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Tv e Web, un matrimonio che (forse) non s'ha da fare

Riccardo Stagliano'

 

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Nel dicembre 1996, in in una New York pre-natalizia di furibondo shopping tecnologico, Muhammad Shaikh un ragazzone alto, nero, con una faccia simpatica che non autorizzava il dubbio circa una sua malafede, assicurava il cronista circa il successo del nuovo prodotto: "Giovani, vecchi: entrano per dare un'occhiata e poi escono e se lo portano via incartato". Con il suo braccio lungo e dinoccolato da rapper in livrea indicava la scatola nera che "andava via come il pane". Accanto ai colorati computer Vaio, a Walkman dell'ultima generazione e cento altri prodotti da sogno hi-tech, nel centralissimo negozio di Madison Avenue, il suo dito indicava proprio il neonato telematico di casa Sony, la consolle del WebTv, che dava accesso a Internet - per la prima volta - attraverso il normale televisore domestico. "Ma i sondaggi dicono che non c'e' ancora mercato, che nessuno sa che farsene di questo ibrido insoddisfacente!" controbatteva il cronista in villeggiatura. "Chi? Come? Quando?" l'Ottimo Venditore, stupito dall'enormita' dell'eresia, cadeva dalle nuvole. Eppure piu' di un numero lo smentiva. L'analisi fatta in quegli stessi giorni dalla Dataquest su un campione di 7000 famiglie americane restituiva la sensazione di un entusiasmo ben fiacco per la novita': solo il 4 per cento degli intervistati diceva che "avrebbe potuto prendere in considerazione l'acquisto di un apparecchio tipo WebTv". Ad ogni buon conto la tiritera di Muhammad, sincera o aziendalista che fosse, veniva ripetuta anche ai piani alti della Sony: "Tom ne vuole uno, Marty ne vuole uno e io pure - si lagnava, divertito, Mike Wheeler, presidente della divisione Desktop video, riferendosi al suo superiore e al capo del settore Interactive - ma i nostri negozi non riescono neppure a metterceli da parte". E citavano altri responsi e piu' rosee verita': un recente sondaggio della Louis Harris decretava la Sony come la marca piu' nota tra gli americani (la Microsoft era menzionata solo dall'1 per cento degli intervistati) e uno studio autunnale della Yankelovich Partners - seppur sponsorizzato dalla Sony - segnalava che, con l'allora 10 per cento di famiglie Usa in rete, piu' della meta' delle restanti avrebbe preferito passare online attraverso il proprio televisore piuttosto che tramite un computer. Due profezie antitetiche, in rotta di collisione. Quale e' sopravvisuta, a quasi tre anni di distanza, dallo scontro con la ruvida realta' del mercato?

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A oggi il bilancio rimane incerto. Di sicuro il sistema "webtv" non e' diventato la "killer application" che ha fatto diventare Internet il mass medium di cui si favoleggiava. Negli Stati Uniti, dagli inizi a oggi, i suoi utenti sono poco piu' di 500 mila, una percentuale irrisoria rispetto al popolo della rete. Ma varie previsioni continuano, imperterrite, a giurare sul suo imminente successo. Il mercato globale di marchingegni che, collegando il televisore al telefono, danno accesso alla rete anche a chi non ha un computer, sarebbe destinato a passare dai 6 milioni di unita' del 1998 a oltre 55 milioni del 2002, con una crescita annuale del 76 per cento, stando a uno studio recente della International Data Corporation. La crescita, sempre negli Stati Uniti, sarebbe facilitata dal fatto che un numero enorme di set-top box - quelli per vedere la tv via cavo - gia' affolla i salotti dei cinquanta stati. Quelle scatole diventeranno solo un po' piu' intelligenti e forniranno anche accesso a Internet, alla velocita' ben piu' sostenuta che il cavo consente.

