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L'ascesa del leader, l'autunno del monarca


Luciano Cafagna con Antonio Carioti

 

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"Giudichera' la storia": cosi' la maggioranza degli osservatori e dei politici ha commentato la morte di Bettino Craxi, protagonista della vita italiana per circa un quindicennio. Ma la storia non e' un'entita' a se', che possa emettere sentenze. Il problema semmai riguarda gli studiosi, chiamati a confrontarsi con un periodo difficile e complesso del nostro recente passato.

Forse il primo a cimentarsi con animo sgombro da passioni su questo terreno incandescente e' stato il professor Luciano Cafagna, docente di Storia contemporanea all'Universita' di Pisa e autore per l'editore Marsilio di libri come "La grande slavina" (1993) e soprattutto "Una strana disfatta" (1996), in cui analizza le ragioni del pesante scacco subito dal socialismo autonomista nell'Italia repubblicana. A suo parere la parabola di Craxi non si puo' comprendere senza inserirla nel drammatico contesto degli anni Settanta.

"In una fase in cui la societa' italiana sembrava andare alla deriva - ricorda Cafagna - Craxi contribui' enormemente a ridare al Paese una prospettiva di governo e a infondere nei cittadini nuova fiducia nella possibilita' di superare la crisi, dopo che la strategia della solidarieta' nazionale era fallita e i comunisti di Enrico Berlinguer avevano scelto di tirarsi fuori dall'impegno di collaborazione con le altre forze democratiche".

 

Lei da' un giudizio negativo sullo sforzo del Pci per arrivare a un accordo di governo con la Dc?

No. I comunisti per un certo periodo svolsero un ruolo importante nell'arginare i fenomeni disgregativi della societa' italiana di quegli anni. Ma Berlinguer fu sempre piu' incerto ed esitante. Non trovo' il coraggio e la forza di rompere con il massimalismo della piazza di sinistra, che avanzava rivendicazioni insostenibili per il sistema produttivo. Solo Giorgio Amendola, nel Pci, si dimostro' consapevole dei rischi che correva l'Italia e sprono' il suo partito a una piena assunzione di responsabilita'. Ma lui e i suoi amici non vennero ascoltati. Tanto che ancora oggi su Amendola si tiene calata la cortina del silenzio.

 

Tutto cio' favori' l'iniziativa del Psi?

Craxi riempi' uno spazio che i comunisti avevano lasciato vuoto. Con la sua risolutezza, che venne chiamata "decisionismo", diede al Paese l'impressione di aver trovato finalmente una guida sicura, della quale si sentiva un estremo bisogno. A mio avviso e' questo il ricordo che ancora oggi conservano di lui molti italiani, a prescindere dal loro giudizio favorevole o ostile nei suoi riguardi: un uomo energico, capace di risolvere situazioni drammatiche e ingarbugliate con scelte nette. Qualita' rare, e per questo tanto piu' apprezzate, in un'Italia martoriata e disorientata non solo dalla crisi economica, ma anche dal terrorismo.

 

Pero' Craxi chiese un'iniziativa umanitaria dello Stato durante il sequestro Moro, incrinando il fronte della fermezza verso le Br.

Io all'epoca fui contrario alla posizione trattativista del Psi, ma penso che fosse essenzialmente una mossa tattica. Craxi mirava a dare l'immagine di un partito che rompeva con l'immobilismo di chi non faceva nulla per salvare Moro. L'effetto di quella scelta fu contraddittorio: da una parte sconcerto' i fautori di una lotta a oltranza contro il terrorismo, anche se poi il Psi non ebbe altri cedimenti in materia; dall'altra accredito' Craxi come un leader dinamico e spregiudicato, pronto ad andare controcorrente. Alla fine, del resto, la strategia vincente contro quella del terrorismo, il quale voleva spingere il Paese verso la guerra civile, fu la sua.

 

Il leader socialista mostro' grande spregiudicatezza anche nello sfruttare il suo potere di coalizione, derivante dal fatto che il Psi era indispensabile per formare una maggioranza che non comprendesse i comunisti.

