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Itinerario/Che cos'è più "naturale"?



Andrea Begnini



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Molti sono i siti e le comunità in Rete che si vanno formando attorno all'argomento cibi geneticamente modificati. La possibilità di spiegare cosa effettivamente sia un OGM spetta prima di tutto a coloro che ne producono e che ci guadagnano. Uno dei più grandi colossi americani produttori di cibo transgenico, la Monsanto, ci introduce nel suo sito a un percorso attraverso l'universo della genetica applicata; vengono per esempio presentati la soia Roundup Ready e il mais YieldGard, due tra i primi prodotti geneticamente alterati e messi in commercio. Con il primo gli agricoltori possono sostituire gli erbicidi con un diserbante che si degrada velocemente nel suolo e in condizioni normali non inquina le falde acquifere; con il mais speciale invece viene ridotto di molto l'impiego degli insetticidi.

Un dato che spesso si tende a non considerare rivela che nel 1997 il 56% degli agricoltori statunitensi ha coltivato soia Roundup Ready. Secondo la stessa indagine la metà di questi coltivatori ritiene che questo tipo di soia costituisca il futuro dell'agricoltura. Un'ulteriore difesa dell'intervento genetico sugli alimenti viene da Whybiotech , il sito del Council for Biotechnology Information, un consorzio che riunisce la maggior parte dei produttori di alimenti transgenici: sul sito sono presentate numerose schede che descrivono i prodotti e le pratiche, avviate o ancora in fase sperimentale, messe in atto per rendere i cibi più nutrienti e più resistenti. Un esempio? Il riso vitaminizzato, importante per l'equilibrio della dieta nei paesi dell'Est del mondo. In questa direzione si stanno muovendo moltissimi scienziati che, come Umberto Veronesi, stanno ragionando attorno alla possibilità di introdurre negli alimenti geni protettivi contro alcune malattie, ad esempio i tumori.


La paura però è tanta, e non del tutto ingiustificata. Il Comitato contro la manipolazione genetica degli alimenti (www.rfb.it) cita alcuni recenti studi del Cnr secondo i quali le piante transgeniche, essendo più resistenti di quelle abitualmente coltivate, prenderanno probabilmente il sopravvento sulle altre e monopolizzeranno il territorio. La mancanza di sicurezza nell'impiego della genetica per l'alimentazione spinge l'opinione pubblica a rifiutare il problema in blocco oppure ad assecondarsi al più comodo degli espedienti, il famoso principio dell'"occhio non vede, cuore non duole"; ecco perché grandi catene di supermercati come Esselunga  si precipitano a precisare alla propria clientela che tra i banchi dei loro negozi non si trovano prodotti transgenici, dimenticando che alcune tra le grandi marche ne fanno largo impiego in modo indiretto (difficile garantire che i biscotti al mais siano stati assemblati con materie prime del tutto "naturali", a cominciare dalla farina).

Strategie commerciali o meno, sono molte le case produttrici che espongono sulla confezione dei propri prodotti la scritta "OGM free" per indicare l'assenza al loro interno di organismi transgenici. E molti sono i siti dedicati a prodotti coltivati biologicamente, come Agricoltura biologica che presenta, oltre alla vendita online di prodotti, un'ampia rassegna di libri, riviste, convegni e iniziative sull'argomento, o Bioshop , che ha 400 prodotti "OGM free" in catalogo e li invia in tutta Europa al costo di tre euro per la spedizione.

Altri buoni indirizzi sono Natura amica e Bioitaly , che offrono formaggi naturali, vini passiti, caffè, pasta e conserve, tutto rigorosamente controllato ed esente da manipolazioni genetiche. Il problema è proprio quello del controllo perché non basta la parola; occorre infatti una certificazione dei singoli prodotti secondo le leggi della Comunità europea: direttive e indicazioni si possono controllare sul sito del Consorzio per il controllo dei prodotti biologici con sede a Bologna . Il Consorzio ha anche avviato un programma chiamato "Comune antitransgenico": hanno aderito a questa iniziativa piccoli Comuni come Nomaiada, in provincia di Nuoro, e Rocchetta Tanaro, in provincia di Asti, ma anche regioni come il Molise (e il Laziosta per seguire a ruota). Per fare parte di questa comunità occorre sviluppare sul proprio territorio un'agricoltura non transgenica, oltre a una serie di altre iniziative volte a promuovere un approccio naturale a tutti gli aspetti che riguardano la gestione cittadina, dal trattamento dei rifiuti alla depurazione delle acque.


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