Secondo Irene Bignardi, la sfortuna di
questo bell'oggetto su pellicola, che, per pura consuetudine, chiamiamo film, è stata di
partecipare al Festival di Venezia. Scriveva la Bignardi, su "La Repubblica" del
16 ottobre 1998: "Un film a cui ha probabilmente nuociuto - criticamente parlando -
il fatto di essere stato presentato in concorso". "Alias", l'inserto
settimanale de "Il manifesto", ha collegato questo film al mitico Fino
all'ultimo respiro di Jan Luc Godard, parlando della promessa di una rinascita del cinema
tedesco, mentre Emanuela Martini, sul "Sole-24 Ore" del 13 settembre 1998 lo
definiva, non volendo certo fargli un complimento, un "videogame adrenalinico",
e sempre la Bignardi, su "La Repubblica" parlava di "una sorta di
destrutturazione in chiave pop".
La frase di lancio di Lola corre è "Puoi amare qualcuno con tutto il tuo cuore e
perdere tutto in venti minuti", in pratica, parafrasando I casi e le coincidenze
(Hasards ou coïncidences) di Lelouch, uscito nel 1998.

Lola corre è ambientato a Berlino, oggi. Lola e Manni sono giovani e innamorati.
Manni, entrato in un losco giro, è diventato corriere di denaro sporco; per una banale
disattenzione, il casuale passaggio di due controllori, si dimentica su un sedile della
metropolitana una busta che contiene centomila marchi, e un barbone se ne appropria.
Disperato, Manni, telefona a Lola per chiederle aiuto, anticipandole che se entro venti
minuti non riuscirà a recuperare il denaro lui verrà ucciso. Lola s'impegna ad aiutarlo
e in questi venti minuti corre disperatamente alla ricerca del denaro.
I venti minuti vengono presentati dal regista con tre soluzioni diverse: nella prima,
Lola esce di casa per chiedere aiuto al padre, direttore di banca, il qual è impegnato in
una discussione con l'amante che gli annuncia di aspettare un figlio da lui e lo invita a
decidersi ad abbandonare la famiglia. Il padre, oppresso da tali pensieri, scaccia la
figlia annunciandole che lascerà la famiglia. Lola riprende a correre per cercare di
raggiungere Manni prima che siano trascorsi i fatidici venti minuti; per pochi istanti non
ce la fa, Manni, disperato, compie una rapina, i due giovani vengono circondati dalla
Polizia e Lola è uccisa accidentalmente da un poliziotto.
Nella seconda versione, in cui percorso e incontri sono identici alla prima, la
ragazza, accolta in malo modo dal padre, gli punta contro una pistola e gli ordina di
farle consegnare la somma occorrente. Dopodichè la ragazza, sempre correndo, arriva al
luogo dell'appuntamento con Manni il quale, mentre lei gli corre incontro felice, viene
investito casualmente da un furgone e muore. Nella terza e ultima versione, Lola non trova
il padre in ufficio perché è uscito in macchina pochi minuti prima del suo arrivo e
decide di tentare la fortuna al Casinò, dove vince centomila marchi. Mentre lei si reca
di corsa all'appuntamento con Manni, il padre muore in un incidente d'auto. Il giovane ha
già risolto il suo problema, dato che è riuscito a rintracciare per caso il barbone che
aveva preso la busta con il denaro. I due giovani così si allontanano abbracciati,
vittoriosi e con la busta piena dei soldi vinti al Casinò.
Lola corre è l'opera ambiziosa di un autore ambizioso. Ambizioso e furbo,
intelligente, una gran bella testa. Tom Tykwer è nato nel 1965 a Wuppertal, ed è
berlinese d'adozione. Ha girato a undici anni i suoi primi filmini in Super-8.
Analogamente al nostro Nanni Moretti, con il Nuovo Sacher e la Sacher Film, dal 1988
Tykwer ha rilevato, come direttore e programmatore, il cinema Moviemento a Berlino,
girando contemporaneamente una serie di ritratti per la televisione sugli autori che ama:
il finlandese Aki Kaurismaki, il tedesco Wim Wenders, l'inglese Peter Greenaway, il danese
Lars von Trier.
