Si parla molto in questi giorni di cronaca nera e criminalità, della facilità con
cui queste notizie si conquistano la prima pagina. Probabilmente ventanni fa la
notizia del tabaccaio morto ammazzato a Milano, all'inizio dell'anno, sarebbe apparsa solo
nelle pagine di cronaca locali e non avrebbe avuto spazio nelle nazionali. Il potere dei
media di decidere quali sono le notizie importanti, secondo lei, è stato tanto forte da
creare un allarmismo contro gli immigrati per ciò che riguarda la criminalità e la
microcriminalità?
E necessario dire che oggi l'informazione in Italia vive un momento molto
difficile. E un'informazione omogenea tutta più o meno uguale. Se si guarda il
pacco dei quotidiani, escludendone non più di due o tre, si nota senza difficoltà che, a
partire dai titoli, e ancora con l'intera impostazione della prima pagina, la scelta delle
notizie è quasi sempre simile. Lo stesso vale per la televisione, dove è difficilissimo
ormai capire quale è un Tg della Rai e quale quello di Mediaset e all'interno di queste
la differenza tra uno e l'altro. E un grigiore che corrisponde alla situazione
politica generale, dove non ci sono chiare distinzioni, dove non ci sono scelte precise.
Questo lo considero pericoloso perché porta un'omogeneità del pensiero, quello che
qualcuno ha chiamato il pensiero unico, pericolosissimo per una democrazia che deve vivere
con pensieri diversi, anche con contrasti e differenziazioni. Se andiamo verso
un'omogeneità di questo tipo la democrazia è malata e molto pericolosa.
Anche le vicende della cosiddetta criminalità collegata all'immigrazione hanno
risentito chiaramente di questo clima. Per il fatto del tabaccaio, un fatto gravissimo, in
passato si sarebbe fatto un bel pezzo di cronaca ma era comunque un fatto circoscritto.
Invece si è subito giocata la carta dellallarmismo, e si sono messi insieme, in
modo che l'opinione pubblica non capisse bene la differenza, il problema della
criminalità e quello dellimmigrazione che sono due problemi differenti.
Naturalmente nell'immigrazione c'è una fortissima pressione della criminalità
organizzata e soprattutto della grande criminalità organizzata come quella mafiosa, della
camorra e della 'ndrangheta e così via. Ma i mezzi di comunicazione si sono mossi senza
approfondire e studiare questi problemi. Quale giornale, anche tra i grandissimi, con
mezzi potenti a disposizione, ha fatto una vera inchiesta per scoprire alle radici il
problema? Non voglio fare la parte dellanziano che rivendica il passato come momento
magico, ma credo che anni fa, anche se con tanti difetti, ci sarebbe stato da parte della
carta stampata uno sforzo maggiore con grandi inchieste, per scoprire e vedere.
Lei ha molti anni d'esperienza. Come giudica la situazione attuale dei giornali
italiani rispetto al passato?
Nel '60 ero caporedattore centrale all'Unità, dunque decidevo se una notizia sarebbe
andata in prima oppure no. Ricordo che nel mese di luglio feci una battaglia per portare
in prima pagina dalle cronache locali gli avvenimenti di quellestate terribile, la
cronaca dei primi incidenti e delle prime proteste contro il governo Tambroni. E un
esempio di quella che può essere la forza del giornalismo. Portare dei fatti in prima
pagina e gridarli forte può costituire anche un movimento di protesta, questa è la forza
del vero giornalismo. Oggi esiste qualcosa che io considero terribile e antigiornalistico,
il fatto di consultarsi in continuazione che è proprio dei direttori di questa
generazione, assolutamente dipendenti dalla televisione. Ho sentito io stesso un direttore
rimproverare un proprio redattore per una notizia data che non era passata sull'Ansa,
mentre il poverino tentava di difendersi dicendo che la notizia era comunque vera e
affidabile.
Ma questo non è il contrario del lavoro giornalistico?
