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Antonia Anania
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Questo articolo è apparso sul numero 140 di Caffè Europa.
Marco Belpoliti, Settanta, Einaudi, 2001, pp.302, Lire 32.000
Il sette è un numero che ritorna spesso di questi tempi, anche
nella raccolta di saggi di Marco Belpoliti, già curatore di Opere
(Einaudi, 1997) di Primo Levi e di testi su Calvino. In Settanta
i saggi sono chiamati storie. Sette storie ambientate tra il 1964 e
il 1980 con sette protagonisti eccellenti: Pasolini, Parise,
Calvino, Sciascia, Manganelli, Arbasino.

Che vivono gli anni di piombo da una posizione
privilegiata, quella di scrittori e intellettuali che commentano,
interpretano, suggeriscono risoluzioni o rimangono indifferenti ai
fatti storici e politici. E si rispondono da un giornale all’altro,
da un saggio all’altro, da un romanzo all’altro. Si inizia con Il
caso Moro, in cui Belpoliti documenta e fa intrecciare gli
scritti di Sciascia, Pasolini, Arbasino e altri sul misterioso e
tragico affaire che coinvolse l’allora leader
democristiano, e si finisce con Il carnevale di Bologna, la
storia del movimento studentesco bolognese datato 1977.
Le notizie, i documenti, le frasi di romanzi, gli articoli, le
lettere pubbliche e private degli intellettuali si tessono e
correlano in queste storie. E la cosa bella è che non c’è un
ordine di lettura: “si può cominciare da dove si vuole” perché
“ogni capitolo è un racconto concluso”.

In cui i documenti diventano materiale per storie
vere ma anche triplamente letterarie. Uno, perché il nostro
saggista scrive di letteratura spesso combinata con politica e
società (anche se qualche volta i legami e le reti che vengono
tramate tra uno scrittore e l’altro e i loro libri appaiono
ricercate e congeniate dal nostro saggista più che suggerite dalla
realtà). Due, perché Marco Belpoliti appunto agisce “alla
stregua di un romanziere”, raccontando e scegliendo storie e
personaggi precisi. E tre, perché sintetizza ogni ‘romanzo’ con
titoli e sottotitoli bizzarri e fantasiosi, pronti a stuzzicare la
curiosità del lettore: Pol Pot e l’arte della leggerezza, La
retta e il tapiro; La pietra e il cuore. Come dire:
documento storico e ingegno personale lavorano insieme.
La pubblicazione del libro è stata il pretesto per riunire a Roma-
il 20 giugno- alcuni di coloro che hanno vissuto gli Anni Settanta e
dibattere con giovani saggisti e studiosi su Letteratura e
politica: le passioni di un decennio. Ne è venuto fuori un
resoconto anche polemico e critico della storia letteraria e
politica di quegli anni. Spesso un controcanto al libro. E non solo.
Anche il controcanto di un testimone di quei tempi contro l’altro,
per esempio di Alberto Arbasino contro Franco Cordelli e a volte
ironicamente contro tutti. Come se l’esame e la sintesi che
vengono fatti di un periodo fosse considerata un abuso dai suoi
testimoni. Come se quell’analisi fosse in realtà impossibile, o
meglio sempre a metà e non bastasse mai perché a ogni occasione
spuntano altri punti di vista, altre idee, altre spiegazioni.

E così, per esempio se alcuni coordinatori
definivano gli Anni Settanta come una lunga crisi con fenomeni di
manierismo e di declino della figura dell’intellettuale civile,
invece Arbasino si opponeva qua e là. Comunque famoso per essere l’ironico
sopra le righe, il teatralmente ‘a parte’, quello al quale non
aggrada la definizione che gli si dà di moralista, diceva che le
gabbie critiche provocano equivoci storici e faceva notare che pur
esistendo la crisi in alcuni generi artistici, il cinema italiano
invece folgorava il mondo.
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