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Olivetti-Telecom/Diario di una scalata

 

Giancarlo Mola

 

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I fantasiosi l’hanno definita la madre di tutte le Opa. Per gli entusiasti è la più coraggiosa tra le operazioni finanziarie mai tentate nel nostro paese. Per gli scettici è solo il più clamoroso tra i bluff. Tutti concordano però nel far coincidere la maxi-scalata della Olivetti al colosso Telecom con il nuovo anno zero del capitalismo italiano. A prescindere da come vada a finire, dicono, niente resterà uguale. E in effetti è ancora troppo presto per azzardare previsioni. Le truppe di Roberto Colaninno, amministratore delegato del gruppo di Ivrea, continuano a studiare le mosse per scardinare il fortino Telecom. Franco Bernabè, dal canto suo, non accenna a voler mollare e valuta le contromosse per uscire dall’assedio. Una guerra che si annuncia lunga, sia sul piano strategico-finanziario, che su quello legale. Ma quali sono state le tappe che hanno portato all’ambiziosissimo tentativo di take-over? Proviamo e ripercorrerle.

 

Ottobre 1998.

L’idea della scalata viene da lontano. Sono gli strateghi di due importanti banche d’affari a progettarla. Il primo team di raiders è quello della newyorkese Donaldson Lufkin Jenrette, il secondo quello londinese della Lehman, da sempre partner nelle operazioni finanziarie della Olivetti. La scelta della società con cui compiere la scalata cade subito sul gruppo di Ivrea, da pochi mesi (luglio 1998) controllato da una cordata di imprenditori del nord, e guidato da Roberto Colaninno attraverso la finanziaria lussemburghese Bell.

 

Novembre 1998.

Le due banche d’affari sottopongono a Colaninno e soci il piano per la scalata. Indipendentemente l’una dall’altra. È Colaninno a proporre, vista la somiglianza tra i due progetti, a chiederne l’unificazione. E a fissare una clausola d’uscita: in caso di fallimento, la Olivetti non dovrà sborsare alle banche nemmeno una lira di commissione. Servono a questo punto i soldi per l’operazione. Telecom è un colosso cinque volte più grande di Olivetti, e non sono certo sufficienti le risorse del gruppo di azionisti bresciani che affiancano Colaninno. Il manager bussa allora alla porta della Chase Manhattan, la banca d’affari che lo ha sostenuto nella scalata della Bell alla Olivetti. Ottiene un sì: la Chase mette a disposizione 40mila miliardi di lire sull’unghia.

 

Dicembre 1998.

Occorre a questo punto individuare la società attraverso la quale iniziare il take-over. Dopo lunghi consulti Colaninno sceglie la piccola Tecnost, già controllata da Olivetti, sulla quale viene lanciata una offerta di pubblico acquisto.

 

Gennaio 1999.

Il piano viene definito nei dettagli. L’Opa sarebbe stata da 100mila miliardi di lire: 15mila provenienti dalla vendita dei gioielli di famiglia Ominitel e Infostrada alla tedesca Mannesmann, 5mila da un aumento di capitale della Olivetti, 40 mila dai banchieri della Chase, e i rimanenti 40mila da un abile gioco di scatole cinesi. Agli azionisti Telecom sarebbero stati offerti in cambio delle loro azioni 40mila miliardi, appunto, in azioni della Tecnost. "Praticamente l’idea è far pagare l’acquisto agli stessi azionisti Telecom", dicono i nemici di Colaninno. Il progetto comunque passa. A fine mese Colaninno sonda il mondo politico. Incontra il ministro dell’Industria Pier Luigi Bersani. Che dà il suo assenso, a una condizione: che in caso di successo i raiders non vendano Tim, come era previsto nel piano studiato dai banchieri di Londra e New York. L’autorevole consiglio viene accettato.

 

15 febbraio 1999.

A Piazza Affari cominciano a circolare voci di una non meglio precisata scalata a Telecom.

 

18 febbraio 1999.

Il chiacchiericcio in borsa si fa più insistente. E Nerio Nesi, ex presidente della Bnl e deputato dei Comunisti italiani, dichiara pubblicamente che protagonista del take-over sarebbe un gruppo italo-lussemburghese. Olivetti smentisce.

 

20 febbraio 1999.

Non c’è più tempo, le voci diventano incontrollate e rischiano di mandare tutto all’aria. Il Cda Olivetti annuncia un’Offerta di pubblico acquisto da 102mila miliardi sul 100 per 100 del capitale Telecom, attraverso la Tecnost.

 

22 febbraio 1999.

Primo intoppo. La Consob boccia l’Opa: la comunicazione sull’offerta non sarebbe corretta e quest’ultima sarebbe vincolata a troppe condizioni. Franco Bernabè, che dall’inizio aveva contrastato l’Opa, tira in sospiro di sollievo. Ma da Ivrea arriva immediatamente il rilancio: non ci arrenderemo, la scalata continua.

 

24 febbraio 1999.

Olivetti riunisce i suoi stati maggiori e i suoi consulenti per riscrivere una offerta di pubblico acquisto a prova di Consob. In casa Telecom, intanto, si studiano le contromosse.

 

25 febbraio 1999.

È il giorno dei due consigli di amministrazione. Quello Olivetti rende nota la nuova Opa, confermando che non intende affatto rinunciare alla scalata. Quello Telecom dà mandato all’amministratore delegato Franco Bernabè di studiare un piano di integrazione fra Telecom e Tim. L’obiettivo è chiaro: consolidare il gruppo per rendere più ardua la scalata.

 

27 febbraio 1999.

La Consob esamina la nuova Opa. Questa volta però l’organismo presieduto da Luigi Spaventa, dopo ore e ore di consulti, e un rinvio della decisione di una giornata, dice sì. L’offerta è ammissibile, la nuova formulazione "è tale da fornire al mercato le informazioni necessarie sull’offerta".

 

28 febbraio 1999.

Un’altra domenica di lavoro per i super manager delle due parti. Sul fronte Olivetti le banche studiano il piano finanziario, gli avvocati il prospetto informativo, mentre Colaninno si dedica al piano industriale (dal quale dipende fortemente la posizione del governo). A casa Telecom si continua a preparare la controffensiva: oltre all’integrazione con Tim, si comincia a pensare anche alla conversione delle azioni di risparmio in ordinarie.

 

3 marzo 1998.

I soci Telecom escono allo scoperto contro l’Opa. Alessandro Profumo, amministratore delegato della Uni-Credito dice: "È un’offerta completamente inadeguata". E Rainer Masera (Imi): "Non è soddisfacente sotto il profilo del mercato". Parole che non piacciono affatto a Luigi Spaventa. Che richiama le parti in causa a non rilasciare dichiarazioni pubbliche se non in forma di comunicati al mercato e alla stessa Consob.

 

4 marzo 1998.

Nuova riunione del cda di Telecom. Che però non delibera nulla. Al centro della riunione l’esame del provvedimento Consob. Il comunicato conclusivo spiega che gli amministratori "ritengono essere prioritario obbligo verso il mercato che le scelte in ordine all’adesione all’Opa avvengano sulla base di precisi piani industriali e finanziari che, per parte di Telecom Italia, sono in fase di completamento". Ogni decisione viene rinviata al 10 marzo, compresa quella di un’eventuale azione legale contro la delibera della Consob.

 

 

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