La politica si deve occupare solo di
individuare i campi degli schieramenti, di definire la geometria più o meno coerente
delle alleanze, di mediare tra gli interessi degli individui e delle categorie oppure
tutto questo non basta?
La politica non può mai essere soltanto soluzione dei bisogni o semplice
organizzazione degli interessi, deve prospettare dei valori. E a quei valori coniugare di
volta in volta la rappresentanza. Bisogna comprendere che se la politica prescinde dai
valori e non è in grado di rispondere alle nuove "domande di senso" perde forza
di attrazione. Oggi il rischio è che la scomparsa dellideologia, un limite del
Novecento ma anche una forza capace di dare una gerarchia di valori e di appartenenza,
porti con sé anche la scomparsa di idealità. Questo rischio è mortale per la politica:
perché una quota consistente di persone non soltanto rischia di non essere più attratta
- che già sarebbe un problema serio - ma addirittura può essere allontanata da una
politica incapace di prospettare valori.
Questo rischio riguarda forse non solo lorganizzazione della politica.
Nel declino o nellimpoverimento degli involucri della rappresentanza politica, i
partiti tradizionali, e dallaltra parte invece nellesplosione della
rappresentanza sociale in varie forme, da quella degli interessi (sindacato, associazione
dimpresa) fino a quelle vastissime del terzo settore (che possiamo definire in
genere di volontariato), cè un po la conferma di questo rischio. Anche nella
rappresentanza sociale, dove sono marcati gli interessi, la loro difesa devessere
legata è legata a gerarchie di valori. Questo spiega, ad esempio, perché
in un paese come il nostro, ma anche in Europa, dove il fenomeno era inizialmente
rovesciato, cè un fortissimo prevalere del sindacalismo confederale rispetto a
quello autonomo.
Qual è la differenza essenziale tra i due?
Il fatto che nel primo la rappresentanza di interessi è mediata sulla base di valori.
Il sindacato confederale ha dei valori che sono i diritti, la solidarietà; gli autonomi
rappresentano solo interessi. Se guardiamo oltre la rappresentanza sociale, al mondo
vastissimo del volontariato o del terzo settore, il fenomeno è ancora più marcato.
Perché una persona decide di dedicare una parte del suo tempo ad attività che
tradizionalmente sono organizzate in forma volontaria? Perché lì identifica alcuni dei
suoi valori: il prendersi carico e cura degli altri ha come fondamento lesercizio
della solidarietà, cioe un valore radicato in tantissime persone e in tante culture
anche diverse tra di loro, da quella laica liberale sino a quella religiosa. Lì si
ritrova una gerarchia di valori che altrove, nella politica, si è persa. Non si
giustificherebbe diversamente il rinsecchimento delle antiche forme di rappresentanza
politica. Per questo è importante che la politica torni ad assorbire ed esprimere. Una
dimensione astratta e asettica della politica è pericolosissima per tutti.
La valorizzazione del rischio individuale, la richiesta di una maggiore responsabilità
degli individui verso se stessi e la società, richiedono un più intenso dialogo tra
cittadini e politica sulle scelte di vita e sui loro motivi.
Io credo tantissimo nella funzione dellindividuo e nella sua assunzione di
responsabilità. Il punto e che non ci deve essere una scissione tra
lassunzione di responsabilità individuale e quella collettiva. Dipende molto da
quali sono gli atti e le forme con le quali questi atti vengono realizzati in politica e
in genere nella gestione dellattività umana. La connessione tra lassunzione
di responsabilità e i valori è semplice. Lo stesso esercizio di responsabilità non è
mai astratto, riguarda attività concrete del vivere umano. Quello che invece è sbagliato
e pericoloso e pure si tratta di una tendenza visibile in campo e che ha effetti
distruttivi è lidea che lesercizio delle responsabilità debba
avvenire senza un quadro di riferimento, come scelta tecnocratica astratta che si realizza
prescindendo dalla politica e dalle sue forme anche quelle più tradizionali. Qui si tende
a fare una contrapposizione, che io respingo, tra le varie forme della rappresentanza
politica la dimensione collettiva e la società civile intesa come somma di
figure singole che esercitano responsabilità scisse dal contesto la dimensione
individuale : da una parte una società civile senza cemento e coesione,
dallaltra una politica insensibile per le problematiche individuale. Ora, io credo
che la scissione tra le due dimensioni non sia inevitabile.

Parliamo in concreto di dimensione morale della politica. Tony Blair ha lanciato per
esempio il suo manifesto morale proponendo una grande battaglia sociale contro il fenomeno
delle gravidanze tra le adolescenti. È giusto? E un modo nuovo di fare politica?
Per loro è nuovo, per noi no. La politica si è sempre occupata di queste cose. Le
battaglie per lemancipazione femminile sono un esempio clamoroso di valori che non
sempre sono nati dentro la politica ma che poi la politica ha aiutato, ha organizzato, ha
rappresentato. Capisco che può colpire una scelta come quella di occuparsi delle bambine
dodicenni. Forse vuole dire semplicemente che lì il livello di separazione tra i bisogni
delle persone e la politica era oramai paradossale.
Cosha da dire la politica rispetto alla crisi delle cosiddette istituzioni
conchiglia: il posto fisso, la fabbrica , la comunità locale la famiglia. Non nasce da
questa crisi il bisogno di un dialogo politico più ricco di contenuti umani e
psicologici. La politica deve ritrarsi da questi terreni oppure deve affrontarli? È
giusto dire che il tema della "vita buona" o della felicità debba rientrare nel
discorso pubblico?
