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Cultura della legalità, sviluppo economico, sicurezza dei cittadini e funzionamento delle istituzioni. Dal circolo vizioso al circolo virtuoso

 

Ernesto U. Savona*

 

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Relazione presentata al convegno di Società Libera su: Società Libera, Mezzogiorno e Criminalità - Napoli, 13 marzo 1999

 

  INDICE

1. Premessa

2. Il made in Italy della sicurezza prêt a porter

3. Le politiche di controllo penale: che cosa funziona e che cosa non funziona nei programmi di "tolleranza zero"

4. Quali strategie per produrre prevenzione della criminalità e ridurre l’insicurezza

4.1. La prevenzione della criminalità e le strategie per realizzarla

5. In sintesi: un mix di welfare e controllo penale

6. Applicare questo mix di welfare e controllo penale nel Mezzogiorno per produrre sicurezza ed innescare il circolo virtuoso

 

RIFERIMENTI

1. Premessa

Il titolo stesso di questa relazione contiene un assunto, un’interpretazione, un auspicio ed un’indicazione:

- L’assunto è che cultura della legalità, sviluppo economico equilibrato, sicurezza dei cittadini e funzionamento delle istituzioni sono reciprocamente collegati in un circolo dove uno dei quattro elementi influenza l’altro in maniera positiva (virtuoso) o negativa (vizioso);

- L’interpretazione dei dati è che in molte delle sue aree il Mezzogiorno parta da indicatori peggiori del resto d’Italia per ciascuno dei quattro elementi e che questi indicatori tendono al peggioramento;

- L’auspicio è che, se si vuole invertire il circolo da vizioso a virtuoso, è possibile che sia sufficiente intervenire su uno o più di questi elementi. La scelta del quale di questi e del come modificarlo dipende dai criteri della sua fattibilità e del tempo per realizzarla (breve o lungo). Occorrerebbe, cioè, individuare quel fattore che tra i quattro presenta le maggiori probabilità di successo nell’essere prodotto;

- L’indicazione è che, considerata oggi la situazione del Mezzogiorno in particolare e la rilevanza che il problema sicurezza ha nella doppia valenza di macro e micro – criminalità, un’inversione del circolo da vizioso in virtuoso e, quindi, un aumento dei livelli di cultura della legalità, sviluppo economico equilibrato e sicurezza dei cittadini, possa essere innescato da una miscela di Polizia (nel breve periodo) continuando con Giustizia e Welfare (nel lungo periodo). Perché partire dagli apparati della sicurezza nel breve periodo? Perché queste istituzioni sono più riformabili delle altre in tempi brevi e con decisioni centralizzate. L’importante è avere la volontà politica di aggredire i problemi e la fantasia nel ricercare le soluzioni più adeguate.

E’ necessario un avvertimento per spiegare perché in questa relazione si insisterà molto sugli apparati di sicurezza senza parlare di quelli della giustizia. E’ chiaro che l’efficacia dei primi, almeno nella loro funzione deterrente, è subordinata all’efficacia dei secondi. Le ragioni riguardano la fattibilità reale della loro riforma e suoi tempi. Purtroppo la struttura ed il governo delle istituzioni della Giustizia non permettono, oggi, in tempi brevi una loro riforma in direzione di una maggiore efficacia (accertamento delle responsabilità, condanna dei colpevoli) ed efficienza (tempi più brevi e costi inferiori). E questo vale sia per la giustizia penale che per quella civile, il cui mancato funzionamento ha serie ripercussioni sui bassi livelli di cultura della legalità.

Questa relazione, partendo dal presupposto che l’azione di riforma nel breve periodo debba partire dagli apparati che producono sicurezza, affronta brevemente il dibattito sulla sicurezza nel nostro paese, una sicurezza che si svolge prevalentemente per slogan, e guarda proprio a quegli effetti che le politiche di "tolleranza zero" hanno avuto in altre esperienze dove sono praticate. Dopo una valutazione di cosa funziona e cosa potrebbe funzionare per produrre sicurezza, questa relazione passa ad esaminare il problema nel contesto del Mezzogiorno proponendo due strategie attraverso le quali si può attivare il circolo virtuoso, del quale si è parlato all’inizio, tra cultura della legalità e sviluppo economico equilibrato.