Craxi si dimostro' molto abile. Collocatosi in una posizione chiave, faceva rendere al massimo il suo pacchetto di voti, che era poco piu' del 10 per cento. Per i socialisti non era un compito agevole, una volta che il Pci era tornato all'opposizione, assumersi per intero la responsabilita' di un'alleanza di governo con la Dc in un periodo di forte conflittualita' sociale. Ma Craxi seppe cogliere la situazione come una preziosa opportunita' per il rilancio del partito.

 

Al tempo stesso pero' fece del Psi un suo feudo, quasi del tutto privo di voci dissenzienti.

E' vero. Ma, al tempo stesso, Craxi ridiede fiducia e orgoglio ai socialisti, che, dopo l'esaurimento del primo centrosinistra, apparivano condannati al declino. Il prezzo pagato fu tuttavia la progressiva espropriazione del partito a vantaggio del suo leader, che ne divenne il capo assoluto: il 10 per cento del Psi contava tanto proprio perche' era saldo e compatto intorno al segretario. Va aggiunto peraltro che la gestione "monarchica" di Craxi venne progressivamente accettata da una parte sempre piu' estesa dei quadri e dei dirigenti, compresi coloro che inizialmente gli erano avversi.

 

Come mai?

Sostanzialmente per due motivi. Da un lato si riconosceva al segretario una grande capacita' tattica, che aveva restituito al Psi un ruolo di primo piano: l'uso centralizzato di quel 10 per cento potenziava tutto il partito. Dall'altro lato apparve sempre piu' persuasiva la sua linea di fondo autonomista, per cui i socialisti dovevano tenere le distanze dal Pci e opporsi strenuamente, sul piano internazionale, al blocco sovietico, di cui si cominciava a vedere piu' nitidamente il fallimento storico. In fatto di anticomunismo Craxi fu sempre fermo e coerente, rispetto alle continue oscillazioni che caratterizzavano molti altri leader politici. E cio' aumentava la sua credibilita'.

 

Cio' nonostante il Psi, sotto la guida di Craxi, non supero' mai il 14-15 per cento dei suffragi.

Da questo punto di vista, certo non secondario, il suo tentativo ebbe scarsi risultati. Non ci fu un grande afflusso di consenso verso le liste del Garofano. I progressi elettorali risultarono sempre modesti, molto al di sotto delle ambizioni. Craxi conquisto' qualche voto al centro, ma non riusci' nell'obiettivo di sfondare a sinistra e rovesciare i rapporti di forza con i comunisti, come invece aveva fatto in Francia François Mitterrand.

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Le ragioni di questo insuccesso?

Credo che Craxi non abbia saputo tenere separata la sua sacrosanta opposizione all'ideologia comunista da una mancanza di attenzione e di pazienza verso la mentalita' del cosiddetto "popolo di sinistra", la sua cultura, soprattutto la sua moralita'. Non capi' quanto fosse necessario ottenere il consenso degli intellettuali, importanti mediatori verso l'opinione pubblica, specie di sinistra, e nei loro riguardi ostento' un costante disprezzo. Anche dopo la caduta del Muro di Berlino, che riapriva i giochi, non si rese conto che i voti degli elettori del Pci bisognava sudarseli, invece di aspettare che cadessero automaticamente tra le sue braccia. Non mostro' alcuna arte diplomatica, ne' alcuna comprensione verso il patrimonio ideale e morale del popolo comunista. Occorreva criticare, anche spietatamente, ma dialogando.

 

Forse fu accecato dal suo anticomunismo, quello stesso che oggi gli procura tanti omaggi postumi da parte del Polo.

E' vero che, alla fine, l'anticomunismo di Craxi era rimasto la sua sola bandiera, e che questa bandiera finiva con l'essere sempre meno efficace dopo il collasso dell'impero sovietico. Se il leader socialista avesse condotto una politica di piu' ampio respiro e tenuto fede alle sue molte promesse, forse sarebbe riuscito a portare a sinistra forze che ora sono disperse in mille rivoli, anche a destra. Ricordo un'intervista che mi fece allora per "L'Espresso" Nello Ajello, e nella quale io dicevo di attendermi da Craxi una svolta mitterrandiana: Ajello pero' non ci credeva. Aveva ragione lui. Quello che manco' a Craxi fu appunto la capacita' di calamitare il consenso su una prospettiva di rinnovamento dell'intera sinistra.

