Marcello Fois, nato a Nuoro nel 1960, ha vinto il Premio Calvino nel 1992 con il
romanzo (non giallo) Picta ed è autore dei noir Sempre caro, Fluo e Ferro Recente. Fra
breve uscirà per Einaudi Meglio morti.
Si può parlare di boom del romanzo giallo in Italia?
In realtà, e' falso il postulato da cui parte questa domanda: non si può parlare di
boom perche' il giallo e' l'unico genere letterario che, da quando è nato, non ha mai
conosciuto delle debacle. Probabilmente e' piu' giusto dire che oggi la letteratura
"alta" in qualche modo sta facendo i conti con la codificazione propria di
questo genere, e questo non e' un processo casuale, perchè in letteratura il caso non
esiste. La maggior parte di quelli che hanno fatto questo percorso, e sono molti, ci hanno
pensato bene. Solo alcuni l'hanno subito e si sono dovuti adeguare.
La fa suonare un po' come una scelta furba.
Puo' darsi, perche' no? Perche' dovrebbe essere lecita la scelta furba di un'editoria
egemone o vincente, anzi, dev'essere furbo per l'editoria fare la scelta furba, e per noi
scrittori invece no? Cosa c'e' di male a fare la scelta furba se la scelta furba poi
produce lettori e buona scrittura? Noi siamo legati all'idea che la scrittura debba essere
avulsa da furbizie, da mercati e persino dai lettori. Siamo arrivati persino all'obbrobrio
di pensare di poter scrivere senza nessuno che ci leggesse.
A me sembra un'idea aberrante della letteratura. La scrittura e' un meccanismo
estremamente complesso ma anche estremamente artificiale. La scrittura naturale non e'
permanente: un libro naturalmente bello ti puo' uscire una volta per culo, la seconda
volta devi applicare atteggiamenti "innaturali" - e voglio chiarire che io non
do nessuna connotazione etica al termine "naturale". Noi scrittori siamo
artificiosi, come lo sono la societa' e l'uomo. Non c'è nulla di male in questo:
l'artificialita' non sempre produce freddezza e distacco. Forse dovremmo liberarci di
questi luoghi comuni e cominciare invece a pensare in una maniera piu' globale e piu'
complessa, come del resto ci hanno insegnato quelli che hanno effettivamente contato nelle
societa' in cui hanno scritto.
Diciamo allora che il "boom" del romanzo giallo è tale limitatamente alla
nostra capacita' di essere una societa' letteraria meno provinciale rispetto a prima. Per
la prima volta abbiamo capito che facciamo parte di un universo piu' complesso, che siamo
in Europa, che bisogna comunicare a un numero esorbitante di persone cose che ci
sembravano comunicabili esclusivamente per il nostro quartiere e per il nostro paesello. E
che in questo contesto adesso gli italiani sono in libreria, in alcuni casi persino in
classifica
Perchè il giallo ha raggiunto il grande successo proprio adesso?
Intanto il termine giallo e' di una genericita' sconcertante. Bisogna stabilire di che
cosa si sta parlando: Poe e' un giallista, e anche Agatha Christie, eppure c'e' una
differenza enorme tra loro. La meraviglia di questo genere e' proprio che e' un territorio
in cui possono convivere differenze enormi, e il suo pregio principale è la possibilita'
di interessare i lettori a vari livelli, poponendo una storia interessante e magari
misteriosa, qualche teoria sul mondo che stiamo attraversando, qualche domanda che sarebbe
il caso di porci anche quando non abbiamo voglia di porcela. Il lettore appassionato di
meccanismi ci trovera' il meccanismo, quello appassionato di sociologia trovera' l'aspetto
sociologico, quello appassionato di scrittura piu' o meno alta troverà anche quella.
Inoltre sono convinto che esista una scrittura del proprio tempo, e noi viviamo in una
situazione di troppe domande e di scarsissime risposte, per cui il giallo in questo
momento è l'unica scrittura possibile. Ciò che per l'Ottocento e' stato il feuiletton,
per i romantici la poesia, per noi e' il romanzo giallo, perche' viviamo in una societa'
che ha molte cose da spiegare e poca voglia di spiegarle. Del resto gli scrittori hanno
sempre svolto il compito di spiegare l'inspiegabile.
