Giornali in guerra: un dibattito
in corso
Alessandro Lanni
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Parole, per favore. Ci mancano le parole. Abbiamo bisogno di parole.
Aiutateci a trovare le parole per descrivere quello che e' accaduto.
A pochi giorni dall'11 settembre, il ministro della Difesa
americano, Donald Rumsfeld, invocava un vocabolario di nuovo genere
per provare a comprendere quello che era successo a New York e
Washington.
Michele Serra, e' qualche settimana, sosteneva che dopo lo shock
provocato dagli attentati tutti ci sentiamo un po' piu' intelligenti, riconoscendo
che se questo contesto drammatico ha un merito e' quello di averci
fatto scoprire - di nuovo o per la prima volta - una dimensione
pubblica e piu' alta della vita, costringendoci ad uscire - almeno
per lo stretto necessario - dal privato dei nostri casi personali.

E allora, rimbocchiamoci le maniche e iniziamo a ragionare. Anche
attraverso i giornali, che in questo ultimo periodo hanno offerto
uno spettacolo piu' che decoroso. E' la rivincita della carta
stampata sulla Tv e Internet, lo sottolinea anche James Hillman, a
proposito dei quotidiani statunitensi, in un intervista sulla Stampa: i cittadini vogliono non solo
cronaca, ma idee, dibattiti, riflessioni sul senso di quello che sta
accadendo e sui modi in cui si puo' provare a comprenderlo. Non e'
poco, crediamo.
I temi toccati in quest'ultimo mese sono stati molti: cosa sono
questi attentati: guerra o terrorismo? Come combattere il nemico
invisibile, cos'e' l'Islam, Clash of Civilizations, scontro
di civilta'? Una di queste discussioni e' stato innescata
dall'intervento di Oriana Fallaci sul Corriere della Sera del
29 settembre (www.corriere.it). Un urlo d'odio contro un mondo e una
civilta', quella islamica, che ha spaccato l'opinione pubblica e ha
cambiato sostanzialmente i termini della discussione pubblica.
Un altro di questi momenti critici per la comunicazione e' stato
l'attacco portato alrelativismo culturale, quasi in
contemporanea, dalle colonne del piu' autorevole quotidiano italiano
e nel corso di una conferenza stampa berlinese del presidente del
Consiglio. In poco piu' di una settimana si e' svolto un confronto
di idee sulle pagine dei giornali che forse puo' essere utile
riportare alla mente. Anche per attrezzarci di nuovi strumenti
concettuali per esercitare la nostra facolta' precipua: la ragione.
La "quinta colonna"
«Se la guerra al terrorismo durera' anni bisognera' attrezzarsi per
neutralizzare (con la parola, con la persuasione) il principale
alleato di Bin Laden e soci in Occidente, la loro piu' preziosa
"quinta colonna": il relativismo culturale.» E' il 26
settembre e Angelo Panebianco scaglia pietre-parole dalla prima
pagina del Corriere della sera.
Con chi se la prende il professore-editorialista? In primo luogo,
con intellettuali e insegnanti che hanno permesso al bacillo del
relativismo di diffondersi dalle nostre parti e di rifar prendere
fiato all'islamismo radicale. Coloro che un tempo erano tutti
comunisti, oggi sono relativisti engage': come cambia il
mondo.
Criptoterroristi, i nostri prof, che hanno diffuso sul suolo patrio
"una forma di nichilismo nutrita dalla secolarizzazione e da
una collettiva perdita di memoria storica." Che hanno insegnato
nelle scuole (chissa' poi quando lo hanno mai fatto) che anche i
valori apparentemente oggettivi e indiscutibili sono radicati e
possibili in condizioni storico-culturali determinate. Appunto, relativi
a esse. Secondo Panebianco, questa idea cancellerebbe una
distinzione, che e' importante e va mantenuta, tra
"culture", "religioni", "civilta'" di
serie A, di serie B e, perche' no, anche di serie C. Se non c'e' una
gerarchia obiettiva tra i valori, i valori scompaiono. Purtroppo,
bisognerebbe pur dire all'Angelo castigatore che e' un gran problema
decidere con quali criteri e valori si basa l'obiettivita' della
scala. Ma qualcuno fara' presente quest'aspetto. Andiamo con ordine.
Le prime risposte
"Dobbiamo essere consapevoli della superiorita' della nostra
civilta', non puo' essere messa sullo stesso piano delle altre.
L'Occidente e' destinato a occidentalizzare i popoli. C'e' una parte
del mondo islamico che e' ferma a 1400 anni fa." Addi' 27
settembre, i giornali riportano l'uscita di Silvio Berlusconi in
visita a Berlino. Vien da chiedersi: ha letto per caso il Corriere
del giorno precedente?
Tra le molte reazioni sull'inopportunita' politica delle parole del
Cavaliere, il giorno dopo si perde una sintetica ma precisa risposta di Gianni
Vattimo, sulla Stampa, alle tesi di Panebianco. Il filosofo
torinese ricorda che di terroristi, l'Occidente, ne ha coltivati
molti e che essi non erano certo propensi a credere nella
relativita' delle proprie convinzioni, anzi erano "persone
persuase assolutamente della verita' della propria 'civilta'', tanto
da volerla difendere a tutti i costi anche al prezzo della vita
propria e altrui." E invita a non dimenticare che la
superiorita' della nostra cultura "e' proprio nel fatto di aver
scoperto che non e' la sola possibile forma di umanita' civile al
mondo."
