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Edwin Morley-Fletcher

 

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Questo articolo è stato pubblicato sul numero 38 di Reset, giugno-luglio 1997

Umberto Sulpasso è certamente un personaggio singolare. Animato da passione civile e fantasia imprenditoriale, solca da mesi oceani e continenti nello sforzo di stabilire una sorprendente connessione tra Los Angeles e… Gualdo Tadino. Il risultato sin qui conseguito si sostanzia nell’apporto della prestigiosa Ucla, della Rai e dell’Enel all’incipiente università multimediale dell’Umbria. Non ancora estenuato dalle schermaglie con le piacevolezze burocratiche di cui è inevitabilmente costellata qualsiasi iniziativa che coinvolga amministrazioni pubbliche, interviene con freschezza d’inventiva per proporre al governo dell’Ulivo di pensare anche ad altri modi per investire sul capitale umano dei giovani italiani.

Una diffusa alfabetizzazione digitale – egli ci dice – è una straordinaria precondizione competitiva per il paese. Giustissimo. Dal che non discende che in modo del tutto frettoloso la si debba considerare come un merit good acquisibile solo al di fuori delle sedi preposte istituzionalmente all’istruzione. Poco spiegabilmente Sulpasso scavalca tuttavia qualsiasi ipotesi mirante a delineare un ruolo dinamico che possa essere assunto in questo campo da una parte almeno degli insegnanti. Punta invece direttamente a offrire a un’avanguardia pubblicamente privilegiata di un milione di giovani italiani l’occasione per divenire in proprio cibernauti con computer, modem, software e provider, e avviarsi per i verdi prati dell’educazione a distanza, a credito dello Stato.

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La proposta non è priva di lati accattivanti: si tratta per un verso di rinverdire gli antichi fasti di Non è mai troppo tardi e della Scuola Radio Elettra di Torino, abbinandovi un ricorso su ampia scala a prestiti d’onore per gli studenti quali quelli da tempo sperimentati da Giorgio Fuà nella sua rinomata scuola anconetana per aspiranti giovani imprenditori. Diviene così possibile consentire ai giovani sia di dotarsi inizialmente del necessario corredo tecnologico, sia di disporre in seguito di una qualche capacità di spesa da utilizzare on the net, transitando per un apposito shopping site predisposto da Sulpasso con l’Università Multimediale che sta dando i primi vagiti a Gualdo Tadino. E qui sarà forse opportuno precisare che non vi è alcuna necessità di monopolio, ma dovrebbe ipotizzarsi la presenza di numerosi shopping sites educativi, appositamente autorizzati da qualche idonea autorità pubblica. Se poi in un simile contesto l’università multimediale dell’Umbria si dimostrerà durevolmente più pronta e dinamica di altri, tanto meglio.

Il progetto di Sulpasso mira tuttavia anche a spingere più lontano, verso ciò che definisce "una democratizzazione e una internazionalizzazione della vita culturale senza precedenti". Sino a prefigurare un uso "rafforzato" della educational credit card, in una versione di "secondo livello" in base alla quale si prevede che possa venire accordata, a ogni beneficiario disposto a effettuare anticipatamente il rimborso della prima cifra di 10 milioni, un’ulteriore capacità di spesa tale da portare il totale disponibile a 40 milioni. L’obiettivo è quello di rendere possibile l’utilizzazione del credito garantito dallo Stato per consentire a ogni studente titolare della educational card di "affrontare un intero corso universitario fuori sede, completo di iscrizione, tasse e libri" (e non sarebbe male che l’idea venisse in questo caso raccordata con programmi pubblici già esistenti e finanziati dall’Ue, quali Erasmus, per esempio, anche per ridurne il costo). Insomma, dopo il movimento dei bit con l’educazione a distanza su Internet, Sulpasso torna qui al movimento degli atomi, per dirla con Nicholas Negroponte. Si tratta d’altronde di qualcosa che lo stesso Sulpasso ha coraggiosamente sperimentato con ammirevole successo nel suo passato, quando giovane pugliese non privo di handicap è audacemente approdato in California disarmata manu.

Il nocciolo della sua proposta consiste nell’ampliare, con il sostegno di mezzi pubblici, la platea di coloro che già oggi preferiscono "votare con i piedi" in risposta a quelle che ritengono essere le carenze qualitative del bene istruzione, così come viene loro offerto in Italia. Al presente privilegio privato di pochi fortunati, in grado di permettersi studi di qualità all’estero, e all’eroismo dei pochissimi che affrontano il doppio sforzo di lavorare all’estero per studiare, Sulpasso vuole contrapporre il moltiplicatore sociale di uno schema di sostegno pubblico all’emigrazione intellettuale, nella speranza che questa rimanga temporanea, malgrado gli ovvi rischi di brain drain.

