La nascita della videoarte
Maria Teresa Cinanni
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Anni Settanta, anni di protesta, di terrorismo e sperimentazione. E’
in quegli anni che la nostra attualità affonda le sue radici. Le
contestazioni giovanili, il ’68, il clima caldo della politica
avevano generato fermenti e innovazioni dei quali hanno risentito la
quotidianità, la moda e, ovviamente, la cultura. Non più quella
istituzionale, elitaria delle vecchie università, ma le sue tante
accezioni, la polivalenza del suo essere, l’insieme di diverse
discipline.

Si rinnova la letteratura sulla scia del nomadismo
intellettuale di Kerouac, padre della beat generation, si
rinnova la musica, sulla scia dei Beatles, dei Rolling Stones, degli
Who, i testi diventano più impegnati, si amplia la varietà degli
strumenti, aumenta il peso dell'elettronica, protagonista in ogni
settore. Anche nel campo artistico, dove forti sono ancora l’eredità
futurista e il Manifesto del movimento spaziale per la televisione
redatto da Lucio Fontana.
Si affermano proprio negli anni Settanta la tecnoarte, il
video-tape, il movimento Fluxus, che avverte la necessità di
salvare dall’oblio eventi e performance, per definizione effimeri.
In questo contesto si afferma l'operazione di Gerry Schum, che ha
documentato in uno dei filmati storici più rari, Identifications
del 1970, le azioni di Body Art, Land Art e Conceptual Art.

E nello stesso ambiente culturale avviene anche la
trasformazione del televisore da semplice elettrodomestico in
strumento di creatività, con il quale realizzare immagini astratte
e fantasmagoriche come quelle di Nam June Paik, pioniere e padre
fondatore della videoarte. Più duro, ma nato nello stesso ambiente,
è l'approccio di Wolf Vostell, che costringe il teleschermo al
mutismo murandolo in un blocco di calcestruzzo, come nella scultura Depression
Endogène.
Anche l’Italia ha dato il suo contributo nel confrontarsi con la
videoarte - il cui riconoscimento più recente quello di Palazzo
Diamanti a Ferrara, dove è stata allestita lo scorso settembre la
prima esposizione completa sulla storia del video-tape. Due gli
artisti di spicco nella penisola, provenienti entrambi dalle arti
visive che decisero di abbandonare poco dopo per imboccare la nuova
strada: Maurizio Camerani, noto per le sue sculture dal sapore
minimalista e concettuale, dove materiali tradizionali come il ferro
e la pietra dialogano con l'immagine mutevole del video, e Fabrizio
Plessi, nelle cui monumentali videosculture, esposte nei più
prestigiosi musei del mondo, la semplicità dell'immagine
rappresentata dall'icona ricorrente dell'acqua fa riferimento a un
universo simbolico che nega la complessità della tecnica.
Esordisce negli anni Sessanta anche Woody Vasulka, emigrato in
America nel 1971 con la moglie Steina insieme alla quale ha fondato,
a New York, il Kitchen of the Arts, celebre laboratorio di
sperimentazione e promozione della videoarte e dell'avanguardia di
quegli anni. Dopo gli esordi, la videoarte si avvia a una stagione
più matura rappresentata dall'opera dei suoi maggiori protagonisti.
È il caso delle ipnotiche, disorientanti e magnifiche installazioni
di Bill Viola, oggi considerato l'esponente più significativo del
panorama dell'arte elettronica.

Con questa generazione il video ha reciso i legami
con la funzione comunicativa della tv e si è liberato dalle
preoccupazioni della contestazione degli anni Settanta, per
esplorare un territorio aperto al sogno, alla memoria e alla
fantasia individuali. Nel corso degli anni Novanta un numero
crescente di artisti ha rivolto la propria attenzione a questi
precursori, all'interattività delle loro opere, caratterizzate da
forme che dialogano e interagiscono con lo spettatore, chiamato a
partecipare alla definizione dell'opera, in una fruizione sempre
più coinvolgente.
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