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Senza passioni civili non esistiamo

SWalter Veltroni con Andrea Salerno

 

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Questo articolo appare sul numero 57 di Reset attualmente in edicola

A) Maggioranze e coalizioni di centrosinistra in Europa hanno o non hanno una visione comune della prospettiva politica. Qual è l'area della convergenza e quale quella della divergenza.

E' innegabile che all'interno della grande famiglia del socialismo europeo, tra le diverse anime della sinistra internazionale, vi siano differenze su singoli punti politici o programmatici. D'altra parte sarebbe strano se non fosse così: per la diversa storia - e mi riferisco non ad anni, ma a secoli, al formarsi e al consolidarsi di profondi tratti identitari - di ogni singolo paese; per le differenti situazioni che le coalizioni di sinistra e centro-sinistra hanno trovato dopo periodi, più o meno lunghi, di predominio di ideologie liberiste e politiche conservatrici; per le diverse strategie comunicative adottate di fronte a queste diverse situazioni, ai differenti scenari politici e sociali in cui si è chiamati a muoversi. In più, occorre considerare che i tanti cambiamenti che attraversano il nostro tempo stanno facendo emergere idee ed esperienze nuove, riformiste e democratiche, verso le quali la casa del socialismo deve continuare ad aprirsi, con una sempre maggiore spinta innovativa.

Questo può comportare, nell'immediato, una qualche difficoltà a trovare un linguaggio comune. Ma questo, al tempo stesso, è il percorso che tutti dobbiamo intraprendere, se davvero vogliamo trovare - prendo anch'io in prestito le parole di Grunberg - "la teoria della nostra pratica". Una ricerca che possiamo affrontare sapendo che mai come oggi, comunque, la sinistra internazionale appare unita sulle grandi opzioni di fondo, attorno all'esigenza che la lotta per l'uguaglianza - che intendo come uguale valore di ogni individuo, come pari opportunità per ogni cittadino - non può esplicarsi se non coniugata con la libertà, la democrazia politica, il pluralismo sociale e culturale, le differenze tra i sessi e gli individui, il riformismo come metodo d'azione. 

 

B) Le nuove, complesse e ricche "domande di senso" che i cittadini rivolgono alla politica dopo un ciclo di benessere e individualismo durato decenni... La leadership politica deve considerarle questioni non pertinenti in una visione liberale o deve saperle affrontare?

Eccome se deve saperle affrontare… Quando diciamo, con Lionel Jospin, che vogliamo un'economia di mercato ma non una società di mercato, intendiamo sottolineare che questa esigenza, l'esigenza di "accompagnare" ogni individuo tra le insicurezze e le possibilità generate dai processi di globalizzazione, deve essere propria della politica, e comunque della politica della sinistra, dei riformisti. Essersi lasciati definitivamente alle spalle, per fortuna, concezioni totalizzanti, ideologie finalistiche e atteggiamenti di tipo paternalistico non significa "lasciar fare" tutto a una sorta di complessivo "libero mercato" in cui solo pochi sono nelle condizioni di acquistare la risposta alle proprie domande; non significa lasciar solo un individuo, un cittadino, in uno scenario che si fa sempre più largo, più ricco di opportunità ma anche più complesso. Sarebbe un passaggio sbagliato, da un estremo all'altro, che davvero non ci possiamo permettere se non vogliamo che si diffondano comportamenti difensivi e corporativi, se non vogliamo che si riducano il grado di coesione sociale e la fiducia nel futuro dei cittadini.

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Nessuna fine della politica, quindi. Al contrario, a molte delle nuove e pressanti domande che abbiamo di fronte a noi è la politica che può fornire risposta. Una politica in grado di ridurre le incertezze e i rischi di instabilità, capace di rendere universale la difesa dei diritti umani, la protezione dei deboli, la regolazione democratica dei conflitti sociali, la diffusione di sistemi sostenibili di welfare. Una politica, al tempo stesso, non totalizzante, consapevole del proprio limite e pronta a intrecciarsi con i soggetti e i protagonisti di una società sempre più ricca e articolata da cui salgono, appunto, nuove e complesse "domande di senso".

  

C) Come rispondere, in concreto, agli interrogativi che nascono da interventi politici europei e nazionali che riducono la stabilità del lavoro, la protezione sociale, l'estensione degli automatismi universali del welfare?

Quello del welfare, delle filosofie di intervento in campo economico e sociale, è sicuramente uno dei temi cruciali su cui si misura la capacità di risposta della nuova sinistra internazionale, la sua sintonia con le trasformazioni in corso. Cominciamo, su questo, a dire una cosa in modo chiaro: non è vero che welfare e sviluppo economico siano in contrasto l'uno con l'altro. E' un welfare di cattiva qualità che può ostacolare lo sviluppo, introdurre distorsioni che alla lunga non sarebbero sostenibili, spezzare - invece di unire - il corpo sociale, diventare insensibile all'evoluzione concreta dei bisogni all'interno di sistemi che cambiano rapidamente.

E' quindi sulla qualità del welfare che si gioca la scommessa dell'innovazione sociale. E' su questo terreno che si può riuscire o meno a rispondere agli interrogativi di oggi. Penso, allora, a un welfare che abbia come sue caratteristiche fondamentali la lotta all'esclusione sociale, i regimi di assicurazione su base collettiva, le misure di intervento solidaristico. Penso a un welfare che non si preoccupi solo delle condizioni di partenza (dell'uguaglianza ex ante) ma che sia in grado di accompagnare - adopero di nuovo, volutamente, questo termine - l'individuo e di sorreggerlo in ogni momento in cui incontri un rischio di rilevanza sociale. Un welfare attivo, capace di offrire a un cittadino disoccupato, ad esempio, non solo un sussidio, ma formazione adeguata, opportunità di ingresso e di reinserimento, aiuto per non perdere l'abilità e il capitale umano posseduto. Tutto questo anche mettendo in discussione - per quanto riguarda l'Italia - il tradizionale modello centralistico dell'amministrazione pubblica e introducendo grandi dosi di federalismo, promuovendo strategie di azione su base locale e di sviluppo del terzo settore no profit.

