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Le molte vite di Lola


Fabrizio Natalini

 

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Lola corre, il successo tedesco del 1998, è passato nelle sale cinematografiche italiane, ma non per molto, purtroppo: neanche questa volta riusciremo a fare l'Europa. La pellicola di Tom Tykwer meritava l'acquisto del biglietto già solo per il piacere di vedere la protagonista, la tedesca Franka Potente, attraversare di corsa, con i suoi rossi capelli, le vie della Berlino del dopo muro. La fulva Lola del film sembrava uscita da un fumetto, o da un videogioco, o da un videoclip, e questo è stato sin da subito l'intento del regista, che ha pensato, scritto e diretto un film un po' fumetto, un po' videogioco ed un po' videoclip per quella che i sociologi chiamano Generazione X, una generazione talmente inclassificabile da essere inserita d'ufficio nella categoria degli invisibili.

Secondo Irene Bignardi, la sfortuna di questo bell'oggetto su pellicola, che, per pura consuetudine, chiamiamo film, è stata di partecipare al Festival di Venezia. Scriveva la Bignardi, su "La Repubblica" del 16 ottobre 1998: "Un film a cui ha probabilmente nuociuto - criticamente parlando - il fatto di essere stato presentato in concorso". "Alias", l'inserto settimanale de "Il manifesto", ha collegato questo film al mitico Fino all'ultimo respiro di Jan Luc Godard, parlando della promessa di una rinascita del cinema tedesco, mentre Emanuela Martini, sul "Sole-24 Ore" del 13 settembre 1998 lo definiva, non volendo certo fargli un complimento, un "videogame adrenalinico", e sempre la Bignardi, su "La Repubblica" parlava di "una sorta di destrutturazione in chiave pop".

La frase di lancio di Lola corre è "Puoi amare qualcuno con tutto il tuo cuore e perdere tutto in venti minuti", in pratica, parafrasando I casi e le coincidenze (Hasards ou coïncidences) di Lelouch, uscito nel 1998.

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Lola corre è ambientato a Berlino, oggi. Lola e Manni sono giovani e innamorati. Manni, entrato in un losco giro, è diventato corriere di denaro sporco; per una banale disattenzione, il casuale passaggio di due controllori, si dimentica su un sedile della metropolitana una busta che contiene centomila marchi, e un barbone se ne appropria. Disperato, Manni, telefona a Lola per chiederle aiuto, anticipandole che se entro venti minuti non riuscirà a recuperare il denaro lui verrà ucciso. Lola s'impegna ad aiutarlo e in questi venti minuti corre disperatamente alla ricerca del denaro.

I venti minuti vengono presentati dal regista con tre soluzioni diverse: nella prima, Lola esce di casa per chiedere aiuto al padre, direttore di banca, il qual è impegnato in una discussione con l'amante che gli annuncia di aspettare un figlio da lui e lo invita a decidersi ad abbandonare la famiglia. Il padre, oppresso da tali pensieri, scaccia la figlia annunciandole che lascerà la famiglia. Lola riprende a correre per cercare di raggiungere Manni prima che siano trascorsi i fatidici venti minuti; per pochi istanti non ce la fa, Manni, disperato, compie una rapina, i due giovani vengono circondati dalla Polizia e Lola è uccisa accidentalmente da un poliziotto.

Nella seconda versione, in cui percorso e incontri sono identici alla prima, la ragazza, accolta in malo modo dal padre, gli punta contro una pistola e gli ordina di farle consegnare la somma occorrente. Dopodichè la ragazza, sempre correndo, arriva al luogo dell'appuntamento con Manni il quale, mentre lei gli corre incontro felice, viene investito casualmente da un furgone e muore. Nella terza e ultima versione, Lola non trova il padre in ufficio perché è uscito in macchina pochi minuti prima del suo arrivo e decide di tentare la fortuna al Casinò, dove vince centomila marchi. Mentre lei si reca di corsa all'appuntamento con Manni, il padre muore in un incidente d'auto. Il giovane ha già risolto il suo problema, dato che è riuscito a rintracciare per caso il barbone che aveva preso la busta con il denaro. I due giovani così si allontanano abbracciati, vittoriosi e con la busta piena dei soldi vinti al Casinò.