 

Tra l'altro pare che molti ex elettori del Psi votino oggi per Forza Italia.

Il fatto che il fallimento socialista abbia provocato una diaspora generalizzata fa parte della catastrofe complessiva del nostro sistema politico, che, del resto, ancora non riesce a trovare un equilibrio soddisfacente. Non bisogna trascurare una cosa, secondo me importantissima, e che invece nessuno dice: moltissimi italiani hanno visto nel rovesciamento di Craxi una sorta di punizione per il suo anticomunismo. E questo - venendo dopo la caduta del Muro di Berlino - ha sconcertato e terribilmente intorbidato le acque in cui deve nuotare la cosiddetta "seconda Repubblica"

 

Molti riconoscono al primo Craxi valide intuizioni innovatrici, che poi si persero nella gestione del potere. Lei e' d'accordo?

Indubbiamente nella fase iniziale il nuovo corso del Psi alimento' vaste speranze di cambiamento, che poi andarono deluse. Giunto alla prova del governo, Craxi diede ben presto l'impressione che quella spinta riformatrice si andasse esaurendo in una sorta di soddisfazione per il potere, accompagnata forse dalla convinzione che bastasse aver rimesso le cose a posto dopo il grande uragano.

 

Tuttavia da presidente del Consiglio non resto' certo inerte. Ad esempio taglio' la scala mobile, affrontando un duro scontro con il Pci.

Fu il suo maggiore successo e il punto piu' alto della sua credibilita' di leader. Vinta quella battaglia, ritengo che avrebbe dovuto pero' sfruttare il prestigio conseguito per assumersi con coraggio il compito di risanare la finanza pubblica e completare quella uscita dal dopo-68 che lui aveva avviato. Invece si adagio'. Contribui' alla caduta dell'inflazione, aiutato, peraltro, da favorevoli fattori internazionali, ma non ando' oltre, accontentandosi del plauso degli ambienti della produzione e degli affari. Cosi' dimostro' i suoi limiti di statista: aveva notevoli doti politiche, ma gli mancava un forte senso dei grandi problemi dell'economia. Spesso i nostri leader questo requisito indispensabile a un vero statista non ce l'hanno: non dovrebbero poi lamentarsi che si debba ricorrere ai "governi dei tecnici".

 

Insomma, Craxi spreco' l'occasione che aveva saputo procurarsi?

Piu' che sulle riforme, sembro' concentrare gli sforzi sul consolidamento del proprio potere, ad esempio ergendosi ad arbitro supremo del sistema occulto di finanziamento della politica. Probabilmente voleva mettere il Psi in condizione di competere alla pari con avversari, Dc e Pci, che godevano di risorse ben piu' consistenti. In questo - si deve dirlo - non aveva torto, perche' l'autonomia politica e la forza di un partito dipendono anche dalla quantita' dei mezzi a sua disposizione. Ma l'errore di Craxi fu di passare dalla realistica scoperta della importanza di questo fattore alla convinzione della onnipotenza politica dei mezzi finanziari. Si potrebbe quasi dire che a un certo punto rinuncio' alla prospettiva della crescita elettorale, appagandosi di esercitare una sorta di supremo controllo sui canali attraverso cui passava il finanziamento irregolare dei partiti. Sicuramente lo convinse di questo il fatto di avere scoperto che cio' poteva accrescere anche il suo prestigio internazionale. Deve essere stata grande la sua soddisfazione nel vedere il Psi passare dall'accattonaggio di briciole lasciate dai democristiani, e prima persino di briciole sovietiche, alla posizione di attivo finanziatore internazionale.

 

Cosi' i socialisti di Craxi vennero quasi identificati con un esercizio del potere arrogante e disinvolto.