 

D-E) La valorizzazione del rischio individuale, la richiesta di una maggiore responsabilità degli individui verso se stessi e la società, richiedono un più intenso dialogo tra cittadini e politica sulle scelte di vita e sui loro motivi. Come affrontare questo nuovo bisogno? Che cosa ha da dire la politica di fronte alla crisi delle istituzioni-conchiglia: il lavoro fisso, la fabbrica, la comunità locale, la famiglia? La politica deve ritrarsi da questi temi oppure deve affrontarli? E' giusto dire che il tema della "vita buona" o della felicità debba rientrare nel discorso pubblico?

Non c'è dubbio sul fatto che ci stiamo sempre più allontanando dai vecchi modelli, da modi e sistemi di produzione e di vita contrassegnati da rigidità e appartenenze ben definite. Ed è chiaro che questo significa che ogni individuo si trova ad avere l'esigenza di muoversi in uno spazio più ampio e più mobile di quanto non fosse in passato. Ma anche che ogni individuo, ogni cittadino, ha al tempo stesso l'opportunità di esercitare molto di più, rispetto a prima, due fondamentali principi: quello della responsabilità e quello dell'autonomia. Alle istituzioni, alla politica, non tocca certo stabilire quali forme deve assumere la vita delle persone e quali vie occorre seguire per arrivare alla "felicità", alla realizzazione di se stessi. Alla politica - e di certo a quella della sinistra, dei riformisti - spetta però il compito di evitare che la nostra si configuri come una "società dell'incertezza", dando risposte, dando "sicurezza" ai ragazzi che sanno che non necessariamente avranno un posto fisso, a coloro che temono per le proprie pensioni, a chi ha paura per la propria incolumità personale. Alla politica, alla politica della sinistra, spetta il compito di mettere ognuno nelle condizioni di scegliere la propria via e di proseguire lungo di essa, il compito di consentire l'esercizio di questi due principi (responsabilità e autonomia) e il libero dispiegarsi delle individualità e dei talenti. Lo abbiamo scritto anche nel Contributo dei Democratici di sinistra per il Congresso dell'Internazionale Socialista: la nostra preoccupazione è quella di investire nel capitale umano, è quella di aumentare gli investimenti nei sistemi di istruzione e formazione adattandoli alle reali esigenze del mondo del lavoro, di far sì che la formazione continua non sia più un lusso che solo poche imprese e pochi lavoratori si permettono, di fare in modo che le nostre società aumentino gli investimenti sulla cultura e sulla sua accessibilità, in particolare in connessione con le nuove frontiere della società dell'informazione.

E alla politica spetta il compito di favorire - è un altro principio fondamentale - la piena e cosciente partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Per consentire questo è necessario moltiplicare i modi e i luoghi in cui i cittadini possono incidere nelle scelte pubbliche e intervenire nei processi decisionali. Ma è necessario anche aggiungere un ingrediente fondamentale, imprescindibile, che è quello che nasce dalla coniugazione della politica con l'etica: occorre davvero dare un senso profondo alla propria azione di governo, serve davvero la capacità di trasmettere la percezione che dietro una manovra economica, dietro un provvedimento finanziario, c'è un progetto, c'è una "missione" che si vuole perseguire, ci sono dei valori, delle idee profonde. E' un problema, quello del rapporto di fiducia tra la leadership politica e i cittadini, che dipende anche - concordo, in questo, con le cose scritte da Bosetti nell'ultimo numero di Reset - da un profondo impegno personale di chi della politica è protagonista. Solo così si può provare a colmare quella distanza tra politica e cittadini che è tratto comune di tutti i paesi europei e ferita particolarmente profonda per l'Italia. Solo così si può far crescere l'idea e la pratica di un riformismo che non può essere se non è anche "carico di passione", di slanci morali e di visione progettuale.

 

F) Come si collega - se si collega - tutta questa tematica con il dibattito politico italiano?

Ancora non ci siamo. Questo collegamento è ancora troppo labile, troppo fragile. Non voglio certo mettermi in cattedra, però farei un torto a me stesso se non ribadissi, qui, quello che vado dicendo da un bel po' di tempo: è ora che la politica italiana si interessi meno al balletto di dichiarazioni, repliche e smentite cui assistiamo quotidianamente. Per quello che mi riguarda è quello che sto cercando di fare, è quello che ho fatto mettendo al centro della nostra azione - superando anche un certo scetticismo iniziale, quasi si stessero contraddicendo le regole del più elementare realismo politico - le grandi questioni attorno a cui si gioca la qualità umana del futuro del pianeta: la povertà, la fame, il sottosviluppo, la macroscopica diseguaglianza nell'accesso alle risorse economiche mondiali; i diritti umani, il loro integrale rispetto e l'estensione della democrazia a qualunque latitudine; il valore della rivoluzione delle migrazioni e della costruzione di società multiculturali e multietniche; la difesa attiva dell'ecosistema dai rischi derivanti dall'inquinamento e dallo sfruttamento irrazionale delle risorse naturali. Non si tratta semplicemente di ridisegnare - e non sarebbe comunque poca cosa - le priorità della nostra agenda politica. Su questi temi si ridefinisce l'identità stessa della sinistra internazionale, di una nuova sinistra, capace al tempo stesso di avere valori e produrre innovazione.

 

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