Lola corre è l'opera ambiziosa di un autore ambizioso. Ambizioso e furbo, intelligente, una gran bella testa. Tom Tykwer è nato nel 1965 a Wuppertal, ed è berlinese d'adozione. Ha girato a undici anni i suoi primi filmini in Super-8. Analogamente al nostro Nanni Moretti, con il Nuovo Sacher e la Sacher Film, dal 1988 Tykwer ha rilevato, come direttore e programmatore, il cinema Moviemento a Berlino, girando contemporaneamente una serie di ritratti per la televisione sugli autori che ama: il finlandese Aki Kaurismaki, il tedesco Wim Wenders, l'inglese Peter Greenaway, il danese Lars von Trier.

Nel 1992, assieme al fidato amico e produttore Stefan Arndt, ha fondato la Liebesfilm, e, l'anno seguente, ha diretto il suo lungometraggio d'esordio, mai distribuito in Italia, Die Todliche Maria (Maria fatale). Nel 1994 ha dato vita, sempre con Arndt e alcuni fra i più moderni e creativi registi della sua generazione, a una nuova casa di produzione, che si chiama, guarda caso, X-Filme Creative Pool GmbH. Il suo secondo film, Der Winterschiafer (Il dormiente d'inverno), anche questo inedito sui nostri schermi, è stato accolto molto positivamente dalla critica, vincendo il Nastro d'argento del Cinema Tedesco, il premio per la miglior regia al Gijon International Film Festival e il premio Fripesci al Festival di Tessalonica, ottenendo la nomination al Pardo D'oro del Locarno International Film Festival e al Golden Alexander in Grecia.

Come già fallirono, più o meno quindici anni fa, i mitici Zoetrope Studios creati da Francis Ford Coppola per produrre i film dei registi senza passare per le censure di Hollywood e le regole del botteghino (Wenders, Kurosawa, fu un bellissimo e rovinoso esperimento) anche la X-Filme, che ha finanziato due importanti pellicole d'autore, entrambe scritte da Tykwer, Der Winterschlafer e Das Leben ist eine Baustelle (La vita è un cantiere), ha rischiato il fallimento. Di fronte al problema della sopravvivenza della X-Filme, Tykwer e gli altri hanno scritto e girato in pochissimo tempo un film veloce e diretto: Lola corre.

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Nell'articolo citato in precedenza, la Bignardi scriveva: "Lola corre è un piacevole mega videoclip, ma è fatto con troppa furbizia, troppa Mtv, troppa musica, troppa confezione. Caratteristiche che non tolgono però niente al divertimento se si prende il film per quello che è: un divertissement di ottantuno minuti sui casi del caso". Ma proprio questi "difetti" rilevati dalla Bignardi, questo disperato vitalismo superenergico, costituiscono le principali qualità del film, ne sono la base, confermando la distanza, sia cronologica sia culturale, della pur ottima critica cinematografica de "La Repubblica" dalla Generazione X.

Il meccanismo su cui si basa la narrazione, ovvero la reiterazione dello stesso episodio con tre diversi sviluppi, ha fatto sì che Lola corre venisse messo in relazione con Sliding doors, il gioiellino di Peter Howitt: operazione che ha fatto più danno che altro alla pellicola di Tykwer, perchè ha in qualche modo oscurato gli aspetti sostanziali di questo quadro della generazione senza radici che è corsa ai botteghini tedeschi in massa. Da noi, proprio sull'onda del successo di Sliding doors, gran parte della critica ha inteso dar risalto in primo luogo al meccanismo della reiterazione. Ma in un'intervista concessa a Rüdiger Suchsland il 6 agosto del 1998 a Berlino Tykwer affermava: "Mi interessano solamente i film che [...] hanno un messaggio filosofico [...] ma non c'è una vera antitesi o sintesi, ci sono tre atti, è un concetto drammaturgico. Un viaggio con molte difficoltà, alla fine del quale c'è una soluzione. Non è solo un film sperimentale. L'importante è che si veda il film come un viaggio senza interruzioni [...] dopo che Lola ha sperimentato tutto, la sua morte, la morte del ragazzo, allora, può uscire dalla storia vincitrice. Non corre per venti minuti, ma corre per l'eternità, fra spazio e tempo. Mi sono anche occupato della teoretica della casualità, la filosofia per me è la vita di ogni giorno [...] intendo dire che vedo volentieri sia film di Rivette che di Spielberg, tutti e due ti portano [...] lontano, c'è una quantità di filosofi che io ammiro". (L'intervista è riportata in "Artechock Magazin", all'indirizzo Internet (www.dimos.de/arte/magazin/magaz835.htm#DREI).

