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Una nuova idea di eguaglianza
Mathias Koenig
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Una nuova idea di eguaglianza
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questa la strada giusta?
1.Cos'è sinistra?
Il documento dice che "l'analisi ecologista porta a una ridefinizione di cosa è
sinistra a partire dalla rappresentazione degli interessi generali e di soggetti che si
intende tutelare: i popoli lontani, le generazioni future, i soggetti marginalizzati (a
partire dalle giovani generazioni)" (punto 9.b). La sinistra ecologista quindi si
definisce in base a una posizione assunta in precedenza anche dalle altre sinistre nella
storia, cioè dalla parte dei deboli e di coloro che vengono sistematicamente svantaggiati
dalle istituzioni economiche, politiche e culturali esistenti. Allora, secondo me, sarebbe
opportuno dichiarare esplicitamente che questa sinistra è tale perché è egualitaria.
Bobbio e altri hanno mostrato in modo convincente che quello che unisce le varie
"sinistre storiche", almeno dalla Rivoluzione francese in poi, è il valore
fondamentale dell'uguaglianza. Ovviamente, questo non significa necessariamente
uguaglianza dei redditi o simili, ma piuttosto l'idea che le persone devono essere
trattate come "eguali", con eguale rispetto e considerazione. Gli interessi
materiali e ideali di ogni singolo membro della società contano, e contano in modo
uguale. Duecento anni fa il liberalismo "borghese" era di sinistra perché
reclamava l'eguaglianza civile contro l'ancien regime, nel ventesimo secolo era di destra
nella misura in cui difendeva i privilegi di classe basati sulla proprietà. Oggi alcuni
settori del "movimento operaio" rischiano di essere di destra in quanto
difendono situazioni di privilegio.
Penso dunque che, soprattutto nel suo documento "teorico", la sinistra
ecologista dovrebbe dichiarare la sua natura fondamentalmente egualitaria e presentare al
pubblico la propria visione su che cosa significa oggi trattare tutte le persone con
eguale considerazione (che può spesso richiedere di trattarle in modo diverso). La ragion
d'essere della sinistra ecologista risiede nel fatto che la risposta alla domanda cruciale
"uguaglianza di che?" data dalle sinistre che l'hanno preceduta non è più
sufficiente oppure adeguata. Non più sufficiente perché grazie al cielo le sinistre del
passato hanno avuto un certo successo e almeno in Europa oggi viviamo in società senza
caste, abbastanza liberali, democratiche e sociali, e questo mette in evidenza nuovi tipi
di ineguaglianza. Non più adeguata perché molte delle soluzioni proposte e realizzate
dalle altre sinistre hanno avuto effetti perversi, che si sono manifestati subito oppure
in fasi successive dello sviluppo della società. In questo contesto vorrei osservare che
l'individualismo, a cui viene dato rilievo nel documento, di per sé non è né di
sinistra né di destra (come l'ambientalismo del resto). La promozione dei diritti
individuali è di sinistra solo quando questi sono attribuiti a tutti, in altre parole
quando sono diritti universali e non privilegi.
Altra osservazione: in un certo senso i Verdi sono "all'estrema sinistra",
perché prospettano un'estensione del principio di eguale considerazione, mutatis
mutandis, addirittura ad individui non appartenenti alla specie umana.
2. Piccolo è bello?
Il punto di forza del pensiero Verde è la capacità di assumere un'ottica globale. Ma per
essere efficace quest'ottica richiede anche una capacità politica globale oltre che
locale, e questo aspetto non mi sembra emergere a sufficienza dal documento. Si auspica
giustamente un maggior grado di autogoverno della periferia, ma difficilmente questa può
offrire una soluzione ai problemi globali, se è vero che l'autarchia economica e
ambientale è tanto irrealizzabile quanto indesiderabile.
La soluzione alla crisi dello Stato nazionale non sta soltanto nell'autogoverno locale ma
anche nella costruzione di istituzioni politiche globali in grado di gestire sviluppi
altrimenti incontrollabili. A questo livello esiste un deficit, non un surplus di
direzione politica; il problema non è lo statalismo ma l'anarchia. Insomma nella
necessaria ridefinizione dei livelli politici territoriali il piccolo non dovrebbe essere
privilegiato rispetto al grande per l'ovvia ragione che comportamenti razionali a livello
individuale e locale possono essere irrazionali e disastrosi a livello collettivo e quindi
una istanza di coordinamento e di risoluzione dei conflitti è imprescindibile. La
sinistra ecologista dovrebbe battersi affinché questo necessario governo globale sia
ispirato ai principi democratici e a meccanismi trasparenti piuttosto che ai meri rapporti
di forza tra i governi e a pratiche egemoniche.
