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Paola Casella




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Bread and roses, diretto da Ken Loach, scritto da Paul Laverty, con Pilar Padilla, Adrien Brody, Elpidia Carrillo, Jack McGee, Monica Rivas

Bread and roses
non è il miglior film di Ken Loach, ma è comunque infinitamente migliore della maggior parte dei film attualmente sui nostri grandi schermi. Ed è certamente una creatura dell'irriducibile regista inglese, polemico, politico, e sempre dalla parte dei più deboli.

La storia è quella di un gruppo di addetti alle pulizie in un grattacielo a uffici di Los Angeles, e della loro battaglia per ottenere condizioni di lavoro (e di vita) migliori. Il gruppo è composto esclusivamente da immigrati provenienti dall'America Latina - messicani, salvadoregni, equadoriani - non del tutto in regola con i documenti e perciò perseguitati dalla paura di venire cacciati dal Nord America. Il che significa anche disposti ad accettare un salario da fame, privi di tutela sanitaria o previdenziale, e a rischio di essere licenziati in tronco se provano a fare l'onda.


In questo gruppo entra Maya (l'esordiente Pilar Padilla), giovane messicana volitiva e indomita, che raggiunge a Los Angeles la sorella maggiore Rosa (Elpidia Carrillo), emigrata in California già da tempo. Le ingiustizie subite da lei e dai suoi colleghi appaiono a Maya immediatamente evidenti, poiché proviene da fuori (anche se da un mondo altrettanto povero), e quindi non ha ancora raggiunto il livello di rassegnazione di quelli che sono in America da tempo e hanno smesso di vederla come l'Eldorado.


Il carattere ribelle di Maya fa sì che la ragazza accolga con favore l'entrata in scena di Sam (Adrien Brody), un sindacalista yankee (anche se il cognome, Shapiro, lo identifica già come a sua volta appartenente a una minoranza). Sam farà da catalizzatore allo scontento prima di Maya, poi di altri addetti alle pulizie, ma scatenerà l'odio dei sorveglianti e delle guardie del grattacielo (veri e propri kapò ispanici o neri, in una coalizione di minoranze contro minoranze), e anche fra i pulitori più cinici (come l'immigrata dell'Est Olga, interpretata da Olga Gorelick) o più preoccupati di perdere un lavoro faticosamente conquistato. Fra questi ultimi, c'è anche Rosa, la sorella di Maya, che ha un marito diabetico (Frank McGee) e due figli da mantenere.

Ecco tutte le premesse per raccontare una vicenda politica dall'interno, e sollevare alcuni interessanti dilemmi umani. Ken Loach e Paul Laverty (lo sceneggiatore che insieme a Loach ha firmato anche La canzone di Carla e My name is Joe) sono maestri nello strutturare i conflitti fra i personaggi come una combinazione del loro carattere individuale e delle circostanze socioeconomiche che li affliggono. In questo modo gli eventi esterni scatenano reazioni interne perfettamente conseguenti ma non del tutto prevedibili, il che è indispensabile perché la narrazione funzioni.


Non vi diciamo cosa succede nel film, ma vi anticipiamo che gli scontri sono molti: fra i pulitori e la corporation della quale fa parte il servizio che li impiega, all'interno del gruppo di pulitori e della famiglia di Maya e Rosa, fra i pulitori e Sam, personaggio costituzionalmente estraneo al gruppo, perché bianco, istruito, e dotato di uno stipendio che lo mette al riparo dalla miseria.

Il tocco di Loach e di Laverty però si vede soprattutto nei dettagli: lo stipendio del sindacalista, appunto, superiore a quello di un pulitore, ma così basso per un nordamericano da toglierci qualsiasi dubbio che Sam faccia il suo lavoro per qualcosa che non sia pura passione; il vestito della comunione della bambina rimasta in Messico, che "assomiglia tanto" a quello della bambina che vive a Los Angeles.

Il talento particolare (e raro, di questi tempi), del regista è quello di trattare questioni universali e di grande attualità esaminando da vicino il loro minimo comune denominatore: in questo caso, raccontando i pericoli della globalizzazione e del lavoro flessibile attraverso le traversie di un gruppo di "invisibili", quei lavoratori senza alcuna specializzazione che la gente tende a scavalcare senza nemmeno accorgersi di loro.

E quale modo più efficace di fotografare il tramonto delle ideologie che far dire alla lavoratrice Rosa "Io non credo in niente tranne che in queste", indicando le sue mani? Quale modo migliore per indicare il bisogno che c'è ancora, soprattutto fra i sottoprivilegiati, di quelle grandi ideologie, che far dire a Maya che Sam le piace "perché almeno lui crede in qualcosa"?

Ma al di là delle grandi tematiche (e delle frecciate politiche, come quella che Sam lancia ai suoi superiori, quando dice loro che "con i 40 milioni di dollari annui che diamo ai Democratici" si potrebbe dare lavoro a tanta gente), Bread and roses rimane un film profondamente commovente, terribilmente umano, e radicale nella sua convinzione che, oltre al pane, cioé al minimo livello di sopravvivenza, la gente abbia bisogno anche delle rose, cioé della possibilità di sognare un futuro migliore.

Bread and roses è individualmente amaro, ma collettivamente ottimista, più di quanto Loach non sia stato in precedenza. Lo spiega lui stesso, nell'autobiografia Loach secondo Loach (Ubulibri): "A breve termine non si può essere ottimisti perché la gente è costretta ad affrontare una spirale in declino. Ma nel lungo termine credo di essere ottimista perché le persone comunque si difendono. La ragione per cui si fanno film è semplicemente permettere che le persone esprimano questo, considerare questo tipo di resistenza perché è quello che ci fa sorridere. E' quello che ci dà la forza di alzarci la mattina".

Il link al sito ufficiale del film:
http://www.bimfilm.com/WebSite/Light/nuova_home.htm 


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