Può darsi che una simile prospettiva faccia gridare allo scandalo il ministro Berlinguer, il quale, quand’era rettore a Siena, si è prodigato per alimentare anche un flusso alla rovescia, facendo insegnare numerosi valentissimi docenti stranieri in quella Università. Personalmente non ne sarei però scandalizzato, anche perché non tutte le sedi universitarie hanno la fortuna di potersi avvalere del sostegno diretto e indiretto di un grande istituto di credito. E la "fisicità" dell’esperienza di un lungo soggiorno all’estero, e la connessa piena padronanza di una lingua straniera che solo così può acquisirsi, non sono vantaggi da poco. Non si capisce però perché ciò che tenderà a tradursi in un assai probabile e consistente incremento del capitale umano individuale, del fruitore di una simile educational card, debba venire agevolato finanziariamente a carico della collettività.

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Forse potrebbero venire utilmente incorporate modalità di redistribuzione non troppo "giacobine", quali quelle notoriamente formulate da Milton Friedman, per cui il prestito d’onore non è rimborsato "alla pari", ma può eccedere il valore iniziale qualora una percentuale minima del reddito da lavoro successivamente conseguito si dimostri superiore, dopo il raggiungimento di una determinata soglia di età, a una frazione predefinita del credito fruito. E magari sarebbe anche opportuno che le risorse destinate a promuovere simili opportunità di alfabetizzazione digitale, e poi anche di studio all’estero, non siano assorbite innanzitutto proprio da coloro che comunque sarebbero già nelle condizioni di poter agevolmente investire di tasca propria per realizzare simili progetti. Sarebbe perciò bene che la educational card fosse congegnata in modo tale da incorporare delle caratteristiche di personalizzazione rapportata alla capacità economica, del tipo di cui ho già fatto cenno in un articolo apparso sullo scorso numero di "Reset", citando l’interessante esperienza del programma di intelligenza artificiale applicato all’assegnazione delle borse di studio dall’Università di Trento e facendo riferimento al più generale concetto di "carta del cittadino".

Forse un’occasione potrebbe essere offerta dal libretto scolastico (presumibilmente cartaceo) di cui il ministro Berlinguer vuole dotare ogni studente italiano, così che esso lo segua per tutta la sua carriera educativa. Il "libretto" potrebbe essere opportunamente sostituito da una carta a microprocessore (smartcard) nella cui memoria elettronica siano scritte le informazioni utili, analogamente a quanto hanno fatto i tedeschi con la loro carta sanitaria a microprocessore, di cui è stato munito (nel giro di pochi mesi) ogni cittadino tedesco. È da tempo mia opinione – da persona curiosa delle possibilità di impiego dei "vouchers" come "moneta sociale" e delle diverse forme di "minimo sociale garantito", di "dividendo sociale" (Meade) o "eredità sociale" (Liska) basati su uno stock di capitale dei cittadini – che occorra studiare concretamente una "carta del cittadino" che unifichi informazioni e transazioni in campo sanitario, fiscale, educativo. Infatti tale stock è quasi necessariamente "virtuale", cioè costituito da un credito della comunità verso i suoi componenti, e può essere gestito in modo efficiente e trasparente proprio con la tecnologia dei conti virtuali, ossia di conti bancari gestiti da computer per via interamente elettronica.

Tuttavia, l’interazione fra governi, istituzioni finanziarie, sistemi dei pagamenti e sistemi del sapere è ancora sulle ginocchia di Giove, per fortuna. Ed è questo, soprattutto, che mi fa giudicare stimolante la proposta di Sulpasso: la speranza che anche per questa via i cittadini possano trovare, nel bel mezzo della "rivoluzione digitale", il modo di far pesare democraticamente i propri orientamenti, le proprie idee e il proprio denaro, avvalendosi dello Stato come promotore e garante di una più ampia e più agibile competizione culturale, sia all’interno della scuola (cosa che Sulpasso tralascia colpevolmente), sia nei confronti della scuola, sia on line, sia facilitando soggiorni di studio all’estero.

Molte altre cose andrebbero dette sulle economics non del tutto persuasive del progetto. Ma lo spazio tipografico è tiranno. Se sono rose fioriranno, e vi sarà modo e tempo per tornare più estesamente sulla proposta di Sulpasso. Che rimane a mio avviso, se adeguatamente migliorata, accattivante e potenzialmente molto innovativa. In fondo, se il progetto verrà ben confezionato (soprattutto sul piano equitativo), potrà trattarsi di un’opportunità significativa anche per i pubblici poteri: una volta tanto, anziché tassare, lo Stato provvederebbe ad agire per ridurre le incertezze che condizionano l’accesso dei giovani al mercato dei capitali a lungo termine. E ciò avrebbe l’effetto di abbassare fortemente i costi di transazione connessi all’esplicazione di una maggiore imprenditorialità formativa da parte dei singoli. Per il governo italiano si tratterebbe sicuramente di un bel cambio di look.

 

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