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Il nodo della democrazia economica

Roberto Cetera



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Due gli elementi che maggiormente caratterizzano l'evoluzione del Sistema Italia negli ultimi 8 anni. Il primo è certamente la perdita del primato della politica sull'economia. Esso riflette e consegue, non solo la perdita di credibilità della politica che segue la stagione di Tangentopoli, ma soprattutto il dipanarsi della fitta ragnatela di interferenze tra politica ed economia che si esprimeva non solo nell'anomalo sistema delle partecipazioni pubbliche, ma anche in un sistema privato fortemente assistito dal sistema politico, e perciò sclerotizzato e spesso privo di capacità imprenditoriale propulsiva. Da questo punto di vista la perdita di rilevanza della politica sul sistema delle relazioni economiche ha determinato una positiva liberazione di energie disperse, sopite e spesso frustrate. Tale liberazione di energie si è però espressa in un modo convulso, spesso caotico, e disordinato; perché al riferimento venuto meno della politica non è succeduto un perimetro di regole che piuttosto caratterizza i mercati finanziari più maturi. L'esempio più rilevante è senz'altro quello delle privatizzazioni.

Forse tra vent'anni si scriverà la storia della stagione - ancora in corso - delle privatizzazioni italiane, e dal gradino alto della storia si comprenderà come esse siano state una irripetibile occasione persa per la costruzione di un mercato finanziario maturo. Si pensi solo alla scellerata scelta in alcuni casi di anteporre le privatizzazioni alle propedeutiche liberalizzazioni di settore. Oppure alla sostanziale inesistenza di vere public company.

O ancor più, se solo si censissero gli innumerevoli casi e modi con cui una legge dello stato sulle privatizzazioni (specie quelle di secondo e terzo livello) è stata elusa o disattesa.

Forse non poteva essere altrimenti, nel senso che la formazione di un mercato non è certo un processo lineare aprioristicamente governabile. Ma è anche vero che la politica non ha abdicato solamente ad un primato, si è anche improvvisamente manifestata incapace di esercitare alcun tipo di ruolo di indirizzo dell'economia. Venuti meno - per via dell'opzione europea- i tradizionali strumenti degli interventi sui cambi, sui tassi, e sulle valvole della spesa pubblica, i governi non sono stati in grado di individuare altri canali d'intervento "soft" che agevolassero lo sviluppo coordinato del sistema (si pensi fra tutti al clamoroso flop di "Sviluppo Italia"), e tantomeno a identificare un sistema di regole che selezionasse le new entry più affidabili, impedisse le rendite di posizione, garantisse un discreto livello di democrazia economica.

Un paradosso tutto italiano è, ad esempio, nel fatto che un governo senz'altro più liberista del nostro, come quello inglese, in un paese senz'altro più liberale del nostro, come il Regno Unito, ha oggi più capacità di governo dei processi di sviluppo economico del nostro governo di centrosinistra.

I fattori determinanti la crescita dei mercati sono oggi essenzialmente estranei all'azione di governo. Il che, secondo alcuni , potrebbe anche essere un bene. Se solo però il mercato si poggiasse su regole ed etiche forti e condivise. Cosa che da noi non è.

La seconda importante caratteristica di questi tempi è certamente data dall'ingresso prorompente della cosiddetta new economy, cioè dall'introduzione delle nuove tecnologie non solo come segmento di business a se stante ma come modalità di conduzione di una vasta gamma di altri business. Fenomeno questo, certo non peculiare del nostro paese, ma che in Italia assume una dirompenza particolare per il ritardo temporale con cui giunge e per l'innestarsi su un sistema commerciale decisamente lontano dagli standard europei, frammentato e solo recentemente apertosi ad un processo di liberalizzazione. Fenomeno che, già su scala mondiale pone in termini nuovi - e di non facile soluzione - il problema delle regole della competizione e della democrazia economica.

Viviamo dunque nel contesto italiano una fase ancor più convulsa di quella che altri sistemi - paese attraversano nello sforzo di adattarsi ai meccanismi competitivi determinati dalla globalizzazione. Più convulsa perché, come dicevamo, da un lato la politica non possiede di fatto più alcuna leva di intervento in positivo, ma al tempo stesso esistono sacche residuali d'interventismo a favore dei vecchi gruppi di potere; perché i meccanismi di selezione oggettiva delle new entry sono sostanzialmente inesistenti, perché non esiste un sistema certo e condiviso di regole.

Tutto ciò pone con urgenza e rilevanza prioritaria il tema della democrazia economica. E' un problema che investe oltre l'economia e la società italiane, la sinistra in ogni sua componente. Per la responsabilità di governo che congiunturalmente gli è attribuita, ma anche per la responsabilità storica di aver avviato il processo di smantellamento dell'economia pubblica e di aver liberato ingenti risorse finanziarie precedentemente vincolate dal debito pubblico, e per l'imprescindibile legame che unisce democrazia economica con sviluppo compatibile e diritti soggettivi.

