Caffe' Europa
Attualita'



Come nasce lo sceneggiato che sfonda

Laura Toscano con Paola Casella


Articoli collegati
La grande abbuffata
Maurizio Costanzo con Bibi David
L'ambizione di coniugare qualità e ascolti
Come nasce lo sceneggiato che sfonda
Giovani sceneggiatori crescono
Ero il cattivo di Vivere

Questa intervista è apparsa sul numero 55 di Reset

La sceneggiatrice Laura Toscano e' responsabile, insieme al marito Franco Marotta, di alcuni dei principali successi televisivi degli ultimi dieci anni: da Un cane sciolto a Commesse, passando per Il Maresciallo Rocca, che con i suoi 16 milioni di spettatori detiene il record assoluto di audience per un serial di fiction italiana. Tanti termini anglosassoni per descrivere un fenomeno che invece trova le sue radici in alcuni antesignani di casa nostra, dagli sceneggiati di Sandro Bolchi a quel cinema italiano cosiddetto "medio", non in quanto mediocre, ma in quanto privo di pretese autoriali.

Genovese di nascita, Toscano e' arrivata a Roma a 19 anni per intraprendere la carriera di giornalista, e ha subito trovato lavoro come autrice di romanzi gialli, "perche' cosi' mi e' capitato", racconta. "Io non ne avevo mai letto neanche uno, ma ne avevo visti molti al cinema. E dato che vivevo a Roma, il percorso dalla scrittura per l'editoria a quella per il grande schermo e' stato quasi obbligato."

La prima commedia cinematografica firmata dal duo Toscano-Marotta, nel frattempo convolati a nozze, e' stata Aragosta a colazione, per la regia di quel Giorgio Capitani con il quale i due sceneggiatori avrebbero in seguito formato il sodalizio televisivo che ha firmato, fra gli altri, Il Maresciallo Rocca e Commesse. "Abbiamo scritto moltissimi film per il grande schermo, poi, a meta' anni '80, il cinema e' finito in mano alle cordate dei comici e ci siamo resi conto che non era piu' possibile costruire delle storie, ma che ci venivano chiesti solo degli sketch. L'ultimo film che abbiamo sceneggiato e' stato Pizza Connection di Damiano Damiani, poi siamo passati alla televisione"

 

Qual e' il segreto di una buona sceneggiatura televisiva?

Personalmente non ho una ricetta. Io sono l'ombelico delle mie sceneggiature, davanti alle quali mi pongo innanzituto come spettatrice: dunque scrivo le storie che mi piacerebbe vedere al cinema o in televisione, e non faccio differenza fra scrivere per il piccolo o per il grande schermo. La regola d'oro e' quella di mantenersi il piu' possibile vicini alla realta', raccontando pezzi di vita che la gente in qualche modo riconosce, personaggi che frequenta e sui quali non ha mai riflettuto. Questo fa in modo che il pubblico si identifichi con quei personaggi e si appassioni alle loro vicende.

Un altro segreto e' quello di lavorare molto sulla dimensione psicologica dei personaggi: io dei protagonisti delle mie storie so molte cose che poi nella sceneggiatura non metto, ma che mi danno la sensazione di poterli far muovere e reagire in maniera piu' diretta e convincente.

 

Quali sono gli elementi che non possono mancare in una sceneggiatura?

Un personaggio forte e un'ambientazione credibile. Certo, ogni genere ha delle regole specifiche, degli stacchi di racconto diversi. Ma io non credo alle teorie americane secondo le quali tutto e' costruito, bisogna prevedere il turning point in un dato momento, e il secondo atto deve cominciare alla pagina X. Secondo me e' la storia che ti conduce ad avere il turning point al momento giusto. E il dialogo e' portato dal personaggio: io cerco solo di mantenere un livello naturalista.

 

Come nasce una storia per il piccolo schermo?