2. Il made in Italy della sicurezza prêt a porter

Il problema sicurezza ha due componenti: l’ammontare di criminalità esistente e la sua paura da parte dell’opinione pubblica. Occorre agire su entrambe queste componenti dato che oggi esse si muovono con segnali opposti: la criminalità diminuisce e la sua paura aumenta.

Il dibattito sulla sicurezza in Italia è povero di idee, si muove alla ricerca di soluzioni prêt a porter da spendere subito nel mercato politico. Ciascuna delle soluzioni proposte, più che misurarsi con i problemi di efficacia e di efficienza degli interventi indicati, vuole mandare un segnale rassicuratorio all’opinione pubblica, rischiando alla fine di produrre solo confusione ed un crescente allarme sociale. Al vuoto di conoscenze su cosa funziona e cosa non funziona si aggiunge la rigidità organizzativa degli apparati di sicurezza e giustizia.

Le proposte sul piatto diventano spesso frasi ad effetto. "Tolleranza zero", per esempio, è la più discussa, e i favorevoli ed i contrari ne vedono soltanto rispettivamente pregi o difetti senza guardare alla complessità dei problemi dove "tolleranza zero" è una delle moltissime alternative praticabili a certe condizioni e certi limiti. Anzi proprio l’analisi dei risultati dei programmi di "tolleranza zero", che producono qualche riduzione della criminalità nel breve ed il rischio di un ritorno a grandi quantità di criminalità nel lungo periodo, costituisce una lezione dalla quale imparare.

 

3. Le politiche di controllo penale: che cosa funziona e che cosa non funziona nei programmi di "tolleranza zero"

Gli interventi o programmi chiamati "tolleranza zero" partono dalla teorie del "vetro rotto" (Wilson e Kelling, 1982), secondo le quali aree urbane disordinate che appaiono fuori da ogni tipo di controllo attraggono la criminalità violenta, nello stesso modo in cui una finestra con un vetro rotto attrae più pietre di una finestra sana. L’ipotesi che ne discende è che maggiore è il numero di arresti fatti dalla polizia per piccoli reati, minore sarà il numero di reati gravi (Skogan, 1990). Questa ipotesi è stata reinterpretata in diversi tipi di intervento e "tolleranza zero" è diventato un concetto di moda con significati diversi da quello originario. Riguardo agli effetti vanno fatte le seguenti precisazioni:

- il declino della criminalità americana è imputabile più a fattori demografici e occupazionali che a interventi come "tolleranza zero";

- la valutazione dell’impatto dei programmi di "tolleranza zero" ha dimostrato che, se è vero che una maggiore attenzione della polizia alla piccola criminalità riduce la criminalità grave nel breve periodo, ha buone probabilità di aumentarla nel lungo periodo. E’ stato dimostrato che programmi generali di "tolleranza zero" realizzati attraverso arresti in massa per piccoli reati producono le seguenti controindicazioni:

ß riducono le chances occupazionali e quindi l’inserimento sociale dei giovani a rischio (Schwartz e Skolnick, 1963);

ß delegittimano la Polizia sia tra le persone arrestate che nel loro network familiare;

ß producono effetti criminogenetici, accrescendo la propensione degli arrestati ad una maggiore violenza domestica ed all'abuso di minori (Sherman, 1993).

Conclusione: "tolleranza zero" funziona solo nel breve periodo, ma in assenza di altre politiche, rischia di non essere uno strumento efficace. Nel lungo periodo gli svantaggi sono maggiori dei vantaggi. E questo senza contare i costi in termini di diritti umani che si pagano subito con la violenza dei metodi utilizzati in alcuni dei programmi così chiamati.

 

4. Quali strategie per produrre prevenzione della criminalità e ridurre l’insicurezza

 

Obiettivo di ogni progetto di sicurezza "serio" dovrebbe essere quello di realizzare la massima prevenzione possibile a minori costi economici e sociali nel rispetto dei diritti della persona. Proviamo ad esporre le acquisizioni più recenti in tema di ricerche sulla prevenzione della criminalità/sicurezza dei cittadini per cominciare a riflettere seriamente sul problema in Italia. E’ necessaria innanzitutto una precisazione sul significato di prevenzione.

