L'equivoco del piccolo schermo digitale Augusto Preta
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L'equivoco tv digitale
C'è un equivoco che si protrae ormai da diverso tempo e che accresce
la confusione e l'incertezza sul fenomeno tv digitale. L'equivoco riguarda l'idea che la
tv digitale possa essere percepita, agli occhi del consumatore, come qualcosa di diverso
dalla televisione tout court. In altri termini, nell'evoluzione attuale, non vi sono,
contrariamente allopinione prevalente, due televisioni, una tradizionale, analogica,
a prevalente vocazione generalista, e un'altra, innovativa, avanzata, per certi versi più
"democratica", in quanto maggiormente rispondente ai bisogni e alle necessità
della domanda, rappresentata dalla tv digitale. In questa errata lettura dei processi in
atto, la tv digitale, sganciata dai vincoli e dalle rigidità dei palinsesti generalisti,
ripristinerebbe finalmente la sovranità del consumatore/utente, attraverso la visione di
ciò che viene espressamente richiesto (canali dedicati e programmi a richiesta),
esaltando le potenzialità di partecipazione dell'utente, non più spettatore passivo ed
eterodiretto, ma attore consapevole e interattivo, della comunicazione nell'era digitale.
Questa confusione, favorita in molti paesi da massicce campagne di
marketing da parte dei nuovi operatori di tv digitale, ha però in molti casi finito per
ritorcersi contro gli stessi sostenitori dell'innovazione tecnologica come valore in sé,
poiché tutte le esperienze hanno fin qui ampiamente dimostrato come i processi di
trasformazione del consumo, sebbene resi possibili dall'innovazione tecnologica,
richiedano, soprattutto rispetto alle forme di comunicazione più popolari e consolidate,
tempi e modi spesso non compatibili con le esigenze e le necessità dell'offerta.
L'obiettivo di questo articolo è tra gli altri quello di fare chiarezza su questo punto
fondamentale, nel tentativo di eliminare gli equivoci e le incomprensioni che hanno fin
qui caratterizzato questo rapporto.
Quale tv digitale?
Analizzando concretamente l'attuale processo di sviluppo della tv
digitale, in particolare in una dimensione europea, si nota come questo sia guidato da due
fattori:
- le modalità
trasmissive;
- i contenuti.
Sul primo punto, pur nella diversità delle situazioni nazionali, è
innegabile come il satellite (DTH) rappresenti attualmente nei principali mercati europei
la modalità di diffusione dominante e in molti casi quasi esclusiva.
Sul versante dei contenuti tre sono le modalità di offerta presenti
all'interno delle varie piattaforme digitali:
- il premium content
(eventi sportivi e film);
- il basic content
(i canali tematici);
- il react to
content (EPG, video-game, home-shopping, accesso a Internet e altri servizi interattivi).
Mentre il primo, offerto all'utente secondo diverse modalità di
pagamento (pay-tv e pay-per-view), rappresenta il driver prevalente nello sviluppo del
mercato, il secondo ha una funzione complementare, di arricchimento del bouquet digitale.
I servizi interattivi a loro volta garantiscono attualmente solo risorse marginali nei
ricavi dell'operatore digitale, essendo forniti gratuitamente in molti casi (vedi Canal
Plus) e utilizzati in questo modo come "esca" per estendere il livello di
soddisfazione degli abbonati agli altri servizi a pagamento.
Ne deriva, dal quadro appena delineato, che quando parliamo di tv
digitale alle attuali condizioni di mercato, facciamo riferimento a uno specifico modello,
tra i diversi possibili, e cioè la tv a pagamento via satellite. Si tratta di un
modello fortemente caratterizzato, basato sul ruolo centrale dell'operatore pay-tv e
dunque con un forte legame rispetto al pre-esistente sistema analogico.
Questa connotazione distributiva, che esalta la forte integrazione
verticale dell'operatore a pagamento, monopolista nel proprio mercato di riferimento e
presente in tutti gli anelli strategici della catena del valore (vedi schema), finisce
invece per penalizzare gli altri potenziali competitors, cioè le reti generaliste
(servizi pubblici e tv commerciali) e gli operatori di telecomunicazioni, la cui
centralità, anche nel precedente sistema analogico, era legata a precise condizioni di
diffusione (terrestre e universale per le prime, via cavo per i secondi).
A ciò va aggiunto un ulteriore elemento e cioè che in questo modello
i fattori evolutivi, di continuità, tra sistema analogico e digitale, sono ampiamente
prevalenti rispetto alla discontinuità "ideologicamente" professata.