Ci sono caratteristiche del genere che si adattano in modo particolare a lei come
individuo e come scrittore?
Si', innanzitutto il fatto che sono uno che ha la tendenza a porre molte domande e
ritene di avere pochissime risposte. La mia strada non poteva certamente essere quella del
romanziere etico che ti racconta il mondo com'e', dunque per quanto io ami il cosiddetto
romanzo romanzo non sarei mai in grado di scriverlo, perche' e' un modo di concepire il
mondo che non mi assomiglia, e uno scrittore è credibile se dentro questa specie di
impalcatura di universo artificiale della letteratura ci metti se stesso. Ad esempio io
non riuscirei a scrivere un libro di fantascienza perche' mi occupo relativamente del
problema di come ci svilupperemo, mi interessa di più sapere chi siamo e chi siamo stati.
Mi interessa offrire una possibilita' critica per il mondo che stiamo vivendo.
Credo che uno scrittore abbia davanti fondamentalmente due strade: scrivere tutto
quanto conosce benissimo, oppure conoscere benissimo tutto quanto intende scrivere. Questo
e' l'unico modo che si ha per essere assolutamente convincenti, che non e' benintesto un
problema enciclopedico: uno scrittore si documenta mille per scrivere 0,1. Pero' questo
0,1 e' saturo di un sacco di cose che non e' nemmeno piu' necessario scrivere. Uno
comincia a diventare un radar rispetto alla storia che sta scrivendo.
Ad esempio, in passato ho scritto un romanzo ambientato nella comunita' ebraica, della
quale sapevo pochissimo, e per un anno mi sono occupato esclusivamente di cultura ebraica,
senza scrivere neanche una riga. Al momento della scrittura ho utilizzato una scheggia
minuscola di quanto avevo appreso, ma dentro a quella scheggia minuscola c'era tutto il
non scritto. Il Centro di documentazione ebraica di Milano che poi ha esaminato il libro
ha detto che sembrava scritto da un ebreo.
Questo e' il mio modo, ma non c'e' una regola, ognuno di noi accede alla scrittura
diversamente: c'e' quello che riesce a sviluppare un piccolissimo nucleo, ma riesce ad
accedere allo stesso tipo di materiali a cui invece ho acceduto io dopo un anno di
ricerca. La scrittura e' un modo di concepire l'universo. Il mio e' tendenzialmente un
universo critico dove una risposta e' in qualche modo un peccato, nel senso cristiano del
termine.

Un peccato di...?
Di presunzione. Significa prendersi una responsabilita' rispetto a un universo che e'
di gran lunga piu' immenso di quanto tu riesca ad immaginare.
Piu' la realta' e' complessa, piu' codificarla la rende gestibile?
Lo scrittore e' in qualche modo un ordinatore, uno che ha bisogno di mettere ordine
anche in uno spazio microscopico: ed e' proprio un problema di gestibilita'. Il punto
fondamentale e' che non si tratta di gestire la materia per sè, ma di incanalarla nella
storia che si vuole scrivere, prendendone un troncone e individuando la complessità
dell'insieme dentro a quel troncone.
Una specie di frattale.
Proprio cosi'. Il punto e' che l'elemento piu' complesso in assoluto rimane quello
base, il nucleo, per cui tutto il lavoro consiste nell'ottenere la semplicita', perchè
l'assenza di complessita' produce un'enorme complessita'.
Il genere giallo si presta a ottenere questa semplicita' che genera complessita'?
E' utilissimo, perche' racconta una storia, e attraverso questa racconta un mondo e le
persone che ci stanno dentro, cioè tutta quella serie di elementi che debbono sussistere
all'interno di un romanzo, anche se in maniera secondo me aberrante per un certo periodo
abbiamo pensato che un libro scritto bene non avesse il dovere di raccontare nulla.
Inoltre il genere fornisce uno schema che aiuta lo scrittore a incanalare meglio il
proprio lavoro. Quello dei frattali è un esempio calzante: il frattale è un'unita'
semplice dentro la quale sei costretto a concentrare la complessita' della quale vuoi
occuparti in quel momento.