4.1. La prevenzione della criminalità e le strategie per realizzarla

Il concetto di prevenzione della criminalità si presta ad una serie di interpretazioni e distorsioni e, tra queste, l’antica dicotomia tra prevenzione e punizione. Al di là del dato temporale ante o post delictum, la prevenzione deve costituire il fine, la punizione uno degli strumenti per raggiungerla. Proteggere i giovani a rischio di criminalità riducendo questo rischio, mettere le grate alle finestre, chiudere in carcere un criminale non sono tra loro in opposizione, si tratta di politiche che tendono a ridurre l’ammontare complessivo di criminalità agendo su obiettivi e destinatari diversi, evitando che i giovani intraprendano una carriera criminale nel primo caso, riducendo le opportunità e quindi il rischio di vittimizzazione nel secondo caso, e rendendo impossibile la commissione di nuovi reati nel terzo. Per questo motivo un’efficace politica di prevenzione può essere definita come quella che produce un più basso numero di reati rispetto a quello che sarebbe stato prodotto senza quella politica. Il che vuol dire meno eventi criminali, meno autori di reati, meno danni provocati, meno costi di giustizia e meno persone vittimizzate. Il concetto ha delle inevitabili distorsioni nel suo uso simbolico e si presta a numerose strumentalizzazioni politiche. In altre parole, occorre ricondurre il concetto di prevenzione a quello di riduzione della criminalità. "Severità", "afflizione", "vendetta" sono tutte categorie che esulano da una valutazione accurata di che cosa funziona e di che cosa non funziona. I criteri sui quali si dovrebbero misurare le politiche di prevenzione sono quelli dell’efficacia e dell’efficienza, ambedue con l’unico limite dei diritti della persona (il soggetto criminale) che vanno comunque tutelati.

 

Quattro sono le strategie tradizionalmente usate per produrre prevenzione della criminalità:

1. programmi basati sulle comunità, sia che si tratti di un villaggio, un quartiere urbano, un vicinato, per lo sviluppo di forme di controllo sociale informale;

2. forme di socializzazione primaria, secondaria, attraverso i media ed il lavoro per ridurre i processi di esclusione sociale e scoraggiare la produzione di violenza;

3. riduzione delle opportunità per rendere il comportamento criminale più difficile, meno profittevole e più rischioso;

4. arresto-condanna-reclusione del criminale con il doppio effetto della deterrenza psicologica e dell’incapacitazione fisica.

Ciascuna delle strategie indicate tocca una o più sedi dove si può fare prevenzione delle criminalità. Si tratta della Comunità, della Famiglia, della Scuola, dell’Ambiente urbano, del Mercato del lavoro, delle Agenzie di Polizia, della Giustizia, del Carcere. In questi luoghi si svolgono ruoli diversi: quello di genitore, di educatore scolastico, di datore di lavoro, quello di commerciante, quello di operatore di polizia, di giustizia e carcerario, quello di parroco, volontario, assistente sociale e di cittadino.

 

 5. In sintesi: un mix di welfare e controllo penale

 

Riassumendo, queste strategie ed i risultati positivi e negativi delle loro diverse applicazioni costituiscono una lezione che si può riassumere schematicamente nella seguente affermazione.

La prevenzione della criminalità e la riduzione della sua paura tendono ad aumentare quanto ottimale (maggiore efficacia per costi inferiori) sia la miscela delle seguenti politiche (che possono essere di breve o di lungo periodo):

 

ß POLITICHE DI WELFARE

dirette alla protezione dei giovani in età a rischio di intraprendere una carriera criminale (lungo periodo);

dirette alla protezione ed assistenza delle vittime (breve periodo)

ß POLITICHE DI RIDUZIONE DELLE OPPORTUNITA’ CRIMINALI

dirette a proteggere i beni e le attività dal rischio criminalità (breve periodo)

ß POLITICHE DI CONTROLLO PENALE DELLA POLIZIA (breve periodo) E GIUSTIZIA (lungo periodo)

dirette a scoraggiare i potenziali criminali dall’iniziare comportamenti criminali e a impedire attraverso sanzioni appropriate, come la reclusione, la ripetizione di comportamenti gravi.

