Le relazioni al tempo della
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“I bambini si facevano anche sotto le bombe”, diceva mia nonna.
E in effetti almeno 3 dei suoi 6 figli vennero concepiti sotto le
incursioni aeree della seconda guerra mondiale. Povertà, paura e
insicurezza non impedivano alle coppie di fare quello che avevano
sempre fatto. Anzi. Vi ricordate il baby boom? Ufficialmente
scoppiò quando le truppe Usa entrarono a Roma nel 1946, ma qualcuno
è pronto a giurare che sia iniziato già sotto le bombe.
Ok, non c’era la televisione con la quale passare le serate (in
realtà c’era, ma stava al bar e bisognava vestirsi, uscire
eccetera eccetera). Ok, i contraccettivi non erano proprio a portata
di mano. Ma è tutto qui? Dall’11 settembre le bombe ci sono
(anche se non cadono sopra le nostre teste sentiamo che potrebbe
accadere) e anche le relazioni umane, si sente dire in giro, sono
cambiate. A New York, ha scritto il Corriere della Sera
riprendendo la rivista online Usa Salon, l’amore è più
episodico, più disperato, più assoluto. In Europa non si sa.
Ancora non esistono statistiche in merito. Il tema è delicato, e
parlare di relazioni d’amore, di fronte a seimila persone
schiacciate da due grattacieli, può sembrare fuori luogo.

Ma la sensazione è che anche da noi la percezione delle cose sia
mutata. Single che si sentono ancora più single (“a chi scrive le
lettere al fronte un single?”), coppie che non volevano
assolutamente figli ora pronte a tutto pur di riprodursi (“per
lasciare qualcosa di noi”), coppie appena formate che si buttano a
capofitto in relazioni sulle quali prima non avrebbero scommesso una
lira (“in tempo di guerra non si butta via niente”), coppie sull’orlo
di una crisi di nervi che si ricompattano inaspettatamente (“l’unione
fa la forza”), ex fidanzati che improvvisamente si rifanno sentire
(come sopra: “in tempo di guerra non si butta via niente”).
Scriveva Salon il 21 settembre: “Se prima una relazione
poteva sembrare irrilevante, la guerra ha cambiato completamente la
nostra prospettiva. Ha unito anche le coppie più sconclusionate”.
E ancora (cinque giorni dopo): “Dopo l’11 settembre l’intero
processo di corteggiamento sembra un’assurda follia. A che pro
sforzarsi di conoscere meglio una persona nuova se non siamo sicuri
di esserci domani? Il lusso di perdere ore con uno sconosciuto non
ce lo possiamo più concedere. Se prima il futuro sembrava remoto,
pieno di opzioni e possibilità, tanto da poter indugiare ancora e
ancora nell’attesa di incontrare e innamorarsi della persona
giusta, ora sembra che non ci sia più tempo da perdere. In fretta,
con la paura che tutto finisca presto, dobbiamo assemblare un
matrimonio e fare dei figli” Pragmatici gli americani lo sono
sempre stati, ma mai come ora.
Ma anche il sesso non è più lo stesso. Pepper Schwartz, docente a
capo del dipartimento di psicologia alla Yale University,
intervistata da Salon, sottolinea il fatto che “il sesso
diventa in queste situazioni importante perché è un modo per
riaffermare il fatto che si è vivi, che il nostro corpo funziona.
Il sesso è alla base dei nostri sensi biologici dunque davanti alla
morte spesso si assiste a un trionfo della sessualità in chi resta.
Ma il trauma e la tragedia fanno vivere la sessualità più come una
forma consolatoria che passionale”.
Una sensazione simile si ricava leggendo il 30 settembre il Sunday
Times: “Molti [in America] si imbarcano in nuove relazioni o
fanno il ‘passo in più’ in quelle che già hanno. Gente che non
si conosce indulge nel cosiddetto ‘sesso del terrore’. Il senso
della morte arriva quasi a sembrare un grande afrodisiaco. Il
disastro, pare, ha fatto apprezzare anche ai logorati newyorkesi il
valore della compagnia umana”.