Quanto piu' e' centrato questo nucleo, quanto piu' e primordiale, quanto piu' fa
riferimento a una specie di patrimonio genetico comune, tanto piu' e resistente quanto
all'interno di questo nucleo si produce. Le cose fondanti e fondamentali all'interno della
nostra letteratura e della nostra cultura sono estremamente semplici e lineari dei topos
che restano nel patrimonio genetico dell'uomo. E' un sistema che ti ridimensiona.
Il concetto di ridimensionamento e' solo spaziale o anche etico?
Sono concetti che si assomigliano molto. E' sempre lo stesso problema, no? E' il
lavorare sul nucleo della faccenda, e questo produce la permanenza.
Come fa un giallista a raggiungere il nucleo?
Da un punto di vista prettamente tecnico lo scrittore non e' molto diverso
dall'idraulico: si pone un problema e deve avere gli strumenti per risolverlo. E anche
ciò che differenzia lo scrittore dallo scrivente. Lo scrivente scrive e poi vede il
risultato di quanto ha scritto, lo scrittore parte da scrivente e poi si pone un problema
di gestione della scrittura, per cui dice: devo risolvere questo problema, che strumenti
ho a disposizione? Che chiave occorre per aprire questo bullone? Non si puo' aprire un
bullone del dieci con una chiave del venti. Devo usare la mia chiave del venti. Questo e'
l'aspetto tecnico dell'argomento, che per me non e' un aspetto indifferente: ci tengo a
dire che non ho una concezione fobica della tecnica, tutt'altro.
Dentro questa tecnica poi devi mettere te stesso, la tua esperienza, le tue letture. A
parita' di ingredienti non tutte le torte vengono uguali, e ci sara' pure un motivo: è
quel millesimo di valore aggiunto che fa la differenza. Lo stile è lì, e sono pochi i
fuoriclasse, quelli che hanno il tocco: i bravi artigiani in scrittura si sprecano.
In che cosa consiste l'originalità dello scrittore?
Lo scrittore e' un costruttore di meccanismi caldi e mobili, ma non originali:
l'originalita' non e' un pregio, anzi, lo scrittore che si ritiene originale e' un
cretino, perche' deve dimostrarmi che quanto lui scrive non e' mai stato scritto
nell'universo, e non solo sotto casa sua. Che pregio c'e' ad essere il piu' originale
della tua classe di 17 studenti, quando siamo sei miliardi nel mondo? Lo scrittore mi deve
dimostrare che conosce la letteratura indiana e quella cinese, quella birmana e
quant'altro. Quello dell'originalita' e' fondamentalmente un falso problema, perche' la
grande letteratura ci insegna che e' grande ciò che denuncia spudoratamente la propria
derivazione. Un libro che non ha dentro altri libri non e' un libro, non esiste. Un libro
e' una biblioteca, sostanzialmente. Non a caso i medievali che hanno coniato la parola
originale la concepivano in maniera assolutamente opposta a come la pensiamo noi, in senso
crociano: per i medievali era originale quanto denunciava le proprie origini. L'originale
come cosa mai scritta e' un'aberrazione del sistema letterario ottocentesco.
Pero' all'interno del genere c'e' anche moltissima letteratura scadente.
Certo, ma si può dire lo stesso della cosiddetta letteratura alta. E' ovvio che
all'interno del genere giallo esistono le differenze: Van Dine o Spillane, ad esempio, non
mi piacciono affatto. Ma scrivere gialli non significa per forza scadere. La differenza e'
che la letteratura di genere te la compri per andare in treno e la letteratura alta la
compri come status symbol, ma poi di fatto delle due finisci per leggere il libro da
treno.
Sta facendo un discorso di democratizzazione della letteratura?
Credo di si', anche se non mi sono mai posto il problema in senso politico. Sono uno
scrittore che ha voglia di scrivere bene e al contempo di avere molti lettori, e che
quindi non si adegua all'idea che se scrivi bene devi scrivere per una nicchia. Ci sara'
pure un modo per riuscire a far quadrare questo cerchio.
