Punto di partenza o di fuga Messina è da sempre al di
fuori di ogni percorso turistico. A torto. La Porta della Sicilia, più volte abbattuta
dalla natura e dal caso, ha un fascino unico, anomalo, ammaliante. Basti pensare al porto
con le sue atmosfere d'Oltralpe, al lungo Stretto, all'incredibile mix di odori, salati e
dolci, che si respirano
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Sono arrivato in Sicilia. Me ne vado dalla Sicilia. Ecco le due dimensioni
spazio-temporali che di solito Messina regala. Con in più la sottile inquietudine
comunemente chiamata la "maledizione del ferribbotte", l'ansia di imbucarsi al
più presto nel primo traghetto assale veramente chiunque.
Dunque, fuga. In genere verso le altre due punte del triangolo messinese: le splendide
Eolie, e l'altrettanto Taormina. Commettendo quindi un errore esiziale e francamente
imperdonabile: non vedere la Città dello Stretto con le sue anomale atmosfere. Sì,
l'anomalia di una visita si esprime attraverso tante "stranezze" che Messina
conserva, per niente gelosa se occhi più attenti sono disposti ad accarezzarne il senso
più profondo.
In primo luogo, sbarcando da Villa San Giovanni, il colpo di fulmine di una città
adagiata nel piano alluvionale tra il mare e i monti Peloritani non ha eguali nel mondo.
La passeggiata dai giardini di piazzale Batteria Masotto verso l'imbarcadero dei traghetti
delle Ferrovie fa già essere al centro e contemporaneamente dentro il Porto; a forma di
ansa circolare all'estremità di accesso svetta l'alta colonna votiva della madonna della
Lettera. Il percorso è una carrellata d'epoca: rimessaggi, vagoni-merci rifornimento.
Fino ai padiglioni della Dogana. Incredibile. Tali e quali alle ferrose Halles di Parigi
prima della loro demolizione negli anni Settanta. Ecco, quando poi si "scoprono"
luoghi meno titolati dalla mondanità leggera, il rischio è di essere colti da una
pesante crisi europea-regionale. Non ce ne voglia la linearità di via Caracciolo a
Napoli, ma il "Lungo Stretto" messinese è più vigoroso e forte; e non ce ne
voglia un'altra famosa promenade, quella di Nizza, un po' pedante e leziosetta, ma mai
pittoresca e selvaggia come questa. E non è solo questione di campanile. Già i
soprannomi della marina di Messina non lasciano dubbi alla grandiosità: la Palazzata a
Mare o il Teatro Marittimo. Questa magnificenza spettacolare trova consacrazione in
un'altra fole visione. Infatti le due suddette celebri passeggiate [Nizza e Napoli] in
realtà "davanti" non hanno un bel niente, se non lo specchio d'acqua e
l'orizzonte. Al punto che il mare piatto, visto un attimo, non lo si guarda più. A
Messina il paesaggio dello Stretto e l'ultimo lembo del Continente sono una calamita dello
sguardo: sotto le vicine montagne calabresi è un via vai continuo di piroscafi,
catamarani e se poi passano le leggendarie spadare.

Basta, è necessario salire in quota per vedere meglio questo incanto della natura e
del caso; è d'obbligo percorrere la Circonvallazione a Monte, un perimetro urbano degli
anni Cinquanta, lungo ben nove chilometri. Un susseguirsi di viali con dei punti
panoramici [il sacrario del cristo Re, il Santuario di Montalto] dove fermarsi e
"dominare" il passaggio tra le due terre. Oddio, sarà proprio indispensabile
unirle con il Ponte rimandato italicamente all'anno zero? Si torna già ben consapevoli
che la "Porta della Sicilia" può sparare ancora emozioni di raro livello: il
Polittico di San Gregorio di Antonello da Messina, composto da cinque tavole e custodito
nel ricco Museo Regionale, lascia letteralmente di stucco. E come non sorprendersi del
campanile del Duomo, datato del più grande e straordinario orologio astronomico,
meccanico, figurativo del mondo? E poi ancora piazzole a giardino, viali larghi con le
case basse a non più di due piani, spie evidenti e necessarie per capire l'assenza di un
centro storico. perché vivere a Messina, seppur appena per poche ore, sollecita una
riflessione diversa da altre storie di città martoriata più di questa dal caso, dalla
natura e dall'uomo. Come sempre, nella sua squarciante lucidità Pier Paolo Pasolini
affermava negli anni Settanta che "...talvolta è bastata appena una notte a
trasformare la vita delle città, e non secoli o decenni...". Vero. Il terre-maremoto
del 28 dicembre 1908 fece tabula rasa, senza poi tener conto delle "carezze" dei
bombardamenti del '43.
Proprio per questo è fuorviante parlare di una città solo "nuova"; come in
una macchina del tempo va scoperta nel senso di una novità di un passato di tutto
riguardo. Ecco, l'anomalia e il fascino di Messina consistono in una doppia difficoltà di
lettura: i frammenti e gli eventi storici confluiscono verso il Nuovo, ma questo Nuovo non
intende superarli "ammazzandoli" una volte per tutte. Basti solo pensare al
carattere di ingegno e tenacia dei messinesi. lo dimostra il fatto che riedificando la
città con quel nuovo materiale che era il cemento, studiarono veramente come ingentilirlo
creando sculture, fregi e stucchi per dare dignità ai rinati palazzi.
Com'è anche duplice l'odore avvolgente dell'altissima [e forse sottovalutata] fabbrica
del gusto messinese: pesce e dolce. provare per credere. la qualità del pescato dello
Stretto e del basso Tirreno, per il particolare grado di salinità, rivela sapori
assolutamente insuperabili. E dopo aver reso onore incondizionato alla sovranità
dell'involtino di pescespada, si percorrono cinquanta-cento metri fuori del ristorante: la
brezza di una raffinatissima arte pasticcera stordisce i sensi per il profumo non pesante
e stucchevole, ma la contrario sublime e costante. Insomma, dove saremo mai capitati?
prima città di una Sicilia ancora "troppo" Sicilia ma non più Calabria, con
un'originalissima inflessione dialettale che non sta né di qua né di là, Messina è
anche questo: la sorpresa di una visita non pensata, non prevista, eppure rivelante e
profondamente dissimile dalle consuetudini di un turismo facilotto.
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