Alla rivoluzione sulla Due Cavalli
Paola Casella
Articoli collegati:
Tra guerra fredda e
distensione
La questione europea nella
politica italiana
Il contesto internazionale
Dal Caso Moro al Carnevale di
Bologna
Alla rivoluzione sulla Due
Cavalli
La nascita della videoarte
Nel segno di Paz
Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, scritto e diretto da Maurizio
Sciarra, con Andoni Gracia, Adriano Giannini, Gwenaelle Simon,
Georges Moustaki, Francisco Rabal
La rivoluzione del titolo è quella "dei Garofani",
avvenuta in Portogallo nell'aprile del '74, che ha messo fine a una
delle più lunghe dittature d'Europa. La Due Cavalli è il veicolo
di elezione non solo dei tre protagonisti del film, ma anche di
un'intera generazione che ha individuato nell'auto disegnata da Le
Corbusier un simbolo di libertà, di anticonformismo, di
affermazione della propria individualità.
La sceneggiatura si basa sull'omonimo romanzo di Marco Ferrari,
pubblicato da Sellerio: da Parigi, dove è volontariamente esiliato
(anche se non può dirsi un vero e proprio rifugiato politico), il
portoghese Victor (Andoni Gracia, premiato come miglior attore
all'ultimo Festival di Locarno) parte sulla 2CV dell'amico italiano
Marco (Adriano Giannini, versione più bella e più vulnerabile del
padre Giancarlo) per partecipare alla rivoluzione, o meglio ai
festeggiamenti che seguono la riappropriazione non violenta
dell'indipendenza portoghese.

Sulla strada - la citazione da Kerouac è voluta -
caricano a bordo anche Claire (Gwenaelle Simon, riuscito incrocio
fra Laura Morante e Fanny Ardant), ex fidanzata di Victor (ed ex
amante di Marco, in tempi di sperimentazione sessuale), ora moglie e
madre a Bruxelles. Il road movie attraversa Francia, Spagna e
Portogallo, negli anni in cui il mito del viaggio era al suo apice.
Niente di nuovo sotto il sole - basti pensare ai film di fuga di
Salvatores - ma raccontato con uno charme che vale da solo il prezzo
del biglietto, e che fa di Alla rivoluzione sulla Due Cavalli un
film deliziosamente commerciale, in modo inequivocabilmente europeo.
Mi spiego: il film di Sciarra è pieno di difetti, dal montaggio
quasi amatoriale alla recitazione legnosa degli attori (eccetto
Giannini, che conosce il trucco di sfuggire alla macchina da presa,
col risultato di attirare su di sé la curiosità dello spettatore e
contemporaneamente di creare un senso di vuoto quando non appare
nell'inquadratura) alle incongruenze della storia. Ma è proprio la
sua dimensione artigianale e pasticciona, la sua vibrazione naif, a
commuovere, in qualche modo a sedurre lo spettatore.
E' la tattica adottata anche da Ligabue, più con umiltà che con
furbizia, nel dirigere Radio
Freccia
sul filo di una nostalgia sapientemente alimentata da una
colonna sonora d'epoca, che nel caso di Alla rivoluzione sulla
Due Cavalli vanta la chicca Leyla di Eric Clapton, i cui
diritti di utilizzo sono stati ceduti a Sciarra - per la prima
volta, dopo molte richieste da parte di registi ben più noti - solo
dopo che slow hand ha letto e approvato personalmente la
sceneggiatura.
La colonna sonora di Alla rivoluzione sulla Due Cavalli ci
riporta istantaneamente a una dimensione più semplice, meno
congestionata di suoni, quando la radio trasmetteva pochi brani
riproponendoli fino alla nausea, perché l'industria discografica
non era ancora in grado di sfornare titoli a manetta, e
probabilmente anche il pubblico non sarebbe riuscito ad assorbire la
quantità inarrestabile di new entry dei nostri giorni.
Alla rivoluzione sulla due cavalli è ambientato prima della
MTV, e Maurizio Sciarra ce lo ricorda continuamente, rifiutandosi
anche nelle scene accompagnate dal solo commento musicale di operare
tagli da videoclip e imponendo al film un ritmo più lento - anche
se non noioso - adatto alle sequenze allungate di un viaggio che si
dipana in orizzontale, lungo lo spazio e il tempo.
