"Giudichera' la storia": cosi' la
maggioranza degli osservatori e dei politici ha commentato la morte di Bettino Craxi,
protagonista della vita italiana per circa un quindicennio. Ma la storia non e' un'entita'
a se', che possa emettere sentenze. Il problema semmai riguarda gli studiosi, chiamati a
confrontarsi con un periodo difficile e complesso del nostro recente passato.
Forse il primo a cimentarsi con animo sgombro da passioni su questo terreno
incandescente e' stato il professor Luciano Cafagna, docente di Storia contemporanea
all'Universita' di Pisa e autore per l'editore Marsilio di libri come "La grande
slavina" (1993) e soprattutto "Una strana disfatta" (1996), in cui analizza
le ragioni del pesante scacco subito dal socialismo autonomista nell'Italia repubblicana.
A suo parere la parabola di Craxi non si puo' comprendere senza inserirla nel drammatico
contesto degli anni Settanta.
"In una fase in cui la societa' italiana sembrava andare alla deriva - ricorda
Cafagna - Craxi contribui' enormemente a ridare al Paese una prospettiva di governo e a
infondere nei cittadini nuova fiducia nella possibilita' di superare la crisi, dopo che la
strategia della solidarieta' nazionale era fallita e i comunisti di Enrico Berlinguer
avevano scelto di tirarsi fuori dall'impegno di collaborazione con le altre forze
democratiche".
Lei da' un giudizio negativo sullo sforzo del Pci per arrivare a un accordo di governo
con la Dc?
No. I comunisti per un certo periodo svolsero un ruolo importante nell'arginare i
fenomeni disgregativi della societa' italiana di quegli anni. Ma Berlinguer fu sempre piu'
incerto ed esitante. Non trovo' il coraggio e la forza di rompere con il massimalismo
della piazza di sinistra, che avanzava rivendicazioni insostenibili per il sistema
produttivo. Solo Giorgio Amendola, nel Pci, si dimostro' consapevole dei rischi che
correva l'Italia e sprono' il suo partito a una piena assunzione di responsabilita'. Ma
lui e i suoi amici non vennero ascoltati. Tanto che ancora oggi su Amendola si tiene
calata la cortina del silenzio.
Tutto cio' favori' l'iniziativa del Psi?
Craxi riempi' uno spazio che i comunisti avevano lasciato vuoto. Con la sua
risolutezza, che venne chiamata "decisionismo", diede al Paese l'impressione di
aver trovato finalmente una guida sicura, della quale si sentiva un estremo bisogno. A mio
avviso e' questo il ricordo che ancora oggi conservano di lui molti italiani, a
prescindere dal loro giudizio favorevole o ostile nei suoi riguardi: un uomo energico,
capace di risolvere situazioni drammatiche e ingarbugliate con scelte nette. Qualita'
rare, e per questo tanto piu' apprezzate, in un'Italia martoriata e disorientata non solo
dalla crisi economica, ma anche dal terrorismo.
Pero' Craxi chiese un'iniziativa umanitaria dello Stato durante il sequestro Moro,
incrinando il fronte della fermezza verso le Br.
Io all'epoca fui contrario alla posizione trattativista del Psi, ma penso che fosse
essenzialmente una mossa tattica. Craxi mirava a dare l'immagine di un partito che rompeva
con l'immobilismo di chi non faceva nulla per salvare Moro. L'effetto di quella scelta fu
contraddittorio: da una parte sconcerto' i fautori di una lotta a oltranza contro il
terrorismo, anche se poi il Psi non ebbe altri cedimenti in materia; dall'altra accredito'
Craxi come un leader dinamico e spregiudicato, pronto ad andare controcorrente. Alla fine,
del resto, la strategia vincente contro quella del terrorismo, il quale voleva spingere il
Paese verso la guerra civile, fu la sua.
Il leader socialista mostro' grande spregiudicatezza anche nello sfruttare il suo
potere di coalizione, derivante dal fatto che il Psi era indispensabile per formare una
maggioranza che non comprendesse i comunisti.