La perdita di primato della politica è d'altronde un fenomeno che non vive soltanto in un mutato equilibrio di relazioni tra centri di potere, ma che permea l'intera società enfatizzando ruoli finora sconosciuti al patrimonio di cultura sociale e relazionale del cittadino. Quello di investitore, di consumatore, di dipendente responsabilizzato ai risultato della propria azienda, che hanno soppiantato quello di militante, di sindacalista ecc.. Nuovi ruoli attraverso cui si esprime il consenso e la partecipazione.

Esistono al proposito dei terreni di ricerca che risultano imprescindibili per ogni soggetto (sia politico che economico) che nutra ambizioni di soggettività "sociale", nel senso della ricerca di uno sviluppo "giusto", di eguali opportunità e di compatibilità ambientale.

1) Monitoraggio delle distorsioni in corso d'essere. Sono evidenti e notori i tentativi attraverso cui vengono a formarsi o si consolidano rendite di posizione ed aggregazioni di potere economico, in barba a quelli che in ogni altro paese europeo sarebbero considerati limiti invalicabili di correttezza nella competizione economica e finanziaria. Una rilettura critica di alcuni recenti processi di privatizzazione ed aggregazione (si pensi alle TLC) è il presupposto necessario per l'esercizio di un controllo "politico" dei processi ancora in corso (ad esempio l'energia). E' insita a tale monitoraggio la rilevazione dei residui d'interferenza politica e dello spessore d'influenza dei vecchi centri di mediazione degli interessi.

2)Individuazione degli strumenti regolatori e lobbying per la loro normazione. L'unico strumento regolatore intervenuto in questi anni è la legge sull'OPA che pure ha dimostrato di quali e quanti aggiustamenti necessiterebbe urgentemente. Il campo di ricerca è ampio perché va dall'area della corporate governance a quello -urgente- dei poteri della Consob, dalle problematiche del fair trading alla necessità della costituzione di nuove authority di settore.

3)Democrazia economica e consenso sociale. Le trasformazioni intervenute negli ultimi anni nel senso dell'apertura dei mercati e dello smantellamento del sistema pubblico dell'economia non hanno prodotto un grado di consenso significativo, che è piuttosto diminuito rispetto alla stagione originaria dell'Ulivo. Molte sono le categorie sociali che guardano con rimpianto al sistema ingessato dell'imprenditoria assistita e della tutela delle corporazioni. Non è solo un problema di inefficace comunicazione del cambimento. Per quasi vent'anni il tatcherismo ha realizzato una politica violentemente impopolare con un consenso sociale che è pur andato crescendo negli anni, e non certo per effetto di tendenze masochiste della società inglese. Piuttosto la distribuzione della ricchezza seguita alla cessione delle imprese pubbliche ha contribuito a modificare la stratificazione sociale inglese, inventando una nuova classe leader. Nulla di tutto ciò è stato pensato dalla sinistra italiana, che forse pensa di riaffermare alle prossime elezioni il proprio consenso grazie al supporto di Mediobanca o dei quattro gruppi che hanno beneficiato della cessione delle public utilities.

4)Le nuove leve dell'intervento politico sull'economia. S'è già detto, che la latitanza della politica nell'evoluzione drammatica dei processi economici in corso dipende in larga misura dall'incapacità di individuare nuove leve "soft" d'intervento una volta venuti meno gli strumenti tradizionali d'incidenza. La leva fondamentale -l'unica non smentita dalle vicende recenti d'intervento pubblico- è senz'altro l'avvio di un piano di manutenzione del paese, che punti essenzialmente alla modernizzazione del sistema infrastrutturale (che in taluni casi può anche voler dire de-strutturazione), e alla tutela ambientale come risorsa imprenditoriale. Occorrerebbe cominciare a strutturare alcune ipotesi di business su segmenti specifici (dai rifiuti e riciclo, alla mozione elettrica, al risanamento edilizio di intere zone del paese) pensando ai supporti che -specie nell'ambito della defiscalità di settore- possono essere immaginati.

5) La Democrazia economica non è solo un prodotto di regole, ma anche di nuovi agenti del mercato. La lentezza esasperante con cui prosegue la formzaione dei fondi pensione è espressione di neanche tanto malcelate resistenze della componente più regressiva del capitalismo italiano. La legislazione corrente -frutto di una mediazione "bassa"- non è ancora lo strumento necessario al decollo dei fondi. Anche qui si offre un terreno di ricerca sugli strumenti legislativi, ma anche sulla natura dei fondi (che magari qualcuno immagina con malinconia al consociativismo che fu) e contestualmente un 'attività di pressione per il loro avvio.




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