In attesa che succeda anche ai logorati italiani, molti continuano a
rimanere increduli. Il buon senso in effetti farebbe pensare che, se
siamo sull’orlo di una terza guerra mondiale (ci siamo già?),
allora questo dovrebbe essere il momento peggiore per pensare al
futuro: a formare una coppia, a fare un figlio (e qui viene buono il
refrain: “perché mettere al mondo un bambino in questo brutto
mondo?”).
Ma non funziona così. Come per i mercati finanziari, più della
realtà, per la coppia funziona la psicologia. Se la gente si sente
sicura, satolla e tranquilla la giungla dei single (un universo in
cui se non sei uno stratega di fino ti sbranano, come insegna
Bridget Jones) può essere affrontata. Ma se ci si sente insicuri,
precari, in pericolo?
“E’ un istinto connaturato all’uomo - spiega la psicologa Vera
Slepoj - quello di rifugiarsi nella coppia, nella famiglia, quando
ci si sente in pericolo. E’ proprio per questo che storicamente
sono nate la coppia e la famiglia. Non tanto come esigenza sociale,
ma come forma difensiva”. Che meccanismi scattano dunque nell’uomo
di fronte a un grande pericolo come quello degli attentati
terroristici, l’incombere di una guerra? “Non è una riposta
consapevole, naturalmente - continua la psicologa - ma la morte, la
morte collettiva, accentua il bisogno della gente di riprodursi. E’
un istinto connaturato in noi, che, non bisogna dimenticarcelo,
siamo pure sempre anche animali”.

Anche per Silvia Vegetti Finzi, psicologa e docente di Psicologia
dinamica all'Università di Pavia, “la trama delle relazioni
personali dopo l’11 settembre anche in Europa si è fatta più
fitta”. Per la dottoressa, che ha scritto alcuni importanti testi
sulla coppia e sull’affettività, “c’è ora un forte bisogno
di consolare, comunicare, stare vicini”. Alla notizia del disastro
di New York le persone, dice ancora la psicologa, “hanno reagito
telefonando, cercando un contatto umano”.
Di più. Silvia Vegetti Finzi sottolinea come, invece che deprimere
la società, gli attacchi terroristici abbiano fatto riaccendere
collettivamente “la voglia si distrarsi, di spendere per oggetti
frivoli. Le vetrine - continua la psicologa - sono ora piene di
acquisti sfiziosi. E’ come se ci si volesse consolare e assieme
assaporare le gioie della vita, anche quelle futili, per riaffermare
il concetto che la vita prevale sulla morte”.
Ma Vera Slepoj sottolinea anche come questo “recupero del bisogno
di stare in coppia” fosse già presente nella nostra società. In
particolare fra gli adolescenti “che sono estremamente
ossessionati dalla paura dell’abbandono, che hanno una forte
insicurezza di fondo. E non sono aiutati in questo da genitori
distratti, spesso adolescenti protratti che non sono in grado di
sostenere il loro ruolo parentale”.
Ventenni o giù di lì che si rifugiano nella coppia e
quaranta-cinquantenni che non riescono ad sostenere il ruolo di
genitori (vedi articolo Figli
maturi, genitori inquieti ). E i trentenni di Muccino, eterni
adolescenti? “I trentenni - spiega Vera Slepoj - dopo gli
avvenimenti dell’11 settembre potrebbero accellerare il bisogno di
coppia e di famiglia. Ma senza raggiungere una vera maturazione dei
ruoli. E’ questo il pericolo anche per i giovani americani: che
sia verifichi un’accellerazione artificiale, data dalla situazione
psicologica di più acuta incertezza, di questi bisogni, senza però
che ad essa corrisponda una cultura della coppia e della famiglia”.
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