Il materiale di presentazione preparato dalla casa di distribuzione italiana del film, la Lucky Red, mirava, sulla scorta dell'esperienza tedesca, soprattutto a ribadirne l'energia e la vitalità e a concentrare l'attenzione sulle dinamiche anche esistenziali dei protagonisti, più che sulle modalità ripetitive o sugli strumenti della narrazione, che sono, e restano, solo strumenti. L'utilizzo di una tecnica multiforme e rutilante che va dalla telecamera al video, dalla ripresa accelerata al ralenti, passando per il cartoon, il bianco e nero e il colore, volevano e hanno determinato che lo spettatore si trovasse all'interno di una sorta di videoclip, di una schermata con più finestre aperte in contemporanea, e una travolgente e presentissima colonna sonora, rapidamente divenuta, in Germania, uno dei massimi successi discografici. Un grande sfarzo tecnologico, al limite dello sperpero. Lo stesso ripetere il narrato tre volte è una manifestazione di sperpero che ci restituisce lo spaccato post moderno di una società postmoderna.

Franka Potente ha scritto e canta alcuni dei brani della colonna sonora, che esalta la reiterazione delle sonorità e la ripetizione in generale, tant'è che elenca tre titoli analoghi, eseguiti dalla stessa Potente: Running One, Running Two e Running Three. Fra gli altri autori delle musiche l'australiano Johnny Klimer, già componente degli Other e bassista di Nina Hagen, grande ispiratrice della musica tedesca ed europea della prima metà degli anni '80.

Questa sovrabbondanza di tecnologia invasiva che lo spettatore subisce ha fatto sì che il film venisse paragnato anche a The Truman Show, perfetta parabola hollywoodiana sulle cattiverie di Hollywood e del mondo dei media. Si è andati a ricercare le radici del film di Tykwer in una sequenza di pellicole, dal delizioso Stefano Quantestorie di Maurizio Nichetti, all'affascinante esperimento (di togata origine teatrale) di Alain Resnais Smoking - No Smoking: due pièces teatrali, con gli stessi protagonisti-interpreti, i cui destini differiranno a seconda se, nella prima scena, uno dei personaggi prenderà o non prenderà una sigaretta per fumare. Anche Krzysztof Kieslowski, l'autore del Decalogo, ha più volte dato vita alla riflessione sulle casualità del caso, già in un film del 1981, Destino cieco, rapidamente passato nelle nostre sale, e poi nello splendido La doppia di vita di Veronica e nell'ambiguo finale di Film Rosso, in cui ricompaiono assieme i protagonisti delle pellicole che compongono la trilogia Rosso, Blu e Bianco.

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Il fantasma della reiterazione - rappresentato con ironica maniacalità in un gradevole film americano, Ricomincio da capo (Groundhog day) di Harold Ramis, il cui protagonista si trova a rivivere eternamente la stessa giornata - è un must della cinematografia di questi anni, ma in Lola corre c'è molto di più.Non si tratta solo di una coazione a ripetere, di una divertente summa dei possibili esiti di un'ipotesi. C'è nella pellicola un'energia e una voglia di vivere esuberante, che lo fanno tutt'altro dalla malinconia autunnale dei nostri giorni. Un film diverso, diverso quanto la melensa Gwyneth Paltrow di Sliding doors è diversa da Franka Potente.

Lo stesso Tom Tykwer, nelle sue interviste, ha parlato di energia: Lola è il trionfo dell'energia, dell'azione. Il film nasce da un'immagine: "L'immagine di una donna che corre. Più precisamente il mezzo primo piano di profilo di una donna che corre. Il cinema ha qualcosa a che fare con il dinamismo ma allo stesso tempo può comunicare delle emozioni [...] la nostra epoca non è governata da ideali. Si guarda a quello che succede oggi, senza farsi troppi problemi su ciò che avverrà domani [...] Non si fanno piani, il che significa che l'istante acquista significato. Oggi si vive adeguandosi alle situazioni". E questo è vero anche per il regista, se si considera che Lola corre è, anche, il fortunato tentativo di salvare una casa di produzione sull'orlo del fallimento.

