Habermas: meglio costruire il diritto che
fare del bene Raffaele Oriani
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Ragionando sulla guerra in corso nei Balcani, nellultimo numero
di Reset il sociologo tedesco Ulrich Beck richiama lattenzione sulla
linea dombra tra altruismo interventista e politica di potenza. Se la nuova
frontiera delletica e' lumanesimo armato, sostiene in sostanza Beck, acquista
una nuova pregnanza il problema di chi stabilisce le regole del gioco, di chi si arroga il
monopolio delle definizioni. Il sociologo bavarese mette cosi' sul piatto una questione
cruciale. E che non sia il solo a farlo lo prova un lungo saggio di Juergen Habermas che
sempre Reset pubblichera' nel numero seguente.
Il problema di Habermas e' come sempre normativo: cosa sta accadendo
nei Balcani? Chi sta agendo? In nome di cosa? E quanto corrispondono i proclami ai fatti?
Da una parte la cronaca con i suoi volti apparentemente tanto eloquenti, dallaltra
lincedere stentato della teoria. Da una parte migliaia di profughi, vittime,
distruzioni, dallaltra la pretesa di cavarne un senso. Habermas e' questo: quanto
piu' il suo discorso si fa astratto, linguisticamente e teoricamente privo di esplicita
passione, tanto piu' appare indispensabile per strappare gli attori in scena alla loro
disperata coazione a ripetere.
Che la sovrana, accademica indifferenza sia comunque solo apparente e
la passione se ne stia li' a carburare i sillogismi lo rivela gia' lincipit del
saggio habermasiano: come sempre si parte infatti dalla Germania. E Germania qui sta per
ventesimo secolo, catena di tragedie, ansia di trovare finalmente la via duscita.
Secondo Habemas da questo punto di vista la guerra in corso porta anche del buono: il
dibattito pubblico non e' infatti piu' avvelenato da toni emotivamente troppo accesi,
nessuno ne fa una questione di dignita' nazionale, virilita' militare, onore da salvare.
Era accaduto ancora ai tempi della guerra del Golfo, non accade ora con i bombardieri
della Luftwaffe operativi sui cieli della Serbia. La guerra, a tutti, governo e
opposizione, ex sessantottini e democristiani storici, appare semplicemente inevitabile.
La si fa perche' non si puo' non farla.
Eppure se si puo' guardare con soddisfazione allalto tasso di
sobrieta' nel dibattito pubblico di questi giorni, i dubbi restano: la guerra degli
alleati alla Serbia sara' anche giusta, ma appare infatti tuttaltro che legittima.
Giusta lo e' per Habermas perche' per la prima volta in questo secolo rinuncia ad essere
guerra totale e si pone lobiettivo di salvaguardare le popolazioni civili. Giusta e'
poi perche' i suoi obiettivi sembrano richiamarsi a quanto di meglio il nostro secolo
abbia prodotto: la teoria dei diritti umani, alternativa e superiore a quella della ragion
di stato e di popolo. Per la prima volta vediamo allopera la responsabilita' per i
nostri simili al di la' di ogni distinzione di razza e soprattutto di confine.
Allordine del giorno ce' insomma secondo Habermas la trasformazione dei
diritti dei singoli stati in diritti dei singoli e basta: da Kant a Kelsen questa e'
anche una tradizione tedesca.
Eppure, eppure. Eppure qualcosa non lascia tranquille le coscienze dei
singoli e agita le acque dei dibattiti pubblici. Qualcosa cui come al solito Habermas si
incarica di dare un nome il piu' preciso possibile: dovera uno stato danimo
dovra' infatti esserci un pensiero da confutare o condividere razionalmente. Cominciamo
allora dallinquietudine: se e' chiaro il nesso causale tra aguzzini e vittime in
Kossovo, perche' allora da una parte (opinione pubblica) questa sensazione di
corresponsabilita', dallaltra (governo) questa rincorsa retorica che sembra voler
zittire una voce molto meno sicura di se'? Perche' proprio ora, nel momento in cui
assistiamo al primo conflitto in nome della gente, in difesa di quelli cui abbiamo sempre
pensato come alle vittime dellaltrui violenza e della nostra indifferenza?
Il problema e' ancora una volta teorico, disciplinare, una faccenda da
giuristi. Che ci riguarda tutti. Stiamo infatti passando dalleta' dei diritti degli
stati alleta' dei diritti delle persone, i cosiddetti diritti umani. E ad assisterci
in questo passaggio abbiamo ununica istituzione neutrale ed universale quanto i
diritti che sentiamo di volere difendere: lOnu. Contro o perlomeno senza il quale e'
fatta la guerra che ne difende i principi. La paura allora e' chiara: e se stessimo
passando dalleta' dei diritti alleta' delletica in liberta'? E se il
prossimo passo fosse larbitrio travestito di etica? E se domani unaltra
coalizione, magari asiatica, si incaricasse di risolvere unconflitto con la stessa
decisione dellalleanza atlantica? Insomma verso dove sstiamo andando?
Lo spauracchio per Habermas si chiama diritto non
istituzionalizzato. Le istituzioni nazionali non hanno piu' lultima parola, le
istituzioni internazionali sembrano fuori gioco: lunico attore sul campo e' la
forza. Che al massimo potra' dispensare morale, inscenare la lotta del bene contro il
male. Ma non sara' mai fonte, e soprattutto mai legittima amministratrice di diritto. Mai
se alle spalle non avra' istituzioni: regole, organismi, principi universalmente
riconosciuti. Per chi si carichi della fatica di trarre lezioni dai morti e dalle bombe la
morale e' quindi una sola: ce' bisogno di una Costituzione del mondo, di una legge
fondamentale che ineutralizzi sul nascere ogni commistione di imperialismo e umanesimo.
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