Nel 1992, assieme al fidato amico e produttore Stefan Arndt, ha fondato la Liebesfilm,
e, l'anno seguente, ha diretto il suo lungometraggio d'esordio, mai distribuito in Italia,
Die Todliche Maria (Maria fatale). Nel 1994 ha dato vita, sempre con Arndt e alcuni fra i
più moderni e creativi registi della sua generazione, a una nuova casa di produzione, che
si chiama, guarda caso, X-Filme Creative Pool GmbH. Il suo secondo film, Der
Winterschiafer (Il dormiente d'inverno), anche questo inedito sui nostri schermi, è stato
accolto molto positivamente dalla critica, vincendo il Nastro d'argento del Cinema
Tedesco, il premio per la miglior regia al Gijon International Film Festival e il premio
Fripesci al Festival di Tessalonica, ottenendo la nomination al Pardo D'oro del Locarno
International Film Festival e al Golden Alexander in Grecia.
Come già fallirono, più o meno quindici anni fa, i mitici Zoetrope Studios creati da
Francis Ford Coppola per produrre i film dei registi senza passare per le censure di
Hollywood e le regole del botteghino (Wenders, Kurosawa, fu un bellissimo e rovinoso
esperimento) anche la X-Filme, che ha finanziato due importanti pellicole d'autore,
entrambe scritte da Tykwer, Der Winterschlafer e Das Leben ist eine Baustelle (La vita è
un cantiere), ha rischiato il fallimento. Di fronte al problema della sopravvivenza della
X-Filme, Tykwer e gli altri hanno scritto e girato in pochissimo tempo un film veloce e
diretto: Lola corre.

Nell'articolo citato in precedenza, la Bignardi scriveva: "Lola corre è un
piacevole mega videoclip, ma è fatto con troppa furbizia, troppa Mtv, troppa musica,
troppa confezione. Caratteristiche che non tolgono però niente al divertimento se si
prende il film per quello che è: un divertissement di ottantuno minuti sui casi del
caso". Ma proprio questi "difetti" rilevati dalla Bignardi, questo
disperato vitalismo superenergico, costituiscono le principali qualità del film, ne sono
la base, confermando la distanza, sia cronologica sia culturale, della pur ottima critica
cinematografica de "La Repubblica" dalla Generazione X.
Il meccanismo su cui si basa la narrazione, ovvero la reiterazione dello stesso
episodio con tre diversi sviluppi, ha fatto sì che Lola corre venisse messo in relazione
con Sliding doors, il gioiellino di Peter Howitt: operazione che ha fatto più danno che
altro alla pellicola di Tykwer, perchè ha in qualche modo oscurato gli aspetti
sostanziali di questo quadro della generazione senza radici che è corsa ai botteghini
tedeschi in massa. Da noi, proprio sull'onda del successo di Sliding doors, gran parte
della critica ha inteso dar risalto in primo luogo al meccanismo della reiterazione. Ma in
un'intervista concessa a Rüdiger Suchsland il 6 agosto del 1998 a Berlino Tykwer
affermava: "Mi interessano solamente i film che [...] hanno un messaggio filosofico
[...] ma non c'è una vera antitesi o sintesi, ci sono tre atti, è un concetto
drammaturgico. Un viaggio con molte difficoltà, alla fine del quale c'è una soluzione.
Non è solo un film sperimentale. L'importante è che si veda il film come un viaggio
senza interruzioni [...] dopo che Lola ha sperimentato tutto, la sua morte, la morte del
ragazzo, allora, può uscire dalla storia vincitrice. Non corre per venti minuti, ma corre
per l'eternità, fra spazio e tempo. Mi sono anche occupato della teoretica della
casualità, la filosofia per me è la vita di ogni giorno [...] intendo dire che vedo
volentieri sia film di Rivette che di Spielberg, tutti e due ti portano [...] lontano,
c'è una quantità di filosofi che io ammiro". (L'intervista è riportata in
"Artechock Magazin", all'indirizzo Internet
(www.dimos.de/arte/magazin/magaz835.htm#DREI).