Molti si stanno buttando a scrivere gialli perche' e' diventato di moda, ma i risultati
sono modesti: perche'?
Semplicemente perche' questi scrittori si rapportano al genere in maniera concessiva.
Invece non è affatto detto che uno che sa scrivere tutto il resto sappia scrivere anche i
gialli. Anche perchè come sistema letterario il giallo ti obbliga ad avere un progetto e
a infilare la tua scrittura dentro quel progetto, mentre il mondo e' pieno di gente che
scrive senza un progetto. Siamo circondati da opere prime di autori che sopravvalutano la
scrittura, la ritengono autoportante. Non e' cosi', non basta l'arte combinatoria, ci
vuole dell'altro. Per questo il giallo è un'ottima palestra per un narratore.
Il giallo in definitiva e' un non genere. Tutto questo frazionamento, che e'
soprattutto etico e non sempre estetico, non e' funzionale allo scrittore. Personalmente
credo di non essermi mai posto il problema di essere uno scrittore di genere, anche
perche' nel mondo degli scompartimenti non sono abbastanza giallista per i giallisti e
sono troppo giallista per i non giallisti.
Lo scrittore e' in qualche modo un ordinatore. Ha bisogno di mettere ordine anche nel
piccolo, in uno spazio microscopico: e' proprio un problema di gestibilita'. Per questo
scopre di essere uno scrittore quando gestisce la sua tensione verso la scrittura. La
scrittura e' un cavallo bizzarro, se non la gestisci ti porta dove vuole, invece devi
riuscire a portarla dove vuoi tu. Anche gli scrittori apparentemente piu' destrutturati
sono invece immensamente strutturati da quel punto di vista. Questa e' una cosa che non si
dice abbastanza, specialmente ai giovani che vogliono intraprendere questa professione e
che hanno invece l'idea che l'unica letteratura possibile sia una sorta di flusso senza
controllo, facendo riferimento a una serie di autori che sono arrivati al flusso
apparentemente incontrollato attraverso invece una strada complessa e perigliosissima. Non
si puo' partire dall'Ulisse di Joyce, per capire l'Ulisse di Joyce bisogna partire dai
Dubliners.
Anche lei, come Carlo Lucarelli, fa parte del Gruppo 13. Che cosa vi accomuna?
Non siamo una setta religiosa, e nemmeno un gruppo letterario, nel senso che non
abbiamo un manifesto, non vogliamo dimostrare niente. Da un punto di vista prettamente
stilistico, questa "scuola" e' la meno "scuola" che esista: siamo
scrittori molto diversi e difendiamo la nostra diversita' con le unghie e con i denti. In
realtà siamo soprattutto persone che si vedono a cena, che si vogliono bene, e che in
più scrivono dei libri e sono molto critiche rispetto al proprio lavoro. Ci interessa
più l'idea della letteratura piuttosto che il prodotto che scaturisce dalla nostra testa
rispetto a questa idea.
Qual e' la sua idea di letteratura?
Boh? Per me e' indefinibile perche' e' respiratoria, e' biologica: il mio rapporto con
la scrittura e' un rapporto di sopravvivenza. Io non ci sono se non c'e' la scrittura.
Se non avesse avuto successo avrebbe continuato a scrivere?
Sembrera' una boutade, ma non mi sono mai occupato del mio successo. Sono stato molto
fortunato, questo si', nel senso che ho dovuto fare scarsissimi compromessi, non per
scelta, ma perche' il mio destino e' stato questo. Ho pubblicato tutto quello che ho
scritto, e a un certo punto della mia vita sono stato contattato direttamente dalle case
editrici.
Ma per dieci anni sono stato un poverissimo scrittore e ho continuato a scrivere
perchè, per male che mi andasse, quella era la mia bombola di ossigeno. Poi un giorno un
luminare dell'apparato respiratorio ha scoperto un'operazione che mi ha liberato dalla
bombola d'ossigeno e mi ha permesso di respirare. Il problema non cambia, rimane un
problema di sopravvivenza. Dipende solo se con la bombola d'ossigeno o senza.