La felicità devessere un obbiettivo costante per la politica. La felicità è
fatta da condizioni materiali che migliorano, progressivamente, ma deve essere fatta anche
dal rispetto dei valori. Qui ci sono una dimensione materiale e una culturale che non
vanno mai separate. E evidente che in una società che si trasforma la politica deve
essere in grado in primo luogo di orientare queste trasformazioni. Non le può solo stare
a guardare come ricaduta di processi economico-sociali indotti dallesterno. Se si
limita a razionalizzare fatti già avvenuti allora è sconfitta. Siamo di fronte a un
cambiamento delle dinamiche economiche e anche delle forme di rappresentanza dei bisogni
delle persone, la politica se ne deve occupare. La felicità è stabilità e certezza di
un percorso. Uno dei fenomeni più preoccupanti e pericolosi nella società moderna è
proprio lopposto: lincertezza, linstabilità in tutte le sue forme, da
quelle istituzionali a quelle del vivere della singola persona.
Parliamo per esempio del rapporto tra posto fisso e flessibilità.
È evidente che se la politica è in grado di programmare uneconomia ricca di
occasioni di lavoro e di rendere i cittadini molto forti e consapevoli di se, con un
alto livello di scolarità e di formazione, sconfigge una delle cause principali di
incertezza. La frammentazione delle carriere di lavoro deve avere come compensazione
immediata un numero di occasioni elevate e dallaltra parte sul versante della
domanda serve consapevolezza , padronanza di se e degli elementi di conoscenza che
permettono di scegliere. Se ci sono queste due cose la politica ha vinto la sua sfida, ha
trasformato un elemento negativo, che è quello della frammentazione che genera
instabilità, in unoccasione, in una potenzialità: il singolo individuo può
scegliere tra tante occasioni e lo fa consapevolmente disponendo di se, del suo
tempo, della sua vita. Per dirlo con una banalità, è molto più importante poter fare
tanti lavori diversi di qualità che farne uno solo per tutta la vita di poca qualità. Se
guardiamo alle generazioni che ci hanno preceduto - e in parte anche alla nostra - è vero
che molti hanno avuto la certezza del posto fisso, però erano 40 anni da operaio alla
catena. Un posto fisso voleva dire stabilità e certezza, accompagnati però da un
contraltare negativo: bassa qualità del lavoro e del reddito, e di conseguenza bassa
qualità della vita. Il che portava alla stratificazione fra chi aveva il posto fisso di
qualità e chi aveva il posto fisso di basso profilo. Era una società più stabile, senza
potenziale angoscia, ma con unarticolazione e stratificazioni di classe
difficilissime da rompere. La politica deve rovesciare questa situazione. I nostri vecchi
hanno riempito la valigia e sono andati lontano da casa semplicemente perché non potevano
scegliere niente. Questa non era mobilità o flessibilità: non erano forme diverse di
prestazione nello spazio e nel tempo, nuove occasioni di scelta e di crescita Oggi per
affrontare seriamente questo problema il presupposto è un rinnovato dialogo tra politica
e cittadini capace di ridare senso alle scelte di vita.
Esiste un problema di moralizzazione della politica?
La moralità è alla base della qualità della politica. La "sana" politica
non è solo efficacia nelloperare è anche capacità di costruire consenso con la
credibilità degli obbiettivi e con un certo modo di perseguirli. Una politica torbida,
non trasparente può avere obbiettivi alti ma non otterrà consenso. E poi cè anche
il problema della linearità di comportamento: guai allimprovvisazione. Si può
cambiare rotta in modo consistente ma deve essere chiara ed esplicitata la ragione per cui
in certe circostanze si muta orientamento.
Quali sono le ragioni delle difficoltà del centrosinistra italiano?
Il paradosso della politica italiana sta nel fatto che nella prima fase quella
dellUlivo - si creano le condizioni per un quadro economico e sociale migliore sia
pure tra tantissime difficoltà; nella seconda governo DAlema - quando le
condizioni sono oggettivamente migliori lalone positivo si attenua e addirittura
scompare con le prime verifiche anche elettorali non positive. È un paradosso sul quale
la sinistra farebbe bene a interrogarsi. Nellappannamento sembra ci sia chiaro il
diffondersi di una convinzione: che il ritorno del "partito tradizionale"
finisca per essere prevalente rispetto agli elementi di trasformazione e di cambiamento
che lUlivo aveva indotto. Ci si ritrova con 12 organizzazioni politiche. Non si è
mai visto. E questo è il risultato di un modello elettorale imperfetto. Per cui ci
veniamo a trovare adesso in un oggettivo processo di riflusso: da un ipotesi bipolare che
favoriva le aggregazioni nuove si è ricaduti in una situazione che produce non soltanto
la coalizione come forma di governo ma anche la frammentazione nella coalizione. Continuo
a pensare che la legge elettorale non sia cosa marginale, anzi è fondamentale per
spingere verso forme di bipolarismo e costringere le forze che si confrontano a ricercare
il consenso sulla base di un programma che sia la traduzione materiale dei propri valori.
Bisogna fare le cose insieme: valori, diritti e bisogni da una parte e, dallaltra,
una struttura di rappresentanza adeguata che si ponga il problema di intercettare
lansia, lincertezza e la solitudine determinati da fasi di cambiamento rapido.
Non cè più lideologia? Ci deve essere però unidealità forte che in
verità oggi non si vede.