| Letti per voi/La tecnica di Pearl Harbour     
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        Letti per voi/La tecnica di Pearl Harbour 
          
          
        L'articolo che qui pubblichiamo è apparso su "il manifesto"
        dell'1 Aprile 1999 
        Forse un giorno, in un futuro lontano, le facoltà di scienze politiche
        terranno seminari sul "caso Serbia 1999", cercando di analizzare l'assurdità di
        un'Europa che contribuì a destabilizzare se stessa all'indomani della moneta unica.
        Perché l'Europa si è fatta coinvolgere in un disastro senza ritorno che minaccia di
        diventare una piaga purulenta da cui scaturirà destabilizzazione continua, pur sapendo
        che gli Stati uniti ne trarranno tutti i vantaggi economici a lunga scadenza (anche a
        breve: ieri, record in borsa e balzo del dollaro)? Perché? Se lo sono chiesto domenica
        scorsa su queste pagine anche Dinucci e Gallo, in un articolo illuminante, e la risposta
        è risultata sconsolata: "Questa Europa fondata sulla moneta ha una tale miopia da
        non riuscire a vedere neppure ciò che la danneggia". E l'altra domanda che ricorre
        è: perché accade proprio quando è governata da coalizioni di centrosinistra? Qui temo
        che la risposta andrebbe chiesta non ai politologi, ma agli psicologi (meglio se
        specializzati in turbe dell'infanzia).I conservatori sono abituati a gestire il potere, e
        tra loro si trattano, se non da pari a pari, almeno con una certa determinazione e
        reciproca arroganza. Blair, D'Alema, Schröder, sembrano invece uomini ancora giovani che
        hanno inseguito per tutta la vita un sogno di governo, e adesso che l'hanno realizzato,
        dicono: "Ma come, non posso rischiare di perderlo proprio ora, dopo tante
        frustrazioni e sacrifici... Ci speravo fin da bambino!". E affermare che il re è
        nudo, dire agli Usa che questa guerra mina alle fondamenta l'Unione europea, comporta
        effettivamente il rischio di rappresaglie: Craxi post-Sigonella docet... 
          
        Sempre domenica scorsa, Luigi Pintor, con tono altrettanto sconsolato,
        scriveva che in questa Unione europea "non abita nessun De Gaulle". Non si
        tratta certo di rimpiangere i conservatori nazionalisti, ma è un dato di fatto: De Gaulle
        non lo avrebbero infinocchiato con tanta disinvoltura e facilità. Ma a proposito
        dell'articolo di Pintor, all'inizio, parlando dell'escalation che portò alla seconda
        guerra mondiale, dice anche: "Gli americani tutto potevano immaginare meno che
        l'attacco giapponese a Pearl Harbor". Se per "americani" (cioè
        statunitensi, in rispetto ai popoli tra il Rio Bravo e la Terra del Fuoco, tutti
        americani) si intendono gli abitanti, l'opinione pubblica, la cosiddetta società civile,
        allora sì, non potevano immaginarlo. Ma il governo, e in primis l'industria bellica, non
        solo sapevano, ma hanno creato praticamente a tavolino lo "shock Pearl Harbor". 
        Penso valga la pena approfondire, per capire come funziona il lavaggio
        e risciacquo dei nostri cervelli. Durante la presidenza Roosevelt, l'opinione pubblica era
        in massima parte contraria all'entrata in guerra, mentre per i vertici politico-economici
        rappresentava l'occasione di assumere la leadership del mondo. Occorreva dunque un evento
        traumatico che portasse a urlare vendetta. Lo strangolamento del Giappone, privandolo dei
        vitali rifornimenti petroliferi a partire dal 26 luglio 1941, lo spingeva inesorabilmente
        verso lo scontro con gli Usa. E già nel gennaio precedente, ipotizzando l'entrata in
        guerra, l'ammiraglio Frank Knox, allora ministro della marina a Washington, scriveva in un
        rapporto al presidente: "E' assai probabile che le ostilità con il Giappone si
        aprano con un attacco contro la nostra flotta di Pearl Harbor, e i precedenti dimostrano
        che le forze dell'Asse attaccano preferibilmente di sabato o domenica". Sarebbe
        andata esattamente così, il 7 dicembre successivo. E il 3 novembre, un mese prima
        dell'attacco, l'ambasciatore Usa a Tokio, Joseph Grew, comunicava che l'ambasciatore del
        Perù gli aveva rivelato che negli ambienti ufficiali tutti davano per scontato che la
        marina nipponica si stava preparando a bombardare Pearl Harbor. 
        Tali avvertimenti e rapporti compongono una lista incredibilmente
        lunga. Un ultimo dettaglio inquietante: il 6 dicembre, a ventiquattr'ore dall'attacco,
        l'ammiraglio Halsey, al comando della portaerei Enterprise, ordinava di alzare la bandiera
        di combattimento, e di fronte alle proteste di un ufficiale (il tenente William Jackson)
        rispondeva seccamente di "eseguire gli ordini". Dalla dichiarazione
        dell'ammiraglio Kimmel, comandante in capo della squadra del Pacifico, si apprenderà
        successivamente che non solo anche l'altra portaerei, la Lexington, la stessa base di
        Pearl Harbor erano in stato di allarme fin dal 27 novembre, dopo il telegramma da
        Washington che diceva testualmente: "I negoziati con il Giappone sono stati
        interrotti. Attendiamo nei prossimi giorni una mossa aggressiva". A Pearl Harbor gli
        statunitensi lasciarono solo le vecchie corazzate, obsolete e praticamente inutilizzate
        nella seconda parte del conflitto, mentre tutte le portaerei - il fulcro della guerra
        moderna - si trovavano ben lontane, pronte a sferrare la "ritorsione".Quello di
        Pearl Harbor fu un deliberato, cinico inganno di proporzioni colossali, volto a
        "conquistare i cuori e le menti" di una società civile indecisa o addirittura
        avversa. L'ho usato come esempio eclatante, ma da allora quasi tutti i conflitti sarebbero
        stati preparati allo stesso modo, e il copione si ripete spudoratamente identico, con
        l'apporto dirompente dei falsi televisivi e fotografici. Anche qui l'elenco è infinito:
        la messinscena del "massacro di Timisoara", i sacchi di cocaina a casa di
        Noriega (era farina per tamales), il "prigioniero bosniaco del lager serbo" che
        risulterà un affamato al di là (e non all'interno) del recinto, le stragi di musulmani
        bosniaci (quella del "mercato" o delle raffiche sui funerali) compiute da
        miliziani musulmani attribuendole ai serbi (tutto documentato dagli ufficiali dell'Onu,
        che hanno provato l'impossibilità dei mortai serbi di raggiungere quel punto, ma troppo
        tardi), l'Iraq come quarta potenza bellica (!), Bush che diede il consenso-trappola a
        Saddam di invadere il Kuwait per poi dimostrarsi sbalordito e infuriato, l'attentato di
        Lockerbie che "dirottato" sulla Libia quando era emersa inconfutabile la
        "pista siriana" con partecipazione di elementi iraniani, eccetera eccetera
        eccetera. Sulla manipolazione del consenso, è meglio leggersi i testi di Noam Chomsky, e
        difendersi tenendo il televisore spento. 
          
        Però, a sostenere tutto questo, si rischia di essere definiti
        "cinici" dai cinici di sempre: "Ma come, i serbi massacrano gli albanesi e
        noi stiamo a guardare?". E' incredibile: si è verificato un meccanismo inverso,
        cioè il bombardamento è venuto prima della motivazione-lavacervelli, e i profughi,
        causati proprio dalla guerra, diventano la giustificazione della stessa. Milosevic è
        dipinto come il nuovo satana, e intanto consolidano il suo potere portando le opposizioni
        a unirsi compatte contro l'Occidente. La memoria si è offuscata già dall'altroieri:
        finché gli osservatori Osce erano in Kosovo, avvenivano scontri, ma non certo esodi
        biblici. L'Uck, un'organizzazione che ammazza gli albanesi "collaborazionisti"
        (o con noi o contro di noi, mussolinianamente), armata e addestrata dagli Usa in funzione
        destabilizzatrice, che ha creato ogni sorta di pretesto per evitare una soluzione
        politica, ha dimostrato di disprezzare la propria gente quanto i paramilitari serbi. E
        nonostante la messinscena di Racak, dove i cadaveri presi da varie zone sono stati riuniti
        in un unico vallone per simulare un massacro, non abbia convinto nessuno, la guerra è
        scoppiata lo stesso. Stupidamente, mi chiedo ancora perché una sedicente Organizzazione
        per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa avesse, in Kosovo, un capo statunitense, quel
        William Walker (nome e cognome profetici: fu il primo invasore del Nicaragua nel secolo
        scorso) amico dei peggiori genocidi centroamericani, il cui passato è stato volutamente
        ignorato da tutti, uomo di un'arroganza e una protervia senza limiti. 
        Comunque, sono d'accordo con alcune voci pacifiste che dicono di
        piantarla con la solita lagna: siamo servi degli statunitensi, gli Usa qua e gli Usa
        là... Sicuramente, occorre smetterla con una certa visione che li vorrebbe "elefanti
        in cristalleria": sanno benissimo cosa stanno facendo, hanno obiettivi precisi e
        calcolati, non improvvisano mai nulla, e in questo secolo hanno sempre ottenuto il fine
        prefissato; anche in Vietnam, da dove si sono ritirati solo dopo averlo ridotto in
        frantumi, aspettando pazientemente che rientrasse all'ovile a testa china.L'Europa
        partecipa, è colpevole, quindi bisogna prendersela con i nostri governi. Ma accusandoli
        di cosa, non lo so. Miopia, è troppo poco. Masochismo, forse sì, ma fino a che punto
        consapevole? Attaccamento forsennato alla poltrona di premier, sicuramente, e a qualsiasi
        costo, compreso lo sgretolamento dell'Unione europea in quanto minaccia economica e
        commerciale agli interessi del dollaro, divinità globalmente incontrastata. E' la
        dimostrazione lampante di cosa intendevamo dicendo che l'unione monetaria senza unione
        politica era un rischio pericolosissimo: si è fornito il fianco alla zampata di chi
        contava proprio sulla mancanza di intesa tra i governi europei, che si comportano (loro
        sì, altro che gli statunitensi) da bambocci intimoriti: perché dovrei farmi avanti io,
        che lo faccia prima lui... E nessuno fa niente (a parte Blair, che quando vede Clinton
        sembra uno scottish terrier scodinzolante, persino lo sguardo gli diventa istericamente
        felice in attesa della pacca sulla testa). 
        Ho iniziato parlando di università del futuro: paradossalmente,
        converrebbe augurarsi che gli Usa continuino anche nel prossimo secolo a non sbagliare un
        colpo come in questo ventesimo morente, perché se dovessero esagerare nell'ottimismo e
        non prevedere che qualche suddito potrebbe fare gesti inconsulti, tutto ciò che nel
        futuro costituirà materia d'insegnamento sarà il padre che mostra al figlio - entrambi
        coperti di bubboni - come meglio usare la clava. 
          
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