Normalmente la storia nasce proprio dal connubio di personaggio e ambientazione. Poi e' il personaggio che conduce il narratore all'interno della vicenda. Certo, c'e' una struttura interna di racconto, ma se il personaggio e' solido e ha delle solide radici e' lui che porta lo sceneggiatore da A a B, e lo fa attraverso un percorso obbligato, proprio perche' e' costruito in un certo modo e si muove all'interno di un certo contesto.

 

Puo' farci un esempio relativo ai suoi successi televisivi?

Il Maresciallo Rocca e' stato costruito come personaggio con elementi molto forti attinenti alla sua figura. Ma se invece di vivere in provincia, a Viterbo, dove lo abbiamo collocato, avesse vissuto in una metropoli, le sue storie sarebbero state diverse. E' stata una scelta molto precisa, quella di raccontare la provincia italiana attraverso un personaggio di un certo tipo, e di collocarlo all'interno di una piccola stazione dei carabinieri. Non e' un caso che Rocca rimandi all'infinito l'esame che gli consentirebbe il trasferimento presso una sede piu' prestigiosa.

rai10.jpg (15908 byte)

Puo' descrivere i personaggi di Commesse attraverso una caratteristica saliente?

Marta e' l'indole materna, anche nei confronti del marito. Questo fa di lei una donna antica, nel senso buono del termine, perche' le donne di oggi sono molto piu' conflittuali con il proprio compagno. Roberta e' la donna della fase di passaggio della condizione femminile, quella borderline: apparentemente forte e invece fragilissima. Fiorenza e' l'insicurezza di tutte le donne, soprattutto riguardo al proprio aspetto: rappresenta il tormento di non piacere, e l'attenzione della nostra societa' nei confronti dell'apparenza, perche' mai come adesso le donne sono costrette alla perfezione, con dei modelli assurdi che le schiavizzano e le rendono insicure. Paola infine rappresenta la generazione giovane nella sua voglia di fare, di non arrendersi. Pur essendo quella che subisce il dramma piu' forte, in quanto vittima di uno stupro, reagisce in modo positivo. Diversamente sarebbe stato come punirla per la sua intraprendenza e il suo coraggio.

 

E' necessario inserire messaggi di questo tipo nel contesto di una fiction televisiva?

Piu' che messaggi veri e propri, noi cerchiamo sempre di inserire degli spunti di riflessione, altrimenti non avrebbe senso fare il nostro lavoro. Ma non lo facciamo in maniera pedagogica: non siamo dei messia o dei predicatori, anche perche' l'ottica pedagogica e' la morte della fiction. Io detesto l'idea di lanciare un messaggio in maniera chiara, non solo perche' il grande pubblico non e' in grado di raccogliere messaggi troppo strillati, ma anche per una questione di stile personale. Piu' che il messaggio, bisogna raccontare gli individui e il momento storico che stiamo attraversando: noi raccontiamo dei personaggi e delle storie, se poi riusciamo a far "passare" qualcosa, meglio e in genere, se i personaggi hanno spessore, i temi emergono.

 

Qualcuno pero' vi ha accusato di superficialita' proprio per il modo in cui trattate certi argomenti.

Ma noi non andiamo in profondita' intenzionalmente, non vogliamo dare risposte ma porre domande, non risolvere i problemi ma sottoporli all'attenzione del pubblico. Il nostro dovere e' quello di togliere un velo sull'indifferenza, sulla disattenzione, il che puo' dare poi lo spunto ad un ulteriore approfondimento. E ci preoccupiamo di costruire storie che si prestino a una seconda, o a una terza lettura, indipendentemente dal fatto che poi possono essere colte oppure no.

 

Lei parla di spesso della sceneggiatura in termini quasi edilizi, come di una costruzione.

Ogni sceneggiatura e' una costruzione, e ogni storia ha un suo scheletro. Me ne sono accorta in maniera tangibile quando ho sceneggiato una fiction con Nanni Loy tratta da un romanzo di Fruttero e Lucentini, A che punto e' la notte. Il romanzo era molto bello ma contava seicento pagine e decine di personaggi. Nel ridurlo per il grande schermo siamo stati costretti a smontarlo, e smontando un testo cosi' perfettamente costruito abbiamo scoperto lo scheletro della storia. E abbiamo anche scoperto che una storia molto stratificata regge solo se lo scheletro e' solidissimo.