Il film è un mix, c'è tutto, è assolutamente e volutamente scritto. Persino il nome della protagonista va a pescare, non certo a caso, nell'immaginario collettivo sia pangermanico sia filmico: Lola Montez di Ophuls, la Marlene Dietrich-LolaLola, dell'Angelo azzurro, Lola, ragazza di vita del mai troppo apprezzato Demy. C'è stato un Lola dello spagnolo Bigas Luna ed anche Fassbinder, nel 1981, girò un Lola, la cui protagonista incarnava la metafora della storia della nazione tedesca dal nazismo ad oggi.

In un'intervista il regista diceva: "Nel dare una forma al film, in fase di montaggio, la sfida più grande è stata quella di non far apparire i salti temporali come delle rotture. La continuità spazio-temporale viene costantemente sconvolta senza che uno se ne accorga.. Abbiamo perciò adottato anche visivamente questo principio logico: ogni piano, ogni livello, ha un proprio look. Le sequenze di Lola e Manni sono girate in 35 mm. Tutto il resto, quando Lola e Manni non ci sono, è girato in video, come a dire un mondo artificiale. In questo modo Lola e Manni sono al centro del loro mondo, dove, molto cinematograficamente, possono succedere anche i miracoli".

Ma dei tanti film che giocano sul meccanismo della ripetitività e delle varie possibilità, citati parlando di Lola corre, forse quello che maggiormente gli assomiglia è proprio quello, anche culturalmente più lontano, del giapponese Rashomon di Kurosawa, che vinse il Leone a Venezia nel 1951. E non tanto per una sorta di pirandellismo di ritorno, ma per l'energia del protagonista, il Toshiro Mifune-Samurai, icona laica della ribellione e della vitalità. Perché sempre di questo si tratta, di energia!

Lola corre è un film scritto, pensato e diretto con cuore e cervello, con energia e passione, certamente con un occhio al botteghino, ma con una grande voglia di raccontare un mondo. Se Lola corre è un film disperato, è anche il ritratto di una generazione disperata, ma che prova a reagire. Lola corre come un samurai lungo una Berlino semideserta, popolata di suore e barboni, la Berlino del dopo muro, di Renzo Piano, del Reichstag, finalmente unita, ma con le strade delle due parti - quelle che erano Ovest ed Est - ancora con gli stessi nomi, inducendo gli autisti dei taxi - nel film, naturalmente - a sbagliare indirizzi. E proprio da questo casuale (?) incidente partirà l'azione.

Ma poiché stiamo parlando, anche, di una favola, in cui il regista porta dentro allo schermo il suo pubblico, il primo personaggio che ci appare in scena, e che ci parlerà di Lola, presentandocela, in un'audace lunga sequenza che, tra la gente, inquadra, casualmente, i futuri protagonisti del film, teorizzandoci che la vita è spesso casuale e che, con logora metafora calcistica, la palla è rotonda, è un attore di secondo piano della televisione tedesca, noto al grande pubblico soprattutto quale fine dicitore per aver interpretato una serie di dischi in vinile, tardi anni Settanta, in cui raccontava proprio...delle favole.

E allora che favola sia, ma una favola elettrizzante, coinvolgente, con padri e madri incoerenti, sgradevoli e distratti - il rapporto genitori-figli tedesco è assai lontano dal mammismo italiano, ma vanta, naturalmente, altre contraddizioni, principalmente l'incomprensione fra genitori e figli. Sempre nell'intervista riportata dalla brochure, Tykwer diceva: "Lola non si sente amata dai propri genitori. Si aggrappa all'amore per Manni come a un ancora di salvezza [...] Lola corre funziona come la ricerca del Sacro Graal, solamente che il nostro Graal sono 100.000 marchi".

E' tutto chiaro, quindi, siamo di nuovo nel mito.

L'amore fra Lola e Manni, è il solo mito possibile della Generazione X

 
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