Il materiale di presentazione preparato dalla casa di distribuzione italiana del film,
la Lucky Red, mirava, sulla scorta dell'esperienza tedesca, soprattutto a ribadirne
l'energia e la vitalità e a concentrare l'attenzione sulle dinamiche anche esistenziali
dei protagonisti, più che sulle modalità ripetitive o sugli strumenti della narrazione,
che sono, e restano, solo strumenti. L'utilizzo di una tecnica multiforme e rutilante che
va dalla telecamera al video, dalla ripresa accelerata al ralenti, passando per il
cartoon, il bianco e nero e il colore, volevano e hanno determinato che lo spettatore si
trovasse all'interno di una sorta di videoclip, di una schermata con più finestre aperte
in contemporanea, e una travolgente e presentissima colonna sonora, rapidamente divenuta,
in Germania, uno dei massimi successi discografici. Un grande sfarzo tecnologico, al
limite dello sperpero. Lo stesso ripetere il narrato tre volte è una manifestazione di
sperpero che ci restituisce lo spaccato post moderno di una società postmoderna.
Franka Potente ha scritto e canta alcuni dei brani della colonna sonora, che esalta la
reiterazione delle sonorità e la ripetizione in generale, tant'è che elenca tre titoli
analoghi, eseguiti dalla stessa Potente: Running One, Running Two e Running Three. Fra gli
altri autori delle musiche l'australiano Johnny Klimer, già componente degli Other e
bassista di Nina Hagen, grande ispiratrice della musica tedesca ed europea della prima
metà degli anni '80.
Questa sovrabbondanza di tecnologia invasiva che lo spettatore subisce ha fatto sì che
il film venisse paragnato anche a The Truman Show, perfetta parabola hollywoodiana sulle
cattiverie di Hollywood e del mondo dei media. Si è andati a ricercare le radici del film
di Tykwer in una sequenza di pellicole, dal delizioso Stefano Quantestorie di Maurizio
Nichetti, all'affascinante esperimento (di togata origine teatrale) di Alain Resnais
Smoking - No Smoking: due pièces teatrali, con gli stessi protagonisti-interpreti, i cui
destini differiranno a seconda se, nella prima scena, uno dei personaggi prenderà o non
prenderà una sigaretta per fumare. Anche Krzysztof Kieslowski, l'autore del Decalogo, ha
più volte dato vita alla riflessione sulle casualità del caso, già in un film del 1981,
Destino cieco, rapidamente passato nelle nostre sale, e poi nello splendido La doppia di
vita di Veronica e nell'ambiguo finale di Film Rosso, in cui ricompaiono assieme i
protagonisti delle pellicole che compongono la trilogia Rosso, Blu e Bianco.

Il fantasma della reiterazione - rappresentato con ironica maniacalità in un gradevole
film americano, Ricomincio da capo (Groundhog day) di Harold Ramis, il cui protagonista si
trova a rivivere eternamente la stessa giornata - è un must della cinematografia di
questi anni, ma in Lola corre c'è molto di più.Non si tratta solo di una coazione a
ripetere, di una divertente summa dei possibili esiti di un'ipotesi. C'è nella pellicola
un'energia e una voglia di vivere esuberante, che lo fanno tutt'altro dalla malinconia
autunnale dei nostri giorni. Un film diverso, diverso quanto la melensa Gwyneth Paltrow di
Sliding doors è diversa da Franka Potente.
Lo stesso Tom Tykwer, nelle sue interviste, ha parlato di energia: Lola è il trionfo
dell'energia, dell'azione. Il film nasce da un'immagine: "L'immagine di una donna che
corre. Più precisamente il mezzo primo piano di profilo di una donna che corre. Il cinema
ha qualcosa a che fare con il dinamismo ma allo stesso tempo può comunicare delle
emozioni [...] la nostra epoca non è governata da ideali. Si guarda a quello che succede
oggi, senza farsi troppi problemi su ciò che avverrà domani [...] Non si fanno piani, il
che significa che l'istante acquista significato. Oggi si vive adeguandosi alle
situazioni". E questo è vero anche per il regista, se si considera che Lola corre
è, anche, il fortunato tentativo di salvare una casa di produzione sull'orlo del
fallimento.