 

Se lo scheletro regge la costruzione, che cosa la fa volare?

La stratificazione, che e' quella poi che fa la differenza. Ciascuno di noi nota di un certo evento un particolare diverso, e proprio in questo sta la creativita', nel vedere lo stesso fatto in maniera individuale, filtrandolo attraverso le proprie esperienze, la propria cultura, per poi ricostruirlo dandogli una particolare forza emotiva. Se la storia di Giulietta e Romeo fosse stata scritta da Peretti Antonio probabilmente sarebbe diventata un terribile fuiletton. Invece Shakespeare l'ha montata e costruita in maniera tale da renderla un capolavoro che regge da centinaia di anni. La storia in se' e' antica, una classica leggenda di amore e di morte, ma lui ha saputo reinterpretarla in modo originale. La stratificazione e' importante proprio perche' noi non inventiamo quasi nulla, e la costruzione da sola non basta. Scheletro e stratificazione devono armonizzarsi l'uno con l'altra perche' il risultato sia un'opera riuscita.

 

Esiste la formula per raggiungere il successo televisivo?

Non ci sono regole ferree, nel senso che le regole si fanno sempre dopo che qualcosa ha avuto successo. Nonostante le regole che ci diamo, o che si sembra ci diano sicurezza, il nostro e' un mestiere senza certezze, costellato di incidenti di percorso, e questo e' la sua forza e la sua dannazione. Ogni storia ha un suo percorso e sono tanti gli elementi che concorrono al suo successo o meno.

Mio marito ed io abbiamo sceneggiato un film per la televisione secondo noi bellissimo, La casa bruciata, con Giulio Scarpati nella parte di un missionario comboniano ucciso in Amazzonia nel 1970. Una storia straordinaria, con tutti gli elementi perche' funzionasse, e che invece ha ottenuto un ascolto molto mediocre. Forse l'uscita non era stata delle piu' felici, forse il telefilm non era stato sufficientemente pubblicizzato, ma queste sono le scuse che uno si da'. In realta' evidentemente c'era qualche cosa che non siamo riusciti a far "passare".

 

Esiste un iter prestabilito per diventare sceneggiatori?

Io sono convinta che l'unica scuola possibile sia quella della bottega. Non credo che si possa insegnare a scrivere: la tecnica della scrittura si esaurisce teorizzando in dieci giorni. Quello che poi conta sono le astuzie del mestiere che si imparano proprio sulla pagina scritta. Negli anni Ottanta e' scomparsa la bottega perche' si facevano meno film, gli sceneggiatori importanti non avevano piu' bisogno di avere una serie di apprendisti che si adattavano a lavorare all'ombra delle grandi firme pur di imparare il mestiere. Cosi' si e' tolta la possibilita' di crescere ai giovani sceneggiatori.

Oggi firmano tutti, anche chi e' alle prime armi. Per carita', trovo giusto che chi lavora debba apparire, pero' spesso e volentieri l'apporto di un giovane e' marginale rispetto alla struttura del racconto e alla continuita' dello stile. Di conseguenza a mio avviso sarebbe giusto pagare lo scotto di un periodo di anonimato per riuscire poi a venir fuori con delle proprie idee, se uno ce le ha. Invece si sta creando una generazione di sceneggiatori che per il fatto di firmare un'opera importante ha l'illusione di essere subito in grado di volare con le proprie ali.

Ci vuole molta tigna, molto mestiere per riuscire a costruire una storia in maniera convincente. E non bisogna aver paura di sporcarsi le mani entrando nei generi, nelle storie. Naturalmente bisogna che ci siano talento e quella sensibilita' individuale che deriva dall'esperienza, dalla cultura, dalle buone letture.