Certo, è esattamente il contrario. Invece di chiamarlo per premiarlo, si condanna quel
redattore che aveva una notizia che gli altri non avevano. In passato era diverso.
All'Unità, quando ero capocronista e la cronaca di Roma chiudeva alle 5 di mattina, si
cercava di dare buchi al "Messaggero" e al "Tempo", che erano i due
potenti giornali romani. Noi prima di chiudere le pagine cercavamo fino all'ultimo
notizie, c'era sempre il fattorino che ci portava le prime copie degli altri giornali per
poter confrontare quello che gli altri avevano e noi no e viceversa. Conservavamo sempre
qualcosa per averla solo noi. Oggi tutto questo non esiste più.

Si può parlare di subalternità alla presentazione delle notizie da parte della
televisione che spettacolarizza tutto ad ogni costo. Ma non c'è una via d'uscita? Anche
un giornale importante e di sinistra come "La Repubblica", intitolava "Far
west all'italiana", utilizzava metafore da film western
Ho dei dubbi sul fatto che "Repubblica" sia un giornale di sinistra! Scusate,
ma a parte qualche notizia di economia, quali sono tutte queste diversità? Non c'è un
contrasto vero in questo senso. Insomma, anche il fatto che i giornali vendono poco, ormai
il distacco tra l'Italia e il resto d'Europa è troppo significativo. Pensate che 15-20
anni fa la Spagna stava di tanti punti sotto a noi nella vendita dei giornali, oggi ci ha
abbondantemente superato e siamo ormai il fanalino di coda nella vendita di carta stampata
in Europa. Non è vero che dipende dalla televisione, quella c'è dappertutto. Gli
analfabeti stanno scomparendo, anche se ci sono tanti che sanno leggere che io considero
analfabeti. La tv sollecita interessi e questioni che dovrebbero facilitare l'acquisto del
giornale, solo però se quest'ultimo fosse capace di approfondire, di scoprire e
analizzare, svolgere quel ruolo di inchiesta che, appunto, non c'è più. Se si è
sollecitati da qualcosa, l'indomani si dovrebbero trovare cento cose diverse che ti
permettono di avere risposte agli interrogativi. In realtà la mattina si legge un
giornale che è la copia del Tg della sera.
Negli ultimi mesi ed anni la criminalità è entrata come problema di primo piano
nell'agenda politica, mentre in passato tra destra e sinistra non c'è stato un conflitto
politico sulla gestione di questo problema.
C'è stato qualcosa subito dopo la liberazione, nei primi anni cinquanta, quando c'è
stato il movimento separatista in Sicilia. Il fatto che in gran parte lo sbarco degli
alleati fu organizzato dalla mafia italiana pesò politicamente e furono organizzati
diversi convegni a proposito. La questione "mafia", ha sempre diviso destra e
sinistra, ma non la criminalità comune. Il tentativo di collegare oggi criminalità e
ancora immigrazione è stato propagandistico .
Negli anni '60 la criminalità veniva messa in prima pagina soprattutto dai giornali
del nord
Sì, è vero. Ricordo "La Stampa" di Torino, già allora un grande giornale
per la politica estera, che quando si parlava delle cose di casa metteva sempre tipo:
"Calabrese uccide..", quando era un torinese ad uccidere allora la provenienza
era poco rilevante, diveniva importante quando proveniva da Roma in giù. All'Unità
seguivamo questo fenomeno con grande attenzione; una volta Fortebraccio che era allora il
corsivista, fece un corsivo delizioso proprio su questo atteggiamento della Stampa. Questa
vena etnica, comunque, non prese mai la forma di una linea politica.
Indipendentemente dal ruolo dell'informazione e il fatto che spesso questa viene
gonfiata, è un fatto che il cosiddetto uomo comune sente come problema da risolvere con
forza il dilagare della microcriminalità. Il problema è anche politico: una sinistra da
sempre dalla parte dei più disagiati si trova al governo, con nuovi doveri e la
necessità di dare risposte plausibili ad un elettorato medio che manifesta segnali di
intolleranza.