Craxi si dimostro' molto abile. Collocatosi in una posizione chiave, faceva rendere al
massimo il suo pacchetto di voti, che era poco piu' del 10 per cento. Per i socialisti non
era un compito agevole, una volta che il Pci era tornato all'opposizione, assumersi per
intero la responsabilita' di un'alleanza di governo con la Dc in un periodo di forte
conflittualita' sociale. Ma Craxi seppe cogliere la situazione come una preziosa
opportunita' per il rilancio del partito.
Al tempo stesso pero' fece del Psi un suo feudo, quasi del tutto privo di voci
dissenzienti.
E' vero. Ma, al tempo stesso, Craxi ridiede fiducia e orgoglio ai socialisti, che, dopo
l'esaurimento del primo centrosinistra, apparivano condannati al declino. Il prezzo pagato
fu tuttavia la progressiva espropriazione del partito a vantaggio del suo leader, che ne
divenne il capo assoluto: il 10 per cento del Psi contava tanto proprio perche' era saldo
e compatto intorno al segretario. Va aggiunto peraltro che la gestione
"monarchica" di Craxi venne progressivamente accettata da una parte sempre piu'
estesa dei quadri e dei dirigenti, compresi coloro che inizialmente gli erano avversi.
Come mai?
Sostanzialmente per due motivi. Da un lato si riconosceva al segretario una grande
capacita' tattica, che aveva restituito al Psi un ruolo di primo piano: l'uso
centralizzato di quel 10 per cento potenziava tutto il partito. Dall'altro lato apparve
sempre piu' persuasiva la sua linea di fondo autonomista, per cui i socialisti dovevano
tenere le distanze dal Pci e opporsi strenuamente, sul piano internazionale, al blocco
sovietico, di cui si cominciava a vedere piu' nitidamente il fallimento storico. In fatto
di anticomunismo Craxi fu sempre fermo e coerente, rispetto alle continue oscillazioni che
caratterizzavano molti altri leader politici. E cio' aumentava la sua credibilita'.
Cio' nonostante il Psi, sotto la guida di Craxi, non supero' mai il 14-15 per cento dei
suffragi.
Da questo punto di vista, certo non secondario, il suo tentativo ebbe scarsi risultati.
Non ci fu un grande afflusso di consenso verso le liste del Garofano. I progressi
elettorali risultarono sempre modesti, molto al di sotto delle ambizioni. Craxi conquisto'
qualche voto al centro, ma non riusci' nell'obiettivo di sfondare a sinistra e rovesciare
i rapporti di forza con i comunisti, come invece aveva fatto in Francia François
Mitterrand.

Le ragioni di questo insuccesso?
Credo che Craxi non abbia saputo tenere separata la sua sacrosanta opposizione
all'ideologia comunista da una mancanza di attenzione e di pazienza verso la mentalita'
del cosiddetto "popolo di sinistra", la sua cultura, soprattutto la sua
moralita'. Non capi' quanto fosse necessario ottenere il consenso degli intellettuali,
importanti mediatori verso l'opinione pubblica, specie di sinistra, e nei loro riguardi
ostento' un costante disprezzo. Anche dopo la caduta del Muro di Berlino, che riapriva i
giochi, non si rese conto che i voti degli elettori del Pci bisognava sudarseli, invece di
aspettare che cadessero automaticamente tra le sue braccia. Non mostro' alcuna arte
diplomatica, ne' alcuna comprensione verso il patrimonio ideale e morale del popolo
comunista. Occorreva criticare, anche spietatamente, ma dialogando.
Forse fu accecato dal suo anticomunismo, quello stesso che oggi gli procura tanti
omaggi postumi da parte del Polo.
E' vero che, alla fine, l'anticomunismo di Craxi era rimasto la sua sola bandiera, e
che questa bandiera finiva con l'essere sempre meno efficace dopo il collasso dell'impero
sovietico. Se il leader socialista avesse condotto una politica di piu' ampio respiro e
tenuto fede alle sue molte promesse, forse sarebbe riuscito a portare a sinistra forze che
ora sono disperse in mille rivoli, anche a destra. Ricordo un'intervista che mi fece
allora per "L'Espresso" Nello Ajello, e nella quale io dicevo di attendermi da
Craxi una svolta mitterrandiana: Ajello pero' non ci credeva. Aveva ragione lui. Quello
che manco' a Craxi fu appunto la capacita' di calamitare il consenso su una prospettiva di
rinnovamento dell'intera sinistra.