 

Come ci si perfeziona?

Si impara soprattutto dai propri errori, sempre che uno faccia questo lavoro con entusiasmo e non come un lavoro di routine, perche' allora viene meno l'attenzione. Bisogna farsi un esame di coscienza, se uno ha un minimo di autocritica capisce sempre dove ha sbagliato. Io imparo sicuramente piu' dai miei errori che dai miei successi, anzi, sono estremamente autocritica anche dei successi, il che mi aiuta molto, perche' altrimenti me ne starei seduta sugli allori. Invece no, a volte mi arrabbio, dico quella cosa avrei dovuto scriverla cosi', quel personaggio avrei dovuto farlo muovere di piu', avrei dovuto fargli dire quella battuta. E' l'unico modo per continuare a crescere.

rai15.jpg (10532 byte)

I suoi serial televisivi sembrano corrispondere esattamente alle attese degli spettatori. Come ci riesce?

E' perche' io sono sempre l'ombelico delle mie storie: in realta' il polso e' il mio. E quando ho voglia di raccontare una storia che mi sta a cuore non mi do' per vinta, anche se incontro delle resistenze. La storia di Commesse ad esempio si discostava da quella che e' la linea editoriale della RAI e di Mediaset. Parlare di storie di donne non era cosi' semplice, sembravano faccende troppo poco interessanti, non c'era azione o suspence, e nemmeno il drammone strappalacrime perche' noi non avevamo voluto pigiare sull'acceleratore della forte emotivita'. D'altra parte eravamo convinti che valesse la pena raccontarle, e alla fine ce l'abbiamo fatta.

E' anche una questione di tempismo: quando ci sono i grandi numeri vuol dire che si e' arrivati al momento giusto. Il Maresciallo Rocca rispondeva ad un bisogno di stabilita' e di rassicurazione. Commesse ha risposto al bisogno di parlare di certi problemi in maniera ottimistica: ancora una volta rassicurazione, ma attraverso uno scorcio di vita piu' preciso e piu' "normale". Ma il successo non e' automatico, anche quando i tempi sembrano quelli giusti. Ogni volta che va in onda un mio nuovo sceneggiato ho paura, anche perche' ormai da noi ci si aspetta sempre il successo. E cerco di non cadere nella trappola di forzare certi elementi per ottenere i grandi numeri a tutti i costi, perche' non sono quelli a darti la coscienza di aver fatto un buon lavoro.

 

Pur prendendo spunto da se stessa, lei ha raccontato personaggi che appartengono ad una classe socioeconomica meno elevata della sua. Perche'?

Io non amo moltissimo la mia classe sociale, che e' quella intellettual-borghese: la trovo assai poco interessante. Noi abbiamo per educazione o per cultura molti schermi, sappiamo coprire meglio le nostre emozioni. La gente che incontro in metropolitana o al mercato e' piu' immediata, piu' vera.

Non e' comunque la loro posizione sociale a colpirmi, sono i loro stati d'animo, e io funziono da filtro delle loro emozioni. E' chiaro che poi quelle emozioni diventano anche le mie perche' le recepisco in un certo modo e mi spingono a scrivere, ma e' un gioco di rimbalzo, un gioco di specchi. Comunque non mi creo dei limiti: domani potrei scrivere la storia di un professore universitario, perche' no?

 

Quanto e' forte la tentazione di adeguare la propria creativita' al consenso del pubblico?

Io cerco di prescindere. Dopo il Maresciallo Rocca ci hanno chiesto di scrivere sceneggiature su tutte le armi possibili e immaginabili, e noi abbiamo rifiutato

Non e' ripetendo una formula che si ottiene il successo, infatti tutti i cloni del Maresciallo Rocca sono andati male: il pubblico ha un fiuto eccezionale, si accorge subito se il prodotto non e' d.o.c. Dopo il successo di Commesse stanno preparando una serie sulle segretarie, una sulle sciampiste, in cui la discriminante sembra la categoria di appartenenza. E' ridicolo. Ed e' gia' stato una delle ragioni della morte del cinema italiano: quella di aver perseverato nei generi scopiazzandosi l'un l'altro fino all'esaurimento totale. Cosi' succedera' in televisione, con l'aggravante che alla fine si creera' una stanchezza da parte del pubblico che non sapra' piu' distinguere fra opere originali e sottoprodotti, e di conseguenza rifiutera' in blocco la fiction italiana per tornare a vedere i film americani.