L'atteggiamento del consumatore rimane del tutto indifferente alla tecnologia adoperata,
che viene considerata uno strumento, e non un fine, per l'accesso ai contenuti più
attraenti (film ed eventi sportivi), a loro volta tradizionali dal punto di vista
dell'offerta televisiva, ma innovativi in rapporto alle condizioni di fruizione (pay-tv e
pay-per-view).
I contenuti e le loro modalità di offerta rappresentano
pertanto la vera killer application per il decollo di un'offerta che convenzionalmente
possiamo continuare a identificare con la tv digitale, ma che in effetti andrebbe più
correttamente definita e regolamentata rispetto al più ampio mercato di riferimento
costituito dalla tv a pagamento, nel quale attualmente convivono e reciprocamente
interagiscono analogico e digitale.
In questa chiave appare inoltre opportuno sottolineare come i driver
prevalenti nello sviluppo della tv digitale siano tutti strettamente legati al
pre-esistente modello analogico:
- accesso ai
contenuti premium
A ulteriore riprova che il mercato rilevante non è
quello della tecnologia, ma delle condizioni d'offerta (diritti criptati, a pagamento), va
ricordato come su questi contenuti l'operatore pay vanti una esclusività, di durata
variabile, che è indifferente alla tecnologia utilizzata (e dunque valevole sia per
l'offerta analogica che per quella digitale), garantitagli dalla posizione monopolista nel
mercato analogico;
- consistenza del
parco abbonati (installed base) analogico
Ciò favorisce una migrazione dall'analogico al digitale
dei propri abbonati, tale da garantire all'operatore pay, in caso di piattaforme in
competizione, una posizione dominante nella fase di start-up, e da ridurre in ogni caso i
tempi per il raggiungimento del punto di pareggio (break-even), rispetto a chi deve
acquisire solo nuovi abbonati (minor costo di acquisizione per abbonato, minor tempo per
il raggiungimento della massa critica)
- presenza di
un'offerta multicanale satellitare
Ciò garantisce il controllo dell'accesso (gatekeeping)
su tutti gli elementi strategici della catena a monte e a valle, dall'accesso alla
programmazione da parte dei fornitori dei contenuti, alla gestione del rapporto con
l'utenza, grazie anche alla proprietà dei sistemi di conditional access. La presenza sul
segmento satellitare dell'operatore pay analogico (BSkyB in primo luogo, ma anche Canal
Plus), rappresenta pertanto un ulteriore vantaggio competitivo per l'acquisizione della
posizione dominante nell'offerta digitale da parte dell'operatore pay analogico.
Il mercato della tv a pagamento in Italia. Le prospettive di medio
periodo
All'interno del contesto europeo, il mercato italiano della tv a
pagamento presenta indubbiamente degli elementi di specificità, determinati dalla ridotta
penetrazione delle famiglie abbonate ai servizi criptati rispetto all'universo televisivo
(5-6% alla fine del 1998). Nonostante una crescita sostenuta negli ultimi mesi (oltre
mille abbonati al giorno), questo mercato non è in grado per ora di assicurare ad alcun
operatore il raggiungimento del break-even, che richiede una penetrazione doppia rispetto
all'attuale. Anche in una prospettiva di medio periodo (2002), lo stesso mercato, seppure
significativo e destinato a diventare solo digitale, con una penetrazione stimata tra il
16% e il 20% delle abitazioni tv, non appare in grado di modificare radicalmente i
rapporti di forza tra tv generalista terrestre e pay-tv satellitare, lasciando alla prima
il monopolio di almeno l'80% del mercato televisivo. A ulteriore riprova, basti
considerare che tali livelli di penetrazione sono ampiamente inferiori a quelli già
registrati attualmente in Francia, Spagna e Regno Unito.
Il ruolo dei broadcaster generalisti
In questo scenario, si aprono pertanto delle questioni che coinvolgono
direttamente i vari attori e in particolare i tradizionali broadcaster generalisti.