Tra l'altro pare che molti ex elettori del Psi votino oggi per Forza Italia.
Il fatto che il fallimento socialista abbia provocato una diaspora generalizzata fa
parte della catastrofe complessiva del nostro sistema politico, che, del resto, ancora non
riesce a trovare un equilibrio soddisfacente. Non bisogna trascurare una cosa, secondo me
importantissima, e che invece nessuno dice: moltissimi italiani hanno visto nel
rovesciamento di Craxi una sorta di punizione per il suo anticomunismo. E questo - venendo
dopo la caduta del Muro di Berlino - ha sconcertato e terribilmente intorbidato le acque
in cui deve nuotare la cosiddetta "seconda Repubblica"
Molti riconoscono al primo Craxi valide intuizioni innovatrici, che poi si persero
nella gestione del potere. Lei e' d'accordo?
Indubbiamente nella fase iniziale il nuovo corso del Psi alimento' vaste speranze di
cambiamento, che poi andarono deluse. Giunto alla prova del governo, Craxi diede ben
presto l'impressione che quella spinta riformatrice si andasse esaurendo in una sorta di
soddisfazione per il potere, accompagnata forse dalla convinzione che bastasse aver
rimesso le cose a posto dopo il grande uragano.
Tuttavia da presidente del Consiglio non resto' certo inerte. Ad esempio taglio' la
scala mobile, affrontando un duro scontro con il Pci.
Fu il suo maggiore successo e il punto piu' alto della sua credibilita' di leader.
Vinta quella battaglia, ritengo che avrebbe dovuto pero' sfruttare il prestigio conseguito
per assumersi con coraggio il compito di risanare la finanza pubblica e completare quella
uscita dal dopo-68 che lui aveva avviato. Invece si adagio'. Contribui' alla caduta
dell'inflazione, aiutato, peraltro, da favorevoli fattori internazionali, ma non ando'
oltre, accontentandosi del plauso degli ambienti della produzione e degli affari. Cosi'
dimostro' i suoi limiti di statista: aveva notevoli doti politiche, ma gli mancava un
forte senso dei grandi problemi dell'economia. Spesso i nostri leader questo requisito
indispensabile a un vero statista non ce l'hanno: non dovrebbero poi lamentarsi che si
debba ricorrere ai "governi dei tecnici".
Insomma, Craxi spreco' l'occasione che aveva saputo procurarsi?
Piu' che sulle riforme, sembro' concentrare gli sforzi sul consolidamento del proprio
potere, ad esempio ergendosi ad arbitro supremo del sistema occulto di finanziamento della
politica. Probabilmente voleva mettere il Psi in condizione di competere alla pari con
avversari, Dc e Pci, che godevano di risorse ben piu' consistenti. In questo - si deve
dirlo - non aveva torto, perche' l'autonomia politica e la forza di un partito dipendono
anche dalla quantita' dei mezzi a sua disposizione. Ma l'errore di Craxi fu di passare
dalla realistica scoperta della importanza di questo fattore alla convinzione della
onnipotenza politica dei mezzi finanziari. Si potrebbe quasi dire che a un certo punto
rinuncio' alla prospettiva della crescita elettorale, appagandosi di esercitare una sorta
di supremo controllo sui canali attraverso cui passava il finanziamento irregolare dei
partiti. Sicuramente lo convinse di questo il fatto di avere scoperto che cio' poteva
accrescere anche il suo prestigio internazionale. Deve essere stata grande la sua
soddisfazione nel vedere il Psi passare dall'accattonaggio di briciole lasciate dai
democristiani, e prima persino di briciole sovietiche, alla posizione di attivo
finanziatore internazionale.
Cosi' i socialisti di Craxi vennero quasi identificati con un esercizio del potere
arrogante e disinvolto.
