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Lotta di classe “high tech”



Valentina Furlanetto



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Il patto era: duro lavoro e orari impossibili all’insegna della massima flessibilità in cambio di stock option che si sarebbero trasformate in breve in gettoni d’oro. Una cosa è certa: delle tre previsioni, le prime due si sono avverate. La terza la stanno ancora aspettando e forse non arriverà mai. Il mito delle dot.com, le aziende Internet, si è incrinato e il miraggio della ricchezza per tutti i dipendenti, grazie alle stock option distribuite come figurine, vacilla. Ma i dipendenti delle dot.com, almeno quelle d'oltreoceano, si stanno organizzando, al punto che qualcuno li ha già soprannominati dot communist.

Ma andiamo con ordine. Sempre più aziende Web chiudono, licenziano, abbassano le paghe. Le stock option diventano carta straccia. E la new economy sembra sempre più simile alla old. Con uno svantaggio per chi aveva creduto alla magnifiche sorti e progressive della nuova economia: almeno, nella vecchia c’erano le vecchie union, i sindacati, a difendere salari e posti di lavoro, in quella nuova no. Ma, in fondo, finché tutti assumevano, strapagavano e promettevano l’Eldorado perché preoccuparsi? E’ più o meno da aprile scorso che la situazione è cambiata e si è scoperto che - udite, udite - nella new economy si licenzia come e più che nella old, almeno negli Usa.


Facciamo quattro conti (solo negli ultimi due mesi e solo negli Stati Uniti). Il primo dicembre 28 dipendenti di Etown , sito di prodotti elettronici di consumo, si sono ritrovati all’improvviso disoccupati. Il 6 dicembre Women.com  ha annunciato il licenziamento di 85 persone, il 25 per cento della sua forza lavoro. Il 20 novembre AllAdvantage , uno dei siti pay-to-surf che offriva denaro a chi navigava sul suo sito, ha licenziato 150 persone, pari al 35 per cento del totale del suo personale.

Il 17 novembre è stata la volta di The Street : il sito di notizie finanziarie ha chiuso la filiale inglese e ristrutturato quella Usa, il che ha significato il licenziamento per 100 persone tra la Gran Bretagna e l’America. Il 16 novembre Britannica.com, la divisione Internet dell’enciclopedia più prestigiosa del mondo, ha licenziato 75 persone, il 16 per cento del suo staff. Il primo di novembre Beautyjungle , sito di vendita online di prodotti di bellezza, ha annunciato il licenziamento di 40 suoi dipendenti (il 60 per cento del suo personale).

Il 2 novembre è la rivincita delle donne: anche il sito di prodotti e servizi per uomini The Man  licenzia. Costretto a chiudere, ha mandato a casa (salvo mettere online i curricula dei suoi dipendenti offrendo per tutti “ottime referenze”) tutto lo staff, una ventina di persone. Il 3 novembre Priceline , sito che si occupa di trovare i prezzi più bassi per prodotti e servizi venduti in Rete, ha annunciato il licenziamento di 87 persone, il 16 per cento della forza lavoro. Il 30 ottobre è la volta del “paradiso degli animali online”, Petopia , che ha annunciato il licenziamento di 120 persone, pari al 60 per cento circa del totale dei suoi dipendenti.

All’inizio di ottobre Eve.com, altro sito al femminile rivale di Beautyjungle, ha annunciato, assieme alla chiusura, il taglio di tutti i suoi 164 dipendenti. Il 24 ottobre Stamps, leader dei servizi postali online, ha annunciato che avrebbe lasciato a casa 240 persone. Fatti due conti, sono 1109 persone rimaste senza lavoro in meno di due mesi e mezzo. E questi sono solo i casi più eclatanti riportati dalla stampa.

Secondo l’agenzia Challanger, Gray & Christmas, che si occupa di collocamento e consulenza, infatti, i tagli nelle aziende dot.com sono cresciuti ad ottobre 2000 del 18 per cento, raggiungendo quota 5.677. Un dato preoccupante se si pensa che nel mese di dicembre dello scorso anno i licenziamenti in queste aziende erano stati solo 301. Non bastasse, lo stesso studio prevede altri tagli nei prossimi mesi. Vediamo dove: su un totale di 22.267 posti di lavoro cancellati nelle dot.com tra il dicembre 1999 e l’ottobre 2000, il 36 per cento è stato nelle società di servizi, il 24 per cento nei siti di e-commerce, il 10 per cento in quelli di salute e fitness, l’8 per cento nei portali, il 7 per cento nei siti d’intrattenimento e il 15 per cento in altri settori.

La novità è che ora i dipendenti delle dot.com stanno passando al contrattacco. Quelli di Etown , ad esempio, sono scesi in piazza per manifestare. Una vera e propria protesta con picchetti e slogan, molto old e poco new. Tanto che la rivista online Usa Salon  ha dedicato alla manifestazione un pezzo dal titolo “The real dot-communists stand up”, “la levata dei veri dot-comunisti”. E i dipendenti di Amazon, invece, sia quelli della sede americana che delle "filiali" tedesca e francese della libreria online presieduta da Jeff Bezos, hanno deciso, senza aspettare che i tempi si facciano duri, di scioperare contro le cattive condizioni di lavoro.

Ad iniziare il conflitto era stata WashTech, una delle più importanti organizzazioni Usa per la tutela dei diritti dei lavoratori delle aziende hi-tech, che aveva distribuito ai dipendenti del quartier generale dell'azienda centinaia di moduli con la richiesta di sottoscrivere il Day2@Amazon.com, una sorta di sindacato. A questa iniziativa hanno fatto seguito quelle di altre due associazioni che operano nel mondo della tutela del lavoro, la United Food and Commercial Workers Union e la Prewitt Organizing Fund, intenzionate a sindacalizzare i 5.000 lavoratori sparsi per i centri di distribuzione di Amazon negli Usa.

Jeff Bezos, fondatore e leader di Amazon, ha minimizzato. Secondo il capo indiscusso della più famosa libreria in Rete, infatti, l'idea di un sindacato dei suoi lavoratori è in contraddizione con il fatto che questi siano in possesso delle stock option e di conseguenza azionisti dell'azienda alla quale intendono contrapporsi. Ma Carl Hall, giornalista scientifico del San Francisco Chronicle che appartiene al Newspaper Guild, un sindacato che unisce i giornalisti online, va giù duro: “In tutte le dot.com si è sottopagati, si lavora troppo, non è prevista un’assicurazione sanitaria né alcun tipo di compenso in caso di licenziamento”.

Per le dot.com italiane, invece, resiste l’entusiasmo. Le stock option profumano ancora di promesse, la flessibilità in Rete nelle “no sleeping company” del Nord-Est è un imperativo categorico, l’onda d’urto deve ancora arrivare. Chi protesta è un retrogrado, un old, che non capisce il new. Eppure per qualche categoria qualcosa si muove. Ad esempio - ed è attualità - uno dei principali nodi di scontro fra la Federazione Nazionale della Stampa e gli editori nella discussione sul contratto nazionale dei giornalisti ruota appunto attorno alle condizioni di molti giornalisti online. Pagati e inquadrati come metalmeccanici o programmatori-registi e discriminati rispetto a chi lavora per l'informazione su carta, in Tv e nelle radio, anche i giornalisti online hanno iniziato a scioperare. Ora si attende il sindacato dei Web master e dei Web developer.



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