Quello che segue è il
resoconto del discorso inaugurale tenuto da Stefano Munafò e Max Gusberti, i massimi
responsabili della produzione di fiction italiana della Rai, agli allievi del Corso di
formazione e perfezionamento per sceneggiatori 1999-2000
Max Gusberti
Gli anni '97-'98-'99 sono stati quelli della svolta per la fiction italiana prodotta
dalla Rai: da 110 ore di produzione nazionale nel '96 piu' altrettante ore di coproduzione
si e' passato a circa 250-260 ore complessive nel '97 piu' le 100 ore di Un posto al sole.
Se nel '96 la Rai aveva investito in fiction 105 miliardi, nel '99 la cifra e' piu' che
raddoppiata, raggiungendo i 220 miliardi, e nel 2000 crescera' ancora.
La nostra proposta strategica e' quella di diventare piu' forti nella fiction nazionale
facendo leva sulla nostra capacita' di radicarci nel territorio. Dobbiamo diventare
globali mantenendoci molto attenti al particulare, perche' cio' che fa forte la RAI e' la
memoria nazionale. Dobbiamo proporre la forza di storie nazionali come specifico della RAI
e come risposta allo strapotere finanziario della superpotenza americana.

I formati possibili sono moltissimi: dal TV movie alla miniserie in due parti fino alla
produzione seriale, mai affrontata dall'azienda Rai per via dell'alto rischio economico
che questa comporta: se sbagli l'investimento su un prodotto seriale perdi decine di
miliardi, e le conseguenze possono essere gravi anche a livello di palinsesto. Inoltre ci
stiamo muovendo anche in un settore quasi completamente abbandonato in Italia: quello
dell'animazione seriale, sulla quale abbiamo investito 45 miliardi in 4 anni.
In prospettiva, il prodotto seriale di almeno 8 puntate diventera' una delle strutture
portanti su cui si articolera' la nostra offerta, che non si limitera' a occupare solo la
fascia serale, il cosiddetto prime-time, ma e' destinata ad altre fasce del palinsesto,
prevalentemente quella pomeridiana, come gia' succede nelle due Americhe.
I principali ostacoli sono la fragilita' del tessuto produttivo italiano, che non puo'
ancora contare su strutture industriali, e l'handicap di partenza di non lavorare in una
lingua di hinterland che consenta coproduzioni. Per intenderci: i prodotti in Spagna hanno
come mercato anche tutto il Sudamerica; quelli in lingua francese si vendono in Canada,
oltre che in Francia. Non parliamo poi di quelli anglosassoni. C'e' infine una carenza di
apporto creativo: in pratica, con questo boom della produzione di fiction nazionale ci
siamo trovati a esaurire rapidamente il parco sceneggiatori. C'e' una necessita' di
ricambi, e anche di rinnovo dei volti: insomma, cerchiamo facce nuove, e soprattutto nuove
idee.
Stefano Munafo'
Il nostro obbiettivo generale, e la linea editoriale che caratterizza la Rai, e' quella
di diventare lo storyteller d'Italia, cioe' di riuscire a raccontare il nostro tempo e la
nostra societa'. Non crediamo nei racconti astratti che rischiano di scivolare facilmente
nell'artificio. Vogliamo raccontare lo specifico della realta' italiana: non i grandi
eventi ne' il Palazzo - quello e' compito del telegiornale - ma gli avvenimenti della vita
quotidiana dei cittadini. Questo non significa necessariamente appiattirsi sulla
quotidianita', perche' non dobbiamo rinunciare a spostare sempre un po' piu' avanti il
senso comune. E le idee devono essere forti: quotidiano non deve diventare sinonimo di
banale.

La natura della fiction seriale italiana e' ben diversa da quella del cinema. Il cinema
italiano e' eminentemente razionale e fortemente sociologico. Nella fiction televisiva
invece i temi vengono dopo, vanno sottointesi in modo da emergere solo a una seconda
lettura. Le nostre storie devono inoltre essere raccontate usando un linguaggio che faccia
leva sulle emozioni: in fondo e' una lezione che ci viene dal cinema americano, che non e'
solo irrazionale o infantile, ma e' quasi sempre emotivamente accessibile. Il linguaggio
delle emozioni sta alla fonte della comunicazione universale. In piu', e questo
rappresenta per noi una marcia in piu' rispetto agli Stati Uniti, e' lo specifico
narrativo dei paesi latini: come dice Pedro Almodovar, "i nostri effetti speciali
sono i sentimenti".
Se il cinema si basa su invenzioni prototipali, le cui caratteristiche principali sono
l'unicita' e l'originalita', i fondamenti dell'estetica televisiva sono la ripetizione,
che aggiunge all'invenzione la capacita' di creare appuntamento nel tempo, e la
dilatazione del racconto. Sbagliano dunque quei critici che giudicano la televisione
secondo gli stessi canoni che applicano al cinema.
E' sbagliato anche avvicinarsi alla televisione con un approccio elitario: la
comunicazione di massa e' la nostra ambizione, e ci guardiamo bene dal
vergognarcene. Ci proponiamo pero' di coniugare quantita' e qualita', che non e' un
concetto assoluto ma relativo a ordini estetici variabili a seconda del settore, o del
genere, al quale appartiene il prodotto. La qualita' non si identifica con un settore - ad
esempio il teatro classico, o la musica "alta" - e nemmeno con un
"genere" particolare. In questo senso allora la ricerca della qualita' va
concepita come una tensione verso uno stile relativo al mezzo che si usa.
La forza di una serie come Un medico in famiglia consiste proprio nella riproposizione,
negli spostamenti minimi nel tempo, nel saper trovare l'innovazione all'interno della
ripetitivita': e' un'estetica televisiva che va valutata nell'insieme, e che sarebbe
impossibile giudicare sulla base di un singolo episodio. Proprio le costrizioni relative
al mezzo televisivo possono esaltare le capacita' creative di uno sceneggiatore, perche'
il talento si esprime anche attraverso una griglia di regole, di modalita', di tempi e di
scansioni, perche' la creativita' si nutre anche dei confini che le vengono assegnati.