 

 L’efficacia di queste politiche tende ad aumentare al crescere della loro interdipendenza e del loro decentramento nel territorio.

Ricerche svolte dimostrano che interventi mirati in ciascuno dei luoghi indicati al termine del paragrafo precedente, se coordinati tra di loro, possono produrre un ammontare crescente di prevenzione della criminalità. E’ dimostrato, ad esempio, che il carcere può avere effetti positivi in termini di prevenzione se all’uscita il recluso trova un’adeguata e mirata assistenza sociale e un percorso definito nel ciclo formativo/lavorativo. Spesso la validità di un intervento è legata alla sussistenza di un altro intervento in un’altra delle sedi istituzionali indicate. Il circolo famiglia-scuola-comunità è un esempio di molteplicità delle sedi e degli interventi e della necessità della loro integrazione.

Per quanto riguarda il decentramento sul territorio di queste strategie va detto che sia le politiche di prevenzione della criminalità che di riduzione della paura devono avere una dimensione locale. La qualità e la quantità di criminalità nelle città è diversa dalla provincia e città italiane hanno tipologie di criminalità diverse tra loro. Ha sempre meno senso parlare di criminalità italiana e sempre più di criminalità a livello locale: la criminalità di Milano, di Napoli, di Palermo oppure dei piccoli centri sono diverse e sempre meno comparabili tra di loro.

Se la tendenza è verso la localizzazione della sicurezza a livello comunale, provinciale, regionale, oggi rimane il problema di quanto lasciare di centrale e quanto introdurre di locale. Resta il dato fondamentale che nel tessuto istituzionale italiano le competenze di controllo criminale e di carcere appartengono al governo centrale (Mercato del lavoro, Polizia, Giustizia, Carcere) ad esclusione della polizia municipale, mentre quelle maggiormente relative alla sfera del sociale appartengono al governo locale (competenti per Famiglia, Scuola, Comunità, Ambiente urbano). A livello locale, meglio che a livello centrale, possono essere intraprese tutte quelle azioni che devono caratterizzare una politica della sicurezza efficace ed efficiente.

 

6. Applicare questo mix di welfare e controllo penale nel Mezzogiorno per produrre sicurezza ed innescare il circolo virtuoso

Ritornando al problema centrale di questa relazione si pone una domanda alla quale occorre tentare di dare una risposta: come si può innescare il circolo virtuoso tra cultura della legalità, sviluppo economico equilibrato e sicurezza dei cittadini partendo da quest’ultima? In questa relazione si prova ad affrontarlo partendo dal problema sicurezza. Che cosa si può fare e come? Si propongono due strategie ed relativi obiettivi:

 

Strategia della legittimazione, cioè la riduzione delle inefficienze e della corruzione dentro gli apparati della sicurezza al fine di legittimarli presso l’opinione pubblica

I cittadini vogliono sicurezza e pagano per ottenerla. Le "inefficienze palesi" (i.e. poliziotti addetti a lavori civili di segretariato) e le distorsioni dell’attività principale provocate dalla corruzione hanno un effetto "onda" producendo un abbassamento della cultura della legalità e, come conseguenza dell’ipotesi del circolo vizioso o virtuoso, l’abbassamento dei livelli degli altri fattori. Il danno prodotto dall’operatore di polizia corrotto o dal vigile urbano corrotto che non mette le multe in cambio di favori, o il finanziere che scambia tolleranza fiscale con favori personali, producono un notevole abbassamento del livello di fiducia e quindi di cultura della legalità. Ridurre il rischio di inefficienze e di corruzione deve essere un obiettivo prioritario in quanto presenta le seguenti caratteristiche: essere fattibile in tempi brevi e a costi bassissimi. Si stanno facendo alcune cose ma occorre farne di più e in modo diverso. Come?