E' vero, Craxi tenne spesso un atteggiamento ai limiti della iattanza. E fu un grave errore. Mentre di solito il "lato invisibile" della politica viene trattato con estrema riservatezza, il leader socialista quasi ostentava certi comportamenti. E per giunta li tollerava nel partito, perche' lasciar correre gli sembrava un mezzo utile per tenere legati a se' quadri e dirigenti del Garofano. Qui emerge il limite culturale e politico di Craxi: non comprese che sulla questione morale si stava elevando una barriera tra il Psi e una parte rilevante dell'opinione pubblica. Quel che avrebbe poi determinato la sua rovinosa caduta.

 

Craxi si difendeva sostenendo che tutti i partiti si erano finanziati in modo illecito, ma molti gli hanno addebitato anche un arricchimento personale.

In realta' non credo che abbia molto senso chiedersi se il segretario socialista facesse anche un uso privato del denaro a sua disposizione. Direi che, come una sorta di monarca patrimoniale, si considerava titolare e amministratore dei fondi che affluivano nelle casse del Psi. E riteneva di avere il diritto di impiegarli con la massima discrezionalita'. La sua vicenda, anche se cio' non la rende meno condannabile, va dunque vista in un'ottica piu' ampia, rispetto a un ordinario caso di corruzione politica. Dico: non meno condannabile, perche' non si possono sottovalutare gli effetti devastanti che una simile prassi puo' avere sulla fiducia dei cittadini nella politica e nella democrazia.

 

Si puo' fare un parallelo con Helmut Kohl?

Cio' che avviene in Germania dimostra quale peso effettivamente abbia, ovunque, il problema del finanziamento occulto della politica. Tuttavia Kohl e altri leader europei (penso a Mitterrand) hanno sempre trattato con la massima discrezione le faccende piu' scabrose. Per cui sono riusciti a mantenere distinta la loro opera di statisti rispetto alla sgradevole necessita' di procurarsi fondi per consolidare il proprio potere e quello del proprio partito. Quella che puo' sembrare ipocrisia, in realta', e' una netta distinzione di piani. Mentre nel caso di Craxi la confusione e' stata totale.

 

Inoltre il leader socialista reagi' alle inchieste attaccando frontalmente i magistrati, mentre Kohl non ha fatto niente di simile.

Vi e' un equilibrio molto delicato da conservare, in ogni democrazia, nel triangolo costituito da classe politica, potere giudiziario e opinione pubblica. Con la sua arroganza, Craxi fini' per alienarsi in modo sempre piu' esteso non solo i magistrati, ma anche i cittadini, sempre meno disposti a tollerare la pretesa di una discriminante impunita' dei politici. Esiste certamente, poi, un problema di limiti e responsabilita' dell'azione giudiziaria rispetto alla sfera di pertinenza della politica. Ma non lo si puo' certo affrontare mostrando di voler colpire autonomia e prestigio della magistratura.

 

Ma lei pensa che ci sia stato un accanimento degli inquirenti nei riguardi di Craxi?

Si', credo che per almeno per due ragioni lo si possa sostenere. Innanzitutto perche' nella vicenda di Tangentopoli i magistrati non hanno certamente osservato il dovuto riserbo. Non discuto le valutazioni e conclusioni giudiziarie, ma il modo aggressivamente presenzialistico in cui i pubblici ministeri hanno agito nel mondo della comunicazione. In secondo luogo, pur non potendosi trarre su questo conclusioni certe, non si puo' non rilevare come l'inchiesta Mani pulite abbia in qualche modo scelto gli obiettivi su cui concentrare la propria attenzione, dando clamorosa priorita' alle indagini su Craxi e sui socialisti. Dico francamente che non mi piacerebbe affatto se il lavoro della futura Commissione d'inchiesta su Tangentopoli dovesse trasformarsi in un controprocesso alla magistratura. Non abbiamo proprio bisogno che questa sorta di guerra civile fra i poteri continui all'infinito. Ma l'inchiesta dovrebbe certamente evidenziare tutta l'ampiezza del campo minato.

 

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