 

In questo momento la fiction televisiva sembra accontentarsi di raccontare nel dettaglio la realta'. Qual e' la differenza fra reale e banale?

La differenza sta in chi guarda. Io posso parlare della storia del mio fruttivendolo e renderla banale se non riesco a cogliere in quella storia degli elementi di appeal. Non si racconta una categoria, ma delle persone e dei problemi. E' questa la differenza fra il servizio giornalistico e la fiction. Si e' sempre creduto che lo specifico televisivo fosse quello del servizio giornalistico, della cronaca. Adesso ci si sta accorgendo invece che la fiction puo' diventare un altro specifico televisivo, attraverso il quale far passare degli spunti di riflessione sulla realta' attuale, in modo meno diretto, ma forse proprio per questo piu' efficace. Sono comunque convinta che la televisione, anche quella di intrattenimento, abbia il dovere di essere lo specchio del nostro mondo, del nostro sociale, dei nostri problemi.

 

 

Qual e' il futuro della fiction televisiva italiana?

In questo momento stiamo navigando a vista. Mi auguro caldamente che i nostri committenti non commettano l'errore della clonazione, che e' il peccato mortale, l'assassinio nella cattedrale. Mi auguro che abbiano il coraggio di tentare strade nuove anche sbagliando perche' abbiamo diritto a crearci una nostra cultura televisiva, diversa da quella americana e anche da quella europea. Abbiamo diritto a questo spazio, ce lo stiamo conquistando faticosamente e io spero che non ci creino degli ostacoli, bloccandosi su pigrizie o miopie: in altre parole, che non ci facciano fare la fine del cinema.

 

Quali sono i limiti imposti dal mezzo televisivo?

Sino ad ora vigeva il sistema individuale di autocensura in quanto persone adulte e ragionevoli: la televisione entra nelle case della gente, e nessuno di noi vuole fare un'opera distruttiva. Questa forma di autocensura ha fatto si' che, ad esempio, tutti i messaggi contenuti in Commesse fossero fondamentalmente positivi e ottimistici. Come autori, ci rendiamo ovviamente conto che le storie potrebbero anche prendere una piega diversa, sarebbe piu' gratificante anche per noi riuscire ad arrivare piu' in fondo, spingendoci nelle pieghe piu' occulte. Ma ci sono messaggi di una crudezza e di una violenza che la televisione non si puo' permettere.

Esistono poi forme di censura imposta dall'alto, che sono per il momento regole non scritte, ma a breve saranno codificate: esiste una legge, passata nel '95, che prevede una censura, sanzionata da una commissione giudicante, per la fascia oraria che va dalle sette del mattino alle undici di sera. Il che significa che i programmi di prima serata saranno appiattiti sulla mentalita' dell'infanzia.

Questo messaggio falso e buonista e' di una gravita' assoluta, anche perche' prima dei programmi di prima serata va in onda il telegiornale che e' tutt'altro che rassicurante. In questo modo la scissione fra la realta' e la fiction diventera' sempre piu' profonda. Non possimo essere noi i tutori dei bambini: sono i genitori che a una certa ora devono mandare i propri figli a letto, come ho sempre fatto io con i miei.

 

Articoli collegati
La grande abbuffata
Maurizio Costanzo con Bibi David
L'ambizione di coniugare qualità e ascolti
Come nasce lo sceneggiato che sfonda
Giovani sceneggiatori crescono
Ero il cattivo di Vivere

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Attualita'

 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo