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"L'antiamericanismo alla Scalfari è estremamente pericoloso"

 

Joseph LaPalombara intervistato da Marco Calamai

 

 

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Joseph LaPalombara è un politologo americano che ha dedicato gran parte della sua vita a studiare la situazione italiana nonché i rapporti tra il nostro paese e gli Stati Uniti. Attualmente insegna Scienze Politiche e Management alla Yale University. Ha ricoperto importanti incarichi accademici ed è stato tra l’altro Direttore a Yale dell’Istituto per gli Studi Sociali e Politici. E’ stato anche socio fondatore e Presidente della Multinational Strategies,Inc (New York) ed è attualmente Presidente della Italian-American Multimedia Corporation (New York). Il suo libro " Democracy, Italian style" ( 1987), è stato pubblicato in molte lingue. Al Professor LaPalombara chiediamo di commentarci la situazione politica del nostro paese e lo sviluppo delle relazioni italo-americane in questi giorni cruciali della guerra contro la Serbia di Milosevic.

 

Da più parti l’Italia viene considerata come l’anello debole della catena Nato. Nei primi giorni del conflitto siamo stati a due passi da una crisi di governo con la minaccia di dimissioni dei due ministri comunisti . Eppure Massimo D’Alema ha tenuto e sembra tenere anche in queste ore segnate dall’offerta di tregua di Milosevic, una proposta che senza dubbio punta a dividere i paesi del Patto Atlantico. Come giudica questa situazione?

A me pare che D’Alema stia facendo dei quasi miracoli in una situazione difficilissima. Fino ad ora ha saputo far fronte alle spinte centrifughe dei comunisti di Cossutta, dei verdi e dei settori del PPI che non condividono i bombardamenti. Mi sembra evidente che D’Alema e i suoi più stretti collaboratori sono decisi ad impedire che l’Italia scivoli in una posizione ambigua e non credibile.

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Il fatto è che l’attuale maggioranza di governo è molto fragile per la sua composizione. Il sistema elettorale italiano, inoltre, non aiuta certo ad affrontare situazioni straordinarie come questa.

Certo, ma è anche vero che ci sono altri governi di coalizione che aderiscono alla Nato, uno dei quali, la Francia, vede i comunisti al governo come in Italia . Eppure solo in Italia si assiste allo spettacolo di un primo ministro che prende una posizione pubblica sul Kosovo e sui serbi dopo di che ,subito dopo, viene smentito da dichiarazioni del tutto diverse di altri membri del governo che pure non si dimettono.

 

C’è da chiedersi cosa farebbe l’Italia se si arrivasse ad un intervento a terra delle forze Nato

Ritengo assai probabile che si arrivi alla decisione di far entrare truppe di terra all’interno del Kosovo. Una decisione , penso, che non era stata presa in considerazione da nessuno all’inizio del conflitto. Neanche da Clinton. Vedremo nei prossimi giorni. Ma ora appare chiaro che è difficile una vera vittoria della Nato con i soli bombardamenti. Cosa farà l’Italia in questo caso? Non sono in grado di prevederlo per il momento. In ogni caso questa è la domanda numero uno che si pongono a Washington anche perché, diciamolo con franchezza, l’Italia ha una importanza decisiva dal punto di vista della logistica bellica.

 

Uomini politici del governo stanno formulando ipotesi alternative ai bombardamenti. Molto interessante, da questo punto di vista, l’intervista al nostro Ministro degli Esteri, Dini, che ha proposto (Corriere della sera, 4 aprile) un embargo attraverso un accordo tra tutti i paesi che circondano la Yugoslavia. Come giudica questa proposta?

Penso che dietro la proposta Dini, persona che conosco e stimo, ci sia il tentativo, senza dubbio generoso, di arrivare ad una sospensione dei bombardamenti oppure di evitare un eventuale sbarco di truppe Nato nel Kosovo. In ogni caso mi sembra una strategia di difficile realizzazione considerando la situazione delle frontiere serbe . Sull’efficacia degli embargo ho molti dubbi. Soprattutto in questo caso con paesi come la Romania che sono confinanti con la Serbia ma non fanno parte della Nato. Non possiamo dimenticare, d’altronde, quello che ci insegna la storia di questo secolo: l’embargo, per terra o per mare, non funziona. Nel migliore dei casi gli embarghi hanno funzionato per periodi brevissimi.