Sviluppare l’attività di Commissioni interne di valutazione costi/benefici e costi/efficacia e Commissioni interne anti-corruzione. Si tratta di sentieri oggi praticabili e produttivi, sia amministrativamente che politicamente, di un impatto positivo nell’opinione pubblica in termini di crescita della cultura della legalità. Requisito fondamentale per innescare il circolo virtuoso dovrebbe essere quello di rendere pubblici i risultati del lavoro di queste Commissioni, denunciando le inefficienze e gli episodi di corruzione. Esattamente l’opposto di quanto si fa abitualmente. La denuncia di scandali da parte degli apparati nei quali questi scandali vengono consumati ha il valore di avvicinare il pubblico a queste istituzioni ed alzare i livelli di fiducia, presupposti indispensabili per un miglioramento della cultura della legalità.

Strategia della tutela articolata su tre obiettivi: a) protezione dei soggetti a rischio di criminalità, b) tutela delle attività economiche a rischio di estorsione e c) riduzione delle opportunità criminali per combattere la criminalità organizzata.

Considerato che le risorse sono limitate, la loro allocazione ai diversi obiettivi di sicurezza sconta gli effetti di trade-off e richiede decisioni sulle priorità. Le alternative sono numerosissime. Se ne elencano soltanto alcune.

Considerato che lo scopo degli apparati di Polizia è quello di aumentare la sicurezza cioè ridurre la quantità di criminalità prodotta in un dato luogo e tempo e ridurre la paura della criminalità, questi obiettivi generali possono essere raggiunti agendo su obiettivi specifici che richiedono azioni diverse con costi diversi. Ridurre complessivamente il numero dei reati? Oppure ridurre quelli gravi e lasciare quelli piccoli? Preferire la criminalità organizzata a quella disorganizzata invogliando la prima a controllare la seconda? Ridurre il numero delle vittime o l’ammontare del danno? Sembrano obiettivi simili ma agire su uno non vuol dire automaticamente riprodurre effetti sugli altri. Quali scegliere e perché?

Nel contesto di questa relazione ci si occupa di quelle strategie che, producendo prevenzione, sono capaci di innescare, soprattutto nel Mezzogiorno, il circolo virtuoso del quale abbiamo parlato. Se consideriamo la premessa delle risorse scarse, le scelte su dove e come allocare in modo ottimale le risorse per produrre sicurezza sono tante con l’imbarazzo della scelta. Ma se aggiungiamo la necessità di innescare l’effetto "circolo virtuoso", questa scelta si restringe ai tre obiettivi prima delineati:

a) la protezione di soggetti deboli a rischio di criminalità: politiche di welfare (lungo periodo);

b) la difesa delle attività economiche dal rischio di racket: politiche di controllo penale (breve periodo) e di welfare (lungo periodo);

c) la riduzione delle opportunità criminali per combattere la criminalità organizzata: politiche regolative (breve/lungo periodo).

Riguardo al primo obiettivo, la protezione dal rischio di criminalità di soggetti deboli minimizza la possibilità di un loro reclutamento nelle organizzazioni criminali e quindi le indebolisce. La domanda è: come facilitare la loro opzione verso le attività legali quando le scarse offerte di lavoro rischiano di essere solo quelle di attività illegale? La risposta sta proprio in una delle strategie per la prevenzione della criminalità prima delineate ed il cui impatto positivo sull’ammontare di criminalità è ormai patrimonio di conoscenza della ricerca criminologica più moderna. Si tratta della strategia n. 2 (sopra riportata al par. 4.1), cioè "forme di socializzazione primaria, secondaria, attraverso i media ed il lavoro per ridurre i processi di esclusione sociale e scoraggiare la produzione di violenza". E’ una strategia che può essere iniziata nel breve ma certamente si avvantaggerebbe dell’effetto "circolo virtuoso" nel lungo periodo. Una strategia efficace verso gli immigrati come dimostra l’esperienza in Svezia, unico paese in Europa dove la criminalità della seconda generazione di immigrati è inferiore a quella della prima generazione. Questo accade perché la Svezia ha saputo, meglio di altri paesi, pianificare e realizzare politiche integrative delle minoranze etniche. Ancora una dimostrazione che le politiche di welfare, se ben attuate, producono effetti maggiori a costi inferiori delle politiche penali.

