un espediente volto a ritardare la temibile offensiva semiterrestre degli elicotteri apaches, oppure come primo segnale d'un cedimento? Al di là delle immediate risposte occidentali, per sondare a fondo la verità delle cose risulterà necessaria una mediazione. Seconda domanda. Nelle sei ore di "tesi colloqui" con Milosevic, il 30 marzo a Belgrado, la tentata mediazione del primo ministro russo Primakov era già fallita o appena cominciata? E su quali basi? Gli esperti avanzano ipotesi e congetture.

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Sulla Washington Post, Ronald Linden reputa plausibile che le truppe russe, già decisive in Bosnia, siano coinvolte anche nell'arbitrato territoriale del Kosovo persino con preminenti funzioni, mentre la nato potrebbe come "polizza d'assicurazione" presidiare la macedonia e l'albania. Simili opinioni insistono suilegami storici tra serbi e russi, da quando gli zar esortavano alla riscossa gli slavi balcanici contro la dominazione ottomana, o ancora prima per molteplici tramiti antichi, dalla teologia ortodossa come dall'alfabeto cirillico. Senza dimenticare le alleanze dalla prima guerra mondiale alla seconda, quando i russi giunsero a Belgrado superando il danubio dalla Romania. Riflessi condizionati non da poco per l'immaginario collettivo, sotto la fortezza del Kalimegdan e sotto il Cremlino.

Ma c'è di più. Evgenij Primakov appare un realpolitico di capacità notevoli, mentre non mancano a Mosca i mezzi di pressione su Belgrado.

I mig, la potenziale copertura della ricognizione satellitare, il petrolio. Dopo la dissoluzione dell'urss, i "grandi russi" della duma e del governo aspirano al recupero d'un ruolo internazionale. La federazione russa, oggi sovrana solo su 10 milioni di chilometri quadrati rispetto ai 22 milioni del territorio già sovietico, rimane un'entità enorme dal Baltico al Pacifico. Tuttavia Primakov non sembra ignorare che per ora, nel rapporto di forze con la nato, il ruolo internazionale preteso dai suoi grandi elettori frustrati è concepibile solo come capacità di mediazione più o meno arbitrale nei balcani.

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Allora, fidarsi dei russi? Questione di misura, senza ignorare le incognite, ma senza neanche dimenticare che oggi la Russia conserva solo i residui della superpotenza missilistico-nucleare temuta fino a Breznev, anzi a stento sopravvive tra le sue arretratezze tecnologiche in un marasma economico e politico.

Forse Primakov, fra tante armi obsolete, non può che accreditare la funzione di potenziale mediatore nei Balcani ricorrendo a gestualità come la missione di quell'unità della flotta del Mar Nero, giudicata inessenziale dal Pentagono anche perché nel porto di Sebastopoli restano per ora solo sei navi russe dopo il sequestro delle altre da parte ucraina.

Se a Mosca non mancano mezzi di pressione su Belgrado, a maggior motivo non mancano agli Stati Uniti come all'Unione europea e al Fondo monetario mezzi di pressione su Mosca, mentre il rublo rimane ancorato al vento. Eppure la politica estera di Primakov, stretto fra nazionalisti e nostalgici comunisti, non è affatto scontata e anzi è materia di scommessa storica. La Russia in Europa non procede quasi mai secondo la nostra logica, ma secondo la mossa del cavallo sulla scacchiera, come già spiegava Viktor Sklovskij: "Si muove di fianco, perché la via diretta gli è preclusa".

 

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