Il documento menziona il F.M.I. e la Banca mondiale come organismi di governo planetario
ma se non sbaglio non contiene alcun riferimento alle istituzioni centrali dell'Onu e
questa mi sembra una lacuna importante. La riforma dell'Onu, e in particolare del
Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea generale, dovrebbe essere non solo un punto
"pratico" da menzionare nel programma, ma un'implicazione cruciale e
qualificante della visione ecologista della comunità mondiale. Proporrei quindi di
accogliere nel testo teorico i punti salienti e le prescrizioni istituzionali della
prospettiva nota come "democrazia cosmopolitica" (che se interessa posso
riferire in un secondo momento). Si tratta di dare sostanza all'accenno alla "nuova
politica sovranazionale" contenuta nel documento.
Vorrei inoltre osservare che nel documento ci sono due punti, strettamente connessi, che
non mi sembrano ricevere la dovuta attenzione. Il primo punto è il problema dell'estrema
povertà di una parte rilevante della popolazione mondiale - causa di catastrofi
alimentari e guerre - e dei doveri di solidarietà dei paesi ricchi. Non occorre ritenere
che il "Nord" sia ricco perché il "Sud" è povero e viceversa per
pensare che l'enorme disparità nelle chances di vita tra chi ha avuto la fortuna di
nascere qui e chi la cattiva sorte di nascere lì (argomento individualista) sia una
questione intorno alla quale si gioca la credibilità etica delle società benestanti e in
particolare delle loro sinistre. Non penso di essere il solo a essere profondamente
colpito nel leggere che la quota di reddito mondiale che va al 20 per cento più povero
della popolazione mondiale è scesa dal 2,3 all'1,4 per cento nel corso degli ultimi
trent'anni, mentre nello stesso periodo la quota del 20 per cento più ricco è aumentata
dal 70 all'85 per cento. Il rapporto tra la quota dei più ricchi e quella dei più poveri
è quindi raddoppiata, da 30:1 a 61:1 (Human Development Report 1996).
Il secondo punto è il problema della promozione dei diritti umani nel mondo (e le varie
questioni connesse come quella delle forme legittime e appropriate di intervento, ecc.).
E' assolutamente giustificato che un partito italiano di ispirazione libertaria presti
un'attenzione particolare al rispetto dei diritti individuali in patria, ma è anche
giusto tenere presente che le violazioni che accadono in Italia, per quanto gravi,
impallidiscono a confronto con quelle perpetrate quotidianamente in altre aree del mondo.
Personalmente non sono sicuro che, al di là di ovvie considerazioni pragmatiche, alle
prime debba spettare necessariamente una maggiore quantità di impegno mentale e politico
che alle seconde.
Non dubito che la transizione verso orientamenti e valori postmaterialistici rappresentato
dal movimento ecologista sia un importante segno di progresso culturale e civile, ma a
patto che non affievolisca la consapevolezza che buona parte della popolazione mondiale si
trova ancora ad affrontare problemi molto materiali e che ha bisogno urgente del nostro
aiuto. Credo che sia importante non generare l'impressione che la sinistra ecologista
risponda semplicemente ai "bisogni" e alle "sensibilità" di categorie
in fondo privilegiate.
3. Lavoro e solidarietà
Sono sorpreso di non trovare nel documento un riferimento al tema della riduzione
dell'orario di lavoro, che invece mi pare potrebbe essere un obiettivo fondamentale della
politica ecologista, l'altra faccia della medaglia della critica alla corsa al consumo. Se
in linea di principio la crescita della produttività del lavoro può essere utilizzata
essenzialmente in due modi - aumentare i beni prodotti mantenendo inalterato il tempo
complessivo di lavoro, oppure ridurre quest'ultimo mantenendo inalterato il livello della
produzione - allora esiste un "trade off" tra beni materiali e tempo libero. Lo
porrei anche in modo più radicale: tra cose e libertà.