E' vero, Craxi tenne spesso un atteggiamento ai limiti della iattanza. E fu un grave
errore. Mentre di solito il "lato invisibile" della politica viene trattato con
estrema riservatezza, il leader socialista quasi ostentava certi comportamenti. E per
giunta li tollerava nel partito, perche' lasciar correre gli sembrava un mezzo utile per
tenere legati a se' quadri e dirigenti del Garofano. Qui emerge il limite culturale e
politico di Craxi: non comprese che sulla questione morale si stava elevando una barriera
tra il Psi e una parte rilevante dell'opinione pubblica. Quel che avrebbe poi determinato
la sua rovinosa caduta.
Craxi si difendeva sostenendo che tutti i partiti si erano finanziati in modo illecito,
ma molti gli hanno addebitato anche un arricchimento personale.
In realta' non credo che abbia molto senso chiedersi se il segretario socialista
facesse anche un uso privato del denaro a sua disposizione. Direi che, come una sorta di
monarca patrimoniale, si considerava titolare e amministratore dei fondi che affluivano
nelle casse del Psi. E riteneva di avere il diritto di impiegarli con la massima
discrezionalita'. La sua vicenda, anche se cio' non la rende meno condannabile, va dunque
vista in un'ottica piu' ampia, rispetto a un ordinario caso di corruzione politica. Dico:
non meno condannabile, perche' non si possono sottovalutare gli effetti devastanti che una
simile prassi puo' avere sulla fiducia dei cittadini nella politica e nella democrazia.
Si puo' fare un parallelo con Helmut Kohl?
Cio' che avviene in Germania dimostra quale peso effettivamente abbia, ovunque, il
problema del finanziamento occulto della politica. Tuttavia Kohl e altri leader europei
(penso a Mitterrand) hanno sempre trattato con la massima discrezione le faccende piu'
scabrose. Per cui sono riusciti a mantenere distinta la loro opera di statisti rispetto
alla sgradevole necessita' di procurarsi fondi per consolidare il proprio potere e quello
del proprio partito. Quella che puo' sembrare ipocrisia, in realta', e' una netta
distinzione di piani. Mentre nel caso di Craxi la confusione e' stata totale.
Inoltre il leader socialista reagi' alle inchieste attaccando frontalmente i
magistrati, mentre Kohl non ha fatto niente di simile.
Vi e' un equilibrio molto delicato da conservare, in ogni democrazia, nel triangolo
costituito da classe politica, potere giudiziario e opinione pubblica. Con la sua
arroganza, Craxi fini' per alienarsi in modo sempre piu' esteso non solo i magistrati, ma
anche i cittadini, sempre meno disposti a tollerare la pretesa di una discriminante
impunita' dei politici. Esiste certamente, poi, un problema di limiti e responsabilita'
dell'azione giudiziaria rispetto alla sfera di pertinenza della politica. Ma non lo si
puo' certo affrontare mostrando di voler colpire autonomia e prestigio della magistratura.
Ma lei pensa che ci sia stato un accanimento degli inquirenti nei riguardi di Craxi?
Si', credo che per almeno per due ragioni lo si possa sostenere. Innanzitutto perche'
nella vicenda di Tangentopoli i magistrati non hanno certamente osservato il dovuto
riserbo. Non discuto le valutazioni e conclusioni giudiziarie, ma il modo aggressivamente
presenzialistico in cui i pubblici ministeri hanno agito nel mondo della comunicazione. In
secondo luogo, pur non potendosi trarre su questo conclusioni certe, non si puo' non
rilevare come l'inchiesta Mani pulite abbia in qualche modo scelto gli obiettivi su cui
concentrare la propria attenzione, dando clamorosa priorita' alle indagini su Craxi e sui
socialisti. Dico francamente che non mi piacerebbe affatto se il lavoro della futura
Commissione d'inchiesta su Tangentopoli dovesse trasformarsi in un controprocesso alla
magistratura. Non abbiamo proprio bisogno che questa sorta di guerra civile fra i poteri
continui all'infinito. Ma l'inchiesta dovrebbe certamente evidenziare tutta l'ampiezza del
campo minato.