Il giorno successivo, il 28, compare sul Manifesto la
risposta di David Bidussa che appare in versione approfondita in
questo numero di Caffe' Europa.
La Terza via
Sabato 29 settembre, esce sul Corriere della sera il
lunghissimo - e ormai celebre - articolo di Oriana Fallaci. La
rabbia e l'orgoglio e' il titolo e rivela bene lo spirito
dell'intervento: nelle pagine pubblicate dopo tanto silenzio, non ci
sono pensieri, ma sentimenti ed emozioni. La Fallaci puo' muovere i
cuori, ma le menti?
E se, il 2 ottobre, Piero Ottone ribadisce un'idea non proprio di
successo emersa nella settimana precedente ("la civilta'
occidentale e' oggi l'unica viva e produttiva, mentre le altre che
si sono succedute nella storia, compresa quella islamica, sono
morte. Che cosa ha prodotto l'Islam negli ultimi mille anni?"),
il 3 esce sul Manifesto un articolo sul relativismo culturale
che mette in luce la complessita' del tema aldila' delle
banalizzazioni. Tamar Pitch, fin dalle prime righe, non si schiera
ne' pro ne' contro, ma a favore della chiarificazione e della
comprensione.
E' possibile, si chiede l'autrice, una terza via che superi la falsa
alternativa tra universalismo assimilazionista e relativismo
differenzialista? E' possibile evitare tanto la colonizzazione
dell'Altro quanto il disinteresse colpevole? La Pitch suggerisce una
strada per uscire da quest'empasse: l'"universalismo di
percorso", un orizzonte di dialogo interculturale che puo'
produrre accordo e comunicazione grazie a confronti e compromessi.
La questione dell'identita' della cultura a cui si appartiene, che a
seconda dei casi appare sempre o troppo forte o troppo debole,
verrebbe superata nel contesto di un universalismo di percorso: «la
consapevolezza e la pratica dell'andirivieni tra culture diverse non
possono che mutare cio' che noi stessi pensiamo di noi stessi.»
Il relativismo non e' illuminismo
Panebianco si becca una bacchettata anche da Massimo Fini. Secondo
il commentatore dei quotidiani del gruppo Monrif, sostenere che Il
"relativismo culturale" discenda dal concetto illuminista
di pari dignita' tra gli individui, come si faceva nell'editoriale
di Panebianco, e' una vera e propria sciocchezza. "La
concezione del 'relativismo culturale' - scrive Fini - nasce in
Occidente (comprendendo in questo concetto anche il bacino del
Mediterraneo) proprio per cercare di limitarne la straordinaria
aggressivita' dovuta alla convinzione di essere portatore di una
'cultura superiore'."
E se si discute e si parla di una cultura superiore si e' gia' vittima
di una concezione in qualche modo razzista. «Ma questo e' il meno -
prosegue Fini -, se uno il razzismo lo agisce solo a casa sua e
nella propria testa. Il problema e' che nessuna cultura che si
ritenga "superiore" resiste all'impulso di esportarla, di
portare la "buona novella" anche agli altri.» E' nella
natura dei monoteismi, religiosi o laici che siano, l'aggressivita',
il colonialismo e la convinzione di essere unici e superiori.
Perche' non possiamo non dirci relativisti
A dieci giorni dall'editoriale di Panebianco, esce su Repubblica
una lunga riflessione di Umberto Eco sul relativismo e la presunta
superiorita' occidentale, che fa chiarezza su molti aspetti della querelle.
Sono molte le idee ragionevoli, e anche inusuali, che il semiologo
di Alessandria mette in circolo che verrebbe voglia di linkare
direttamente al suo articolo
.

Ci limitiamo a riportarne alcuni punti che ci sembrano i piu'
significativi e quelli maggiormente in polemica con le tesi
antirelativiste.
- "Superiore" e "inferiore", nelle discussioni
di questi, giorni assomigliano troppo a "vicino" o
"lontano" dalle mie abitudini. "Se mi chiedessero se
preferirei passare gli anni della pensione in un paesino del
Monferrato, nella maestosa cornice del parco nazionale dell'Abruzzo
o nelle dolci colline del senese, sceglierei il Monferrato. Ma cio'
non comporta che giudichi altre regioni italiane inferiori al
Piemonte".
- Una questione centrale nel ragionamento di Eco e' quella dei
parametri. Ve la fate facile voi che parlate di superiorita'
occidentale! Su quale base, su quali criteri vi fondate per
affermare cio'? E poi e' proprio vero che i nostri valori siano
cosi' stabili e immutabili?
- Accettare le differenze. Uno dei cardini del mondo contemporaneo
occidentale e' proprio questo. Ma allora, si chiede Eco, perche'
continuare a raccontare ai nostri bambini la bugia per cui siamo
tutti uguali? "Bisogna dire ai bambini che gli esseri umani
sono molto diversi tra loro, e spiegare bene in che cosa sono
diversi, per poi mostrare che queste diversita' possono essere una
fonte di ricchezza."
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