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pubblicato sul numero 38 di Reset, giugno-luglio 1997
Dalle scuole materne all'università a distanza, bambini con i denti di
latte e signori con la dentiera, impareranno le materie più disparate con l'ausilio
sempre più massiccio di computer e reti. Bene o male? Se il calcolatore in classe sarà
soltanto una sorta di Trivial Pursuit elettronico, buono per intrattenere e allenare la
memoria, con cui si pretendesse di sostituire maestri e libri, sarebbe un disastro. Se gli
insegnanti prenderanno parte attiva nella trasformazione, adoperando i Pc e Internet come
strumenti per aumentare il coinvolgimento degli studenti, sarà una rivoluzione.
In passato i tentativi di incontro tra classe e tecnologie hanno sempre
finito per trasformarsi in scontri dove è sempre stata la classe ad avere la meglio. È
la sua struttura tradizionale a dover cambiare affinché la rivoluzione digitale non trovi
una frontiera irriducibile proprio fra i banchi di scuola: gruppi di lavoro limitati con
insegnanti che dovranno accettare di rivedere il proprio ruolo, abbandonando
citando dal rapporto commissionato dall'amministrazione Clinton, che si è
impegnata nel dare l'accesso online a tutte le scuole americane entro il 2000 il
ruolo di sage on the stage, saggio in cattedra, per assumere quello più morbido ma
cruciale di "guida e allenatore" alla conoscenza.

Una conoscenza che si fisserebbe tanto più saldamente nelle teste
degli studenti, quanto più "vissuta" fosse la sua acquisizione. È il primato
della pratica sulla teoria di cui parla Nicholas Negroponte: "Dal momento che la
simulazione al computer di press'a poco qualsiasi cosa è ormai possibile, uno non ha più
bisogno di imparare le caratteristiche di una rana sezionandola. Piuttosto si può
chiedere ai bambini di disegnare rane, di costruire animali con un comportamento da rana,
di modificare quel comportamento, di simulare i muscoli o giocare con la rana
stessa". Learning by doing, "imparare facendo" è il nuovo slogan
che maestri e maestre dell'era digitale dovranno a mandare a memoria.
Assieme alla nuova primavera che questa tesi "costruttivista"
sta conoscendo oggi, i riformatori più spinti rintracciano nella stessa architettura
della classe tradizionale un errore di progettazione che inibirebbe la spontaneità della
partecipazione e intralcerebbe il libero flusso delle idee degli allievi. Molti studi
studi confermano che con l'ausilio dei computer anche i "bambini
difficili" possono imparare assai meglio. Il rapporto dalla citata Kickstart
Initiative clintoniana sciorina risultati entusiasmanti: "La tecnologia come
ausilio per l'istruzione ha aumentato il rendimento degli allievi nello studio delle
lingue, nelle materie artistiche, nella matematica, negli studi sociali e nelle
scienze".
Questo miglioramento, nei ragazzi più "lenti", avrebbe
registrato vette dell'80% nella lettura e del 90% nella matematica perché l'interazione
con il computer permette allo studente una fortissima personalizzazione del percorso
d'apprendimento, procedendo ai ritmi che gli sono più congeniali e replicando la stessa
lezione innumerevoli volte. Senza pesare sull'andamento generale della classe. I fisici
Edwin Taylor e Richard Smith tengono dal 1986 un corso online sulla relatività: nel
resoconto su quest'esperienza pubblicato sull'ermetico e blasonato American Journal of
Phisics nel dicembre del 1995, i due colleghi assicuravano di "ottenere gli
stessi risultati con gli allievi, sia che l'insegnamento fosse impartito online che di
persona". Bit e atomi per loro pari sono.
Tuttavia la squadra degli osservatori non veste tutta la divisa lucida
degli entusiasti. L'apologia dell'"edutainment", quel misto accattivante
di education e entertainment, non è l'unica retorica ammessa alla tavola
degli studiosi delle scienze della formazione. E i giudizi dei critici sembrano
fuoriuscire da obici incandescenti: parlando dell'impatto di informatica e telematica
sull'istruzione Neil Postman, in un libro recente dal titolo inequivocabile (The end of
education) irride a coloro che pensano di riformare la scuola facendo leva sui Pc:
"Riconosco una falsa divinità quando ne vedo uno". A sorpresa uno degli
integratissimi editorialisti di Packet (www.packet.com), fanzine elettronica molto
apprezzata dai cibernauti, commentando il piano del governo statunitense di collegare ogni
scuola a Internet entro il 2000, ha inchiodato il proposito volenteroso al crocifisso di
un "orrendamente stupido" perché la rete sarebbe soltanto "l'ultima
tecnologia sulla quale insegnanti all'ultima spiaggia, genitori infelici e politici
ruffiani sono saltati sopra nella speranza di evitare i problemi reali che riguardano la
scuola".

Per quanto si possa essere ottimamente disposti verso le tematiche
digitali, mettere il problema dell'accesso a Internet sul piano delle questioni
tradizionalmente irrisolte tipo la dimensione delle classi, la qualità degli insegnanti,
i corsi di studio appropriati e la capacità di leggere correttamente (di questo si
tratta, ancora, per molti studenti sfornati dalle superiori americane), suona incongruo
come preoccuparsi nello stesso modo per un raffreddore o per un cancro. Ancora una volta
tuona l'accusa con la carta furba della fantascienza (reti e diavolerie
telematiche), la politica cercherebbe insomma di saltare il cammino serio, banale e
faticoso della scienza (calcinacci cadenti e prof svogliati).
In Italia, anche se per il momento solo il 5% del totale delle scuole
ha accesso a Internet (circa 700 su 38.000: guida la classifica l'Emilia Romagna, seguita
da Lombardia e Piemonte) contro l'oltre 50% statunitense, il numero di sperimentazioni
didattiche che fioriscono rivela un'insospettata vivacità.
Da cinque anni a questa parte, gli studenti che frequentano il diploma
avanzato in information technology del Virtual College della New York University,
all'immatricolazione ricevono anche un libriccino di istruzioni su come configurare i loro
Pc o le loro connessioni di rete. C'è la possibilità di richiedere video on demand
sulle materie che interessano o collaborare a sessioni di laboratorio online o frugare a
piacimento in biblioteche ipertestuali.
Anche le discussioni sugli argomenti spiegati di recente sono tenute
asincronamente. C'è anche un bar, dove si può fare della chiacchiera elettronica. Ma
manca il caffè, e non è assenza da poco.