Il film è un mix, c'è tutto, è assolutamente e volutamente scritto. Persino il nome
della protagonista va a pescare, non certo a caso, nell'immaginario collettivo sia
pangermanico sia filmico: Lola Montez di Ophuls, la Marlene Dietrich-LolaLola, dell'Angelo
azzurro, Lola, ragazza di vita del mai troppo apprezzato Demy. C'è stato un Lola dello
spagnolo Bigas Luna ed anche Fassbinder, nel 1981, girò un Lola, la cui protagonista
incarnava la metafora della storia della nazione tedesca dal nazismo ad oggi.
In un'intervista il regista diceva: "Nel dare una forma al film, in fase di
montaggio, la sfida più grande è stata quella di non far apparire i salti temporali come
delle rotture. La continuità spazio-temporale viene costantemente sconvolta senza che uno
se ne accorga.. Abbiamo perciò adottato anche visivamente questo principio logico: ogni
piano, ogni livello, ha un proprio look. Le sequenze di Lola e Manni sono girate in 35 mm.
Tutto il resto, quando Lola e Manni non ci sono, è girato in video, come a dire un mondo
artificiale. In questo modo Lola e Manni sono al centro del loro mondo, dove, molto
cinematograficamente, possono succedere anche i miracoli".
Ma dei tanti film che giocano sul meccanismo della ripetitività e delle varie
possibilità, citati parlando di Lola corre, forse quello che maggiormente gli assomiglia
è proprio quello, anche culturalmente più lontano, del giapponese Rashomon di Kurosawa,
che vinse il Leone a Venezia nel 1951. E non tanto per una sorta di pirandellismo di
ritorno, ma per l'energia del protagonista, il Toshiro Mifune-Samurai, icona laica della
ribellione e della vitalità. Perché sempre di questo si tratta, di energia!
Lola corre è un film scritto, pensato e diretto con cuore e cervello, con energia e
passione, certamente con un occhio al botteghino, ma con una grande voglia di raccontare
un mondo. Se Lola corre è un film disperato, è anche il ritratto di una generazione
disperata, ma che prova a reagire. Lola corre come un samurai lungo una Berlino
semideserta, popolata di suore e barboni, la Berlino del dopo muro, di Renzo Piano, del
Reichstag, finalmente unita, ma con le strade delle due parti - quelle che erano Ovest ed
Est - ancora con gli stessi nomi, inducendo gli autisti dei taxi - nel film, naturalmente
- a sbagliare indirizzi. E proprio da questo casuale (?) incidente partirà l'azione.
Ma poiché stiamo parlando, anche, di una favola, in cui il regista porta dentro allo
schermo il suo pubblico, il primo personaggio che ci appare in scena, e che ci parlerà di
Lola, presentandocela, in un'audace lunga sequenza che, tra la gente, inquadra,
casualmente, i futuri protagonisti del film, teorizzandoci che la vita è spesso casuale e
che, con logora metafora calcistica, la palla è rotonda, è un attore di secondo piano
della televisione tedesca, noto al grande pubblico soprattutto quale fine dicitore per
aver interpretato una serie di dischi in vinile, tardi anni Settanta, in cui raccontava
proprio...delle favole.
E allora che favola sia, ma una favola elettrizzante, coinvolgente, con padri e madri
incoerenti, sgradevoli e distratti - il rapporto genitori-figli tedesco è assai lontano
dal mammismo italiano, ma vanta, naturalmente, altre contraddizioni, principalmente
l'incomprensione fra genitori e figli. Sempre nell'intervista riportata dalla brochure,
Tykwer diceva: "Lola non si sente amata dai propri genitori. Si aggrappa all'amore
per Manni come a un ancora di salvezza [...] Lola corre funziona come la ricerca del Sacro
Graal, solamente che il nostro Graal sono 100.000 marchi".
E' tutto chiaro, quindi, siamo di nuovo nel mito.
L'amore fra Lola e Manni, è il solo mito possibile della Generazione X