Di fatto l'enorme crescita di produttività generata dall'industrialismo ha accresciuto
enormemente la produzione ma non ha comportato alcuna significativa riduzione del tempo
passato sul posto di lavoro, rispetto alla società preindustriale. E' plausibile la tesi
che questa "scelta sociale" a favore del consumo materiale e contro il tempo
libero non sia il prodotto della libera scelta degli individui, ma il risultato di
strutture produttive che privilegiano sistematicamente l'espansione della produzione
rispetto alla riduzione del lavoro necessario. Finora pochi individui hanno potuto
scegliere liberamente quanto lavorare.
Penso che un punto centrale di un programma ecologista debbano essere politiche vigorose
dirette a garantire una reale libertà di scegliere il tempo libero. La riduzione
dell'orario di lavoro è importante non solo come strumento per alleviare la
disoccupazione, ma come modo per aumentare la libertà di chi è occupato. Non solo e non
primariamente lavorare meno per lavorare tutti, ma anche e soprattutto lavorare tutti per
lavorare meno. E questo mi porta direttamente alla seconda "assenza" che mi ha
sorpreso nel documento: il tema del volontariato (a cui se non sbaglio viene fatto solo un
brevissimo cenno). Se, nella prospettiva del paragrafo precedente, le persone impiegano
una quota minore del loro tempo per produrre i beni di consumo, che cosa faranno nel tempo
"liberato"? E' legittimo supporre che in buona parte continueranno ad essere
attive, ma in attività "volontarie", spesso di utilità sociale. E' quello che
oggi molte persone fanno già, soprattutto quelle persone meno "ingabbiate" nel
mercato del lavoro remunerato. I volontari sono quindi una manifestazione concreta e
presente di una futura società ecologica, in cui l'importanza della produzione e del
consumo materiale sarà ridotta a favore della socialità, della libertà e dei beni
immateriali. Dicendo questo non intendo certo attribuire al volontariato quel ruolo di
soggetto motore del progresso storico che in passato da molti era stata attribuito al
proletariato, ma semplicemente suggerire che una teoria politica ecologista deve
riconoscere in modo esplicito il valore attuale e potenziale di queste esperienze, oltre
che proporre politiche che consentano a tutti di disporre del tempo per viverle e offrire
incentivi in questo senso
Oltre all'aspetto specifico del volontariato, mi sembra che il documento dedichi troppo
poco spazio al terzo settore, che nelle sue espressioni migliori in fondo non è altro che
il tentativo pratico di superare la dicotomia Stato-mercato, attestandosi in prossimità
del terzo vertice di un triangolo concettuale, il vertice comunitario. Il nonprofit è la
manifestazione più concreta che abbiamo della "sfera pubblica dell'economia" di
cui parla il documento (se l'ho interpretato bene), e meriterebbe una menzione più
diretta - se non altro perché gli operatori del nonprofit sono ciò che più si avvicina
a un "substrato sociale" portante del progetto ecologista.
Il tema del volontariato mi porta infine a un'altra osservazione, sul ruolo delle
responsabilità e dei doveri. Il riferimento alla Costituzione del 1793 fatto nel
documento mi è piaciuto perché mette in chiaro il fatto che in generale ogni diritto di
un individuo implica un dovere di qualcun altro, e che una condizione per il rispetto
generale dei diritti individuali è che ognuno, in qualità di cittadino, contribuente,
consumatore, pubblico ufficiale, magistrato, ecc. compia il proprio dovere.
Nel documento però il riferimento ai diritti è molto più frequente di quello ai doveri
e sono preoccupato che le due facce della medaglia possano venire viste come separate,
relegando quella dei doveri nell'armamentario concettuale dell'autoritarismo giacobino e
reazionario. Dopotutto tanto uno stile di vita ecocompatibile quanto l'esercizio della
solidarietà, specialmente quella internazionale e intergenerazionale, richiede una buona
dose di autolimitazione, e il "senso del dovere" appare indispensabile per
generarla. Se alla gente si chiedono dei sacrifici bisogna dirlo a chiare lettere.
L'importante è che i doveri continuino a essere considerati come i mezzi e non come i
fini, ma non mi pare che vi sia il pericolo che la sinistra ecologista commetta questo
errore.
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