Una riprova tangibile della fiducia dell'industria nei confronti dell'apparecchio e' arrivata ad agosto 1997, quando Microsoft ha rilevato, per 425 milioni di dollari, WebTv, l'originaria produttrice dell'apparecchio. Un mese dopo quell'importante acquisizione, tuttavia, James Gleick, editorialista del "New York Times" oltre che inventore di Mindspring, uno dei fornitori di accesso a Internet di maggior successo negli Stati Uniti, metteva nero su bianco una lunga serie di dubbi in un articolo dal titolo inappellabile: "Perche' i Pc e la televisione non si incontreranno mai". "Indovinello: ha un grande schermo per mostrare informazioni e intrattenimento, degli altoparlanti e una cosa da tenere in mano per scegliere, schiacciando dei tasti, tra diverse fonti di contenuti. Di quale scatola stiamo parlando - recitava il suggestivo incipit del pezzo - : quella con troppi canali e niente che valga la pena di guardare o quella che dice Http/1.1 Server too busy?". La risposta non era - ne' e' - per niente chiara, argomentava Gleick, spiegando che tutte quelle imprese che stanno scommettendo sulla convergenza di computer e tv in un unico apparecchio potrebbero essere vittime di un colossale abbaglio. Tra i vari argomenti, il pc e' attivo e si usa a distanza ravvicinata, sporgendosi in avanti, concentrati; la tv e' passiva e si guarda da lontano, appoggiandosi all'indietro, rilassati.

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Dalla febbre della convergenza e' stata contagiata anche Telecom Italia, distributrice per il nostro paese di una versione della WebTv ribattezzata "PlayWeb". Gemella monozigote delle edizioni americane, presenta rispetto a quelle almeno due vantaggi: non obbliga l'acquirente a fare l'abbonamento a Internet presso un fornitore determinato (in questo caso Tin) e supporta Java, il linguaggio di programmazione sempre piu' diffuso sul Web che Microsoft ha scelto di boicottare con il suo set-top box. Nei negozi Insip a 500 mila lire, il tutto viene, di serie, con un telecomando sedicente "intelligente" con il quale ci si dovrebbe muovere nell'intrico ipertestuale e sbrigare la corrispondenza elettronica (e' praticamente indispensabile l'acquisto della tastiera a raggi infrarossi per 70 mila lire in piu'), un modem a 33.6 bps e una porta per collegare l'apparecchio a una stampante.

Eppure, con tutte le sue furbe funzionalita', pochi - aldila' di portavoce Telecom che parlavano, gia' all'indomani del lancio natalizio, di decine di migliaia di ordinativi dai negozianti a fronte di un'enorme aspettativa di vendite - sono disposti a identificare nel PlayWeb la gioiosa macchina da guerra che polverizzera' le residue resistenze del Popolo Off-line. "Sono media ben diversi - fa notare il professor Peppino Ortoleva, storico dei mezzi di comunicazione - : la convinzione schematica per cui, per trasformare il Web in un medium di massa basti renderlo piu' simile, esteriormente, alla tv, e' sbagliata. La tv e' un flusso, un'organizzazione del tempo in cui il palinsesto copre come una pellicola la vita della gente; il Web e' un ipertesto, non organizzato sulla base del tempo. Detto questo se lo scopo di PlayWeb e' quello piu' modesto di aumentare un po' il pubblico nostrano della rete, benvenuto...". Andreina Mandelli, che insegna Economia dell'Innovazione e coordina l'Osservatorio Internet alla Bocconi e' cauta ma possibilista: "Anche in Italia puo' prendere piede, se non proprio questo prodotto, qualcosa di simile, perche' supera il problema della scarsa diffusione dei personal computer nelle famiglie e perche' permette un uso sociale e rilassato del web, ma non credo che i tempi saranno brevissimi, anche per la scarsita' di servizi e di commercio elettronico in lingua italiana". L'ergonomia, la modalita' di fruizione ritorna anche nello scetticismo di Enrico Menduni, docente di comunicazioni di massa alla Sapienza di Roma: "La tv e' couch viewing, visione da divano mentre il web e' desk viewing, visione da scrivania. Tutti gli sforzi di televisione interattiva non hanno dato, sino ad oggi, grandi risultati, per aver sottovalutato questa componente psicologica determinante". E' l'uso sociale, non la scritta "Rai" o "www" sullo schermo, a distanziare le due "scatole".

 


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