|
Operatore dominante |
Competitors |
|
Pay-TV operator |
Broadcaster |
Operatore di TLC |
Punti di forza |
- monopolio nel mercato della pay TV analogica
- forte integrazione verticale
- posizione di gatekeeper
|
- rapporto di fidelizzazione con i telespettatori
- brand name consolidato
- forte capacità di promozione dei canali digitali
- elevato standard qualitativo nella produzione e diffusione dei programmi
- forte presenza nella TV terrestre
|
- rilevante peso economico e capacità dinvestimento
- competenza nellinterfaccia utente
- consistente presenza nel segmento del cavo
- elevata competenza nei servizi interattivi
|
Punti di debolezza |
- limitate risorse economiche (necessità di rientri a breve)
- accesso limitato allaudience TV nazionale
- scarsa competenza nellofferta di servizi interattivi
|
- limitato accesso ai contenuti più attraenti (calcio, film)
- scarsa integrazione verticale nella catena della DTV
- scarsa competenza nellinterfaccia utente
- scarsa presenza nel satellite (e nel cavo)
- ridotto peso economico e di capacità dinvestimento
|
- scarsa competenza nei contenuti
- limitato accesso ai contenuti più attraenti (calcio, film)
- necessità di riposizionamento strategico (il possesso delle reti , a
differenza che nelle tlc, non è un essenziale nel business della TV digitale)
|
Fonte: elaborazione Italmedia Consulting
In sostanza, in un paesaggio comunque in trasformazione, attori
televisivi dominanti, operanti in regime di duopolio come Rai e Mediaset, debbono operare
oggi delle scelte decisive, destinate a incidere profondamente nel loro futuro. Queste
riguardano soprattutto due nodi fondamentali:
a) quale è il corretto posizionamento e quali sono le strategie da
adottare nei confronti dell'offerta a pagamento via satellite, attualmente l'unica in
grado di trainare lo sviluppo della tv digitale?
b) quale atteggiamento tenere nei confronti del progressivo ma più
lento processo di transizione del sistema televisivo dall'analogico al digitale? Questo
processo, che passa attraverso la diffusione del digitale terrestre ed è favorito e
incentivato dalle stesse politiche pubbliche (liberazione delle frequenze e determinazione
di una dead-line per le trasmissioni in analogico), comporta la moltiplicazione e la
diversificazione dell'offerta anche in questo segmento e dunque una possibile apertura
della competizione nel tradizionale mercato di riferimento dei due maggiori operatori
nazionali.
In entrambi i casi, come in tutti i reali processi di trasformazione e
di liberalizzazione di un sistema, non vi è dubbio che per gli operatori dominanti, gli
incumbent, la perdita di una rendita provochi immediatamente più preoccupazioni che
aspettative. In tal senso è da ritenere che fino a tempi recenti, al di là delle
dichiarazioni pubbliche, il sentimento prevalente sia in Rai che in Mediaset sia stato
quello di cercare di ritardare il più possibile o quantomeno non favorire lo sviluppo del
digitale e della tv a pagamento, visti come una reale minaccia al mantenimento dello
status quo. Ma posto di fronte all'evoluzione degli eventi, il management delle due
società ha via via modificato il proprio atteggiamento, cominciando a elaborare strategie
di ingresso nei nuovi mercati che, sebbene presentino dei rischi, offrono anche numerose
opportunità.
Prospettive di mercato
Nel mercato satellitare della tv a pagamento, tradizionalmente estraneo
alla propria cultura, i broadcaster generalisti, come pure gli operatori di
telecomunicazioni, pagano in primo luogo il fatto di non essere verticalmente integrati.
Questa debolezza strutturale spinge alla marginalizzazione dei
broadcaster generalisti, orientandoli verso le funzioni a monte di content provider,
legate alla fornitura di contenuti, in particolare sul segmento basic, costituito
dall'offerta di canali tematici.
D'altra parte però la posizione egemone del duopolio Rai-Mediaset, con
cui viene identificato tuttora l'universo televisivo nel nostro paese, garantisce ai due
operatori anche in questo ambito un potere contrattuale molto più ampio, che non trova
riscontro nelle altre situazioni europee. In particolare Rai, traendo vantaggio dalla
posizione privilegiata di crocevia dei molteplici interessi, non solo economici, che una
vicenda come quella della piattaforma digitale mette in gioco, appare in grado di
acquisire una posizione di primo piano all'interno della piattaforma dominante. Stesso
discorso potrebbe essere esteso a Mediaset, qualora si ritornasse allipotesi di
piattaforma unica, ovvero se decidesse di trasferirsi sulla seconda piattaforma, per la
quale però, accanto alle incertezze economiche, non sembrano al momento sussistere le
condizioni politiche per una sua affermazione.