Riguardo al secondo obiettivo, la difesa delle attività imprenditoriali o commerciali dal rischio di racket, c’è il problema di trovare i rimedi per evitare che la protezione/ estorsione debba realizzarsi, sia rispetto alle imprese, sia rispetto agli esercizi commerciali. Una grande campagna di prevenzione/repressione contro l’estorsione produrrebbe molteplici effetti su piani diversi: una ritrovata fiducia delle imprese nelle istituzioni, un aumento della cultura della legalità, un miglioramento dello sviluppo economico legato alla riduzione del rischio criminalità percepito dalle imprese. Questa campagna va orientata verso i seguenti obiettivi che devono essere resi prioritari: distruzione delle organizzazioni estorsive da una parte e protezione/assistenza delle vittime di estorsioni attuali e potenziali dall’altra. Le strategie dovrebbero essere le seguenti:

- uno sviluppo dell’ intelligence strategica e tattica verso le strutture organizzative dei gruppi criminali e le loro attività estorsive, al fine di conoscerne il modus operandi e le dinamiche complessive verso le imprese;

- una pianificazione degli strumenti diretti ad ottenere la cooperazione delle vittime di estorsioni sia delle attuali che delle potenziali vittime, differenziando i commercianti dalle imprese. Si tratta di dirigersi verso meccanismi che producano contemporaneamente incentivi individuali alla cooperazione con le attività di intelligence e solidarietà della categoria di appartenenza (commercianti, artigiani, ecc.). Il coinvolgimento delle Camere di Commercio può essere utile.

- una sostanziale ridiscussione degli attuali strumenti normativi contro il racket. Le misure predisposte dalla legge già riformata sulle vittime di estorsioni serviranno pochissimo come non sono serviti le precedenti. Questa legge non ha funzionato e non può funzionare in direzione dell’obiettivo proposto. I dati rilevati sul livello del suo utilizzo ci dicono che il fondo di solidarietà alle vittime dell’estorsione non è sufficiente per ottenere la co-operazione delle vittime.

Riguardo al terzo obiettivo, la riduzione delle opportunità criminali per combattere la criminalità organizzata, occorre una programmazione di una serie di interventi di tipo riregolativo o deregolativo diretti a ridurre le opportunità di infiltrazione della criminalità organizzata nelle attività illegali. Esiste ormai un patrimonio di conoscenze acquisito di come sia possibile combattere la criminalità organizzata, evitando il ricorso solo agli strumenti del diritto penale ma praticando anche gli strumenti del diritto amministrativo. Il settore delle licenze commerciali, quello degli appalti, e delle forniture alle imprese costituiscono aree dove si può intervenire per accrescere l’efficienza e ridurre il rischio di infiltrazione criminale. Due esempi per tutti: i casi delle forniture di calcestruzzo alle imprese edili e quello della formazione di cartelli di imprese per la regolazione illegale della partecipazione agli appalti. In ambedue i casi iniezioni di deregolazione e competizione avrebbero avuto un impatto molto più efficace del grande spreco di giustizia penale che in questi casi come in altri si è fatto nel nostro paese. L’insegnamento viene da esperienze straniere. Negli USA, ad esempio, analoghi casi di monopolio criminale sono stati affrontati e risolti con strumenti regolativi ad alta efficacia e a bassi costi.

 

  

RIFERIMENTI

Schwarz Richard e Skolnick Jerome, "Two Studies of Legal Stigma", in Social Problems, n. 10, 1962, pp. 133-138.

Sherman Lawrence W., "Defiance, Deterrence, and Irrelevance: A Theory of the Criminal Sanction", in Journal of Research in Crime and Delinquency, n. 30, 1993, pp. 445-473.

Skogan Wesley, Disorder and Decline, Free Press, New York, 1990.


Wilson James Q., e Kelling George L., "Broken Windows: the Police anbd Neighbourhood Safety", in Atlantic Monthly, n. 249, 1969, pp. 29-38.

 

*Il professor Savona è direttore di Transcrime (http://www.jus.unitn.it/transcrime), Gruppo di ricerca sulla criminalità transnazionale (Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento).

Transcrime si trova in via Inama 5 - Trento (Italy) Tel. +39 0461 882304 Fax. +39 0461 882303 e-mail: transcri@gelso.unitn.it

 

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