 

In Italia cresce in questi giorni un atteggiamento critico nei riguardi degli Stati Uniti. Non ci sono soltanto le posizioni filo-serbe, più o meno camuffate, dei Bertinotti e dei Bossi , ma quelle di un antiamericanismo ben più sofisticato e meno esplicito . Come quello espresso da Eugenio Scalfari (La Repubblica, 4 aprile ) che afferma, tra l’altro, che Determined Force "è nata tre mesi dopo la nascita dell’euro. Non è malizioso pensare che tra i suoi obiettivi ci sia anche quello di rendere ancor più difficile e remota di quanto già non sia la costruzione di una Europa politica e militare". Qual è il suo parere su questa valutazione per altro condivisa da numerosi commentatori anche non italiani?

Non mi sorprendono le posizioni di certi settori della sinistra e del mondo cattolico. Costoro, chiedendo di accettare la tregua proposta da Milosevic, portano avanti una posizione stupefacente, distorta e, nel lungo periodo, estremamente pericolosa per l’Europa e per lo stesso genere umano. Mi sorprende di più, anche se non del tutto, il ragionamento di Scalfari, uno dei piú significativi giornalisti italiani degli ultimi decenni, che ritiene che gli Stati Uniti stiano perseguendo una strategia finalizzata a mantenere l’Europa in una situazione di dipendenza dagli Stati Uniti sul piano economico e militare. Commenti di questi tipo non soltanto alimentano l’antiamericanismo che sarà sempre una componente del giudizio europeo sugli Stati Uniti ma sorprendono profondamente nella misura in cui vengono da una persona colta ed intelligente come Scalfari

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Mi chiedo come il Pentagono o la Casa Bianca valutino posizioni come quelle su ricordate proprio nel momento in cui sono proprio gli Usa a sostenere il maggior peso della guerra contro Milosevic.

A mio parere molto male. Il problema dei Balcani è alle porte dell’Europa , non degli Stati Uniti. Gli americani sono intervenuti in Medio Oriente, e ora in Yugoslavia, quando invece l’Europa non aveva alcuna voglia di affrontare sul serio certi problemi. D’altra parte le crescenti difficoltà nei Balcani non sono iniziate ieri. Sono iniziate quando la Germania, in modo unilaterale, ha sancito la disgregazione della Yugoslavia riconoscendo la Croazia e la Slovenia. Forzando di fatto, in questa direzione, il resto dell’Unione Europea. Il fatto è che la mirabile marcia dell’Europa verso l’integrazione economica, di cui l’Euro è il simbolo, non è neppure lontanamente paragonabile all’integrazione politica.

Mi piacerebbe fare io due domande ai giornalisti e ad altri che si occupano di questi temi in Europa. La prima: quali sono le reali possibilità che l’Europa riesca a sviluppare la capacità politica e militare necessaria per affrontare da sola i problemi del suo "cortile di casa" ? La seconda : fino a che punto certi paesi, come l’Italia, saranno contenti nel vedere l’egemonia americana nelle relazioni internazionali passare, poiché di questo si tratta, nelle mani di una capitale europea come Bonn e presto Berlino?

 

Oggi i dirigenti postcomunisti che si riconoscono nei Democratici di Sinistra, anche se non tutti, riconoscono , come afferma Luigi Colajanni nel precedente numero di Caffè Europa, che c’è stato un notevole cambiamento nella politica estera americana rispetto ai tempi delle guerra fredda. Questo mutamento si muoverebbe verso quella strategia che viene chiamata "l’ingerenza umanitaria ", strategia che in questo momento piace molto non solo ai postcomunisti italiani ma a gran parte della sinistra europea. Lei condivide questo giudizio?

Non c’è dubbio che cambiamenti significativi in questa direzione siano avvenuti nella politica estera americana dopo la fine della Guerra Fredda. Tuttavia riterrei un errore se questa valutazione venisse troppo enfatizzata. Gli Stati Uniti, dopo tutto, non sono un paese né di angeli né di buoni samaritani. In termini generali gli Stati Uniti, come altri paesi, cercano di portare avanti una politica estera orientata alla tutela degli interessi nazionali in modo decentemente non aggressivo. Detto tutto questo devo anche riconoscere che gli Stati Uniti non hanno in questo momento una coerente e chiara politica né verso il Medio Oriente, né verso i Balcani, né, ancora, verso la Cina, il cui peso sulla scena mondiale nel prossimo secolo dovrebbe rappresentare un problema assolutamente prioritario. In ogni caso sono convinto che la strategia della "ingerenza umanitaria" dovrebbe diventare una componente determinante della politica estera delle grandi democrazie, compresa l’Italia. Senza una spinta di questa natura credo che sarà davvero molto difficile convincere i giovani americani a rischiare la vita sbarcando in zone come i Balcani .

 

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