C'è in realtà un uso distorto del problema criminalità, ma nello stesso tempo c'è
un'incapacità e un ritardo enorme nel saper fare, ammodernare la magistratura, le leggi e
il coordinamento delle forze dell'ordine. Si è esagerato: su Milano si è arrivati a cose
ridicole. Vedendo i dati ci si rende conto che quest'anno ci sono stati meno delitti
dell'anno passato, dunque la strumentalità delle vicende di gennaio è stata forte.
Rimane il fatto che quello dell'ordine pubblico rimane un problema da porre come una
grande questione di questo paese, come di tutti i paese sviluppati, e delle grandi città
a partire dalle periferie abbandonate, dove non esiste più nulla e qui il discorso si
allargherebbe. Dovremmo allora parlare dell'isolamento e dell'abbandono delle persone. In
passato le grande forze politiche e sociali avevano svolto un ruolo comunque, pensiamo
alla parrocchia e alla sede del PCI, il sindacato e poi la casa del popolo, svolgeva una
funzione di tessuto, teneva insieme la società. Questo oggi non esiste. Spesso nelle
periferie questo ruolo è svolto solo dove c'è un parroco bravo e intorno alla parrocchia
c'è un minimo di tentativo di socialità, ma per questo non servono solo le leggi. Con le
leggi, servono il coordinamento delle forze dell'ordine, che non hanno mai modo di
incontrarsi, la necessità di superare le differenze, e naturalmente l'avere una strategia
comune. Troppe sono le forze inutilizzate che invece potrebbero essere presenti sul
territorio come la figura del poliziotto di quartiere, i vigili urbani che non si
coordinano ma che hanno posizioni completamente diverse.
Siamo ancora a differenze sostanziali con carabinieri e guardia di finanzia che sono
considerati ancora militari e poliziotti che sono considerati civili: sono cose che
bisogna affrontare con coraggio e con grande rapidità, altrimenti c'è il rischio di una
società che tende sempre di più alla disgregazione. Pensiamo al mondo delle carceri,
sarebbe una bell'inchiesta da fare, stare almeno in giorno intero come ho fatto io a
Rebibbia. Parlando con questi carcerati emerge che sono tutti poveri, non è possibile che
non ci siano carcerati abbienti, sono tutti disgraziati, perché? Pure se sei un
malandrino qualsiasi, ma sei collegato alle grandi organizzazioni criminali, riesci sempre
ad uscire aiutato da avvocati e i cavilli delle leggi che permettono comunque di sviare,
invece chi non è protetto come i piccoli ladruncoli, i drogati vengono dimenticati e
rimangono in carcere. Le stesse forze dell'ordine si lamentano del fatto che anche se
prendono qualcuno, dopo un niente è già fuori.
La televisione ha incrementato la visibilità della criminalità?
Penso che ciò che è accaduto a Milano sia effetto della televisione. In quei giorni
ho sentito persone che mi guardavano seriamente preoccupate quando dicevo che sarei andato
a Milano dove abita mia sorella di 86 anni (tra l'altro indignata perche' lei continua a
girare con la metropolitana e non le succede nulla). Si crea un clima di paura i cui
responsabili assoluti sono i Tg, avveniva anche in passato, anche se bisogna fare i dovuti
distinguo. Oggi tutti fomentano questo clima che poi favorisce la criminalità.
In conclusione le mostriamo questo titolo d'apertura del Messaggero del 11 gennaio,
"Rabbia a Milano, paura a Roma": in quei giorni in realtà nella capitale non
era accaduto nulla che potesse giustificare quel titolo. Come commenta il direttore di
Liberazione?
Questo titolo lo metterei nelle scuole di giornalismo, è un linguaggio tipico dei
giornali popolari, tipico anche della propaganda politica. Tra un secolo o fra
cinquant'anni chi guarderà questa pagina si sentirà in dovere di andare a cercare cosa
è accaduto in quei giorni. Quel titolo anni fa non sarebbe stato pensabile. E' stupendo,
dovete conservarlo!