La natura pubblica del broadcasting nell'era digitale
Ancora più stimolante, anche se indubbiamente più incerta, appare la
prospettiva legata allaffermazione del digitale terrestre. Qui da un lato maggiori
si presentano i rischi per Mediaset e Rai di un allargamento della competizione a tutto
campo (moltiplicazione dei canali, sviluppo dellofferta sia in chiaro che a
pagamento), con conseguente possibile ingresso di nuovi attori in un mercato che presenta
barriere dingresso meno elevate rispetto a quello satellitare. Ma allo stesso tempo
più attraenti appaiono le opportunità per questi stessi operatori, non più legate
soltanto al perseguimento (prevalente o esclusivo) di obiettivi commerciali legati alla
massimizzazione del pubblico, quanto alla riaffermazione di una natura pubblica del
broadcasting, destinata ad assumere un ruolo primario nel nuovo contesto digitale
In questo senso il processo di transizione (e di riconversione)
dall'analogico al digitale, caratterizzato da una vera e propria rivoluzione copernicana
rappresentata dal passaggio della scarsità delle frequenze a quello dell'abbondanza, e
che coinvolge dunque in primo luogo proprio lo sviluppo della diffusione terrestre,
rappresenta storicamente, molto più delle "piattaforme digitali", con tutti gli
equivoci che questa definizione comporta e che abbiamo cercato in queste pagine di
chiarire, la più importante sfida che le tv generaliste sono oggi chiamate ad affrontare.
Poiché se è indubbio che la comunicazione, e in particolar modo
quella televisiva - che rappresenta tuttora la principale, e per quote consistenti di
popolazione, esclusiva forte di accesso all'informazione, alla cultura e
all'intrattenimento - non deve essere garantita solo sulla base delle disponibilità di
spesa dell'utente, dall'altra parte non si può negare che il digitale contribuisce a
spezzare quella commistione tra natura pubblica del broadcasting e interessi commerciali
da perseguire che il sistema tv analogico aveva invece contribuito ad alimentare.
In questa chiave il recupero della dimensione pubblica e univerale
della comunicazione, elemento costitutivo non solo del servizio pubblico ma della tv
generalista nel suo complesso, se appare destinato a diventare uno degli obiettivi primari
da garantire ed affermare anche nel nuovo universo digitale, non può d'altro canto essere
assegnato solo sulla base delle "rendite" analogiche.
Perché ciò avvenga si richiede un grosso processo di revisione
strategica, collegato alla ridefinizione della missione della tv generalista in un
universo in trasformazione. Esso dovrà riguardare la capacità di soddisfare alcuni
interessi/bisogni ritenuti prevalenti, che rischiano di non trovare, nella comunicazione
digitale, adeguata tutela. In particolare:
? l'universalità
del servizio televisivo;
? l'accesso
all'informazione da parte delle fasce non garantite;
? lo sviluppo
e l'allargamento dell'educazione e della formazione a distanza, anche in chiave
interattiva;
? l'estensione
e la capillarità dell'informazione su base territoriale, a livello regionale e locale.
In ciascuno di questi ambiti, ritenuti essenziali anche
dallUnione Europea nellaffermazione della società dell'informazione,
l'attribuzione della funzione dovrà essere giustificata in primo luogo dalla sua assenza
nell'offerta esistente e dalla provata capacità da parte del soggetto richiedente di
operare in questo ambito.
Certamente si tratta di temi che, a differenza di quanto avviene in
altre parti del mondo, oggi non sono al centro dell'agenda in Italia, poiché lo status e
le posizioni acquisite garantiscono ai nostri broadcaster generalisti ancora per diversi
anni il mantenimento di un primato, che la pay-tv digitale via satellite riuscirà a
ridurre ma non a eliminare. Ma vi sono almeno due ragioni di fondo che dovrebbero spingere
il mondo televisivo a modificare il proprio atteggiamento su queste questioni.
La prima è che non ha senso incentivare lo sviluppo della tv digitale,
a cominciare dalle politiche pubbliche sul terrestre, se questa finisce per essere
sostanzialmente una copia di quella analogica, con tutti i problemi, in termini di spesa e
di barriere all'ingresso, che tutto ciò per l'utente comporta.
La seconda è che posti di fronte alla più ampia prospettiva di trasformazione
nell'universo digitale, caratterizzato, a differenza della tv digitale europea, dalla discontinuità
con le forme di comunicazione precedenti (vedi Internet e tv digitale in Usa), la
televisione, almeno quella tradizionale così come l'abbiamo conosciuta finora, non potrà
più svolgere neppure in Italia quel ruolo totalizzante nell'utilizzo del tempo libero che
ha avuto soprattutto negli ultimi 20 anni. Avendo probabilmente già compreso che
l'universo, anche quello televisivo, non girerà più in futuro attorno al proprio asse,
Mediaset e Rai debbono oggi cominciare a ripensare le proprie strategie, anche attraverso
la riaffermazione di ruoli, funzioni (e missioni) che, seppure in diversa misura, a loro
storicamente competono.
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