Un'altra peculiarità: nonostante Alla rivoluzione sulla due
cavalli sia ambientato fra Francia, Spagna e Portogallo e gli
interpreti siano, oltre all'italiano Giannini, il catalano Gracia,
la francese Simon, il franco-greco Georges Moustaki (vera icona anni
Settanta) e lo spagnolo Francisco Rabal, la lingua parlata sul set,
cioè l'esperanto cinematografico, non è, una volta tanto,
l'inglese (come avrebbe voluto un facile ragionamento di
opportunità commerciale) ma la lingua di Dante (e del
regista-sceneggiatore).
E' una precisa scelta, anche questa, all'interno di un film che
sembra invece del tutto accidentale, un divertissement con il
sapore dell'home movie. Sciarra, che aveva vent'anni negli
anni Settanta, ha riprodotto con fedeltà assoluta, e lo sforzo
costante di conservare immediatezza e spontaneità, l'estetica di
certi film girati, appunto, negli anni Settanta da giovani ingenui
ed entusiasti, scegliendo, come ha scritto un critico, di
"raccontare più il velleitarismo che la fantasia al potere,
più il vitellonismo gauchista che la militanza, più i jeans a
zampa e quelle orrende camicie fantasia che i nuovi comportamenti e
i nuovi linguaggi", e sforzandosi di mantenere, come ha detto
il regista stesso, le necessarie "leggerezza e autoironia"
per ricostruire una storia di formazione "tra smarrimento e
fallimento".

Gli incontri on the road - con un
fascistone collezionista di 2 CV, uno stereotipato sergente della
Guardia Civil, un vecchio anarchico (interpretato da Paco Rabal) che
ha aspettato per una vita la rivoluzione dal suo personale (e
altoborghese) deserto dei tartari - sono solo pretesti narrativi per
"spostare" in avanti la storia.
Tanta leggerezza, tanta voluta superficialità hanno generato nella
giuria di Locarno, che ha assegnato al film il Pardo d'oro, una
frattura insanabile. Laura Morante, membro della giuria (nonché
interprete di Turnè, film che ricorda da vicino Alla
rivoluzione sulla due cavalli), dissociandosi dal verdetto
finale insieme a Emile Deleuze, ha dichiarato che "il festival
di Locarno dovrebbe premiare artisti che senza un aiuto non
potrebbero emergere, la nostra posizione era favorevole a film che
non sono entrati nel Palmares o che avrebbero meritato maggior
attenzione".
Secondo la Morante, Alla rivoluzione sulla due cavalli era
abbastanza "facile" da incontrare da solo il benestare del
pubblico, senza bisogno di lasciapassare autorevoli. E in effetti il
pubblico di Locarno ha applaudito fragorosamente al termine della
proiezione del film, validandone l'appeal commerciale. Ma
viste le difficoltà di distribuzione che Alla rivoluzione sulla
due cavalli ha poi incontrato in Italia, il Pardo si è rivelato
fondamentale per raggranellare nelle (poche) sale almeno un numero
dignitoso di spettatori.
Per chi si fosse perso il film al cinema, e in attesa di ripescarlo
in cassetta, vale la pena dare un'occhiata al suo sito ufficiale
(http://www.allarivoluzionesulladuecavalli.it/), che di ufficiale ha
solo l'identificazione: per il resto, come il film, è
intenzionalmente artigianale e teneramente entusiasta. Imperdibili
le sezioni dedicate al mito della due cavalli e alla colonna sonora
(intitolata emblematicamente "La musica come compagna"),
che viene descritta non in vista delle vendite del CD, ma in luce
della rilevanza che certe canzoni hanno avuto per una generazione,
quella nata negli anni Cinquanta, che negli Anni Settanta ci credeva
ancora, o almeno si autoconvinceva di crederci.
Articoli collegati:
Tra guerra fredda e
distensione
La questione europea nella
politica italiana
Il contesto internazionale
Dal Caso Moro al Carnevale di
Bologna
Alla rivoluzione sulla Due
Cavalli
La nascita della videoarte
Nel segno di Paz
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |