Dalla parte del cattivo
Roberto Herlitzka con Antonia Anania
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Di Roberto Herlitzka rimane subito impresso il viso intenso e
scolpito. Poi, ascoltandolo, la voce chiara, piena e cavernosa, e le
parole, quel suo modo signorile di argomentare, antico, dove per
antico s’intende: attento, preciso e ricco di subordinate.
Lungo la sua carriera d’attore, Roberto Herlitzka ha fatto e fa
spesso la parte del cattivo. A teatro, per esempio, è stato “il
più malefico di tutti”: Iago nell’Otello di Shakespeare,
diretto da Gabriele Lavia nel 1975-77. Angelo in Misura per
misura, sempre di Shakespeare, diretto da Luigi Squarzina, nel
1979-80, un uomo subdolo che “cerca di sedurre e obbligare a un
rapporto una giovane novizia, Isabella, facendole il ricatto di
farle morire il fratello”.
Al cinema è stato lo zio-marito di Marianna Ucria (1996),
regia di Roberto Faenza, - “che per certi versi -spiega Herlitzka-
fa un po’ meno male di Iago e Angelo, perché se ha effettivamente
stuprato la ragazzina poi però l’ha sposata, credendo così di
sistemare la malefatta”.
E in televisione è stato un capo-mafia che del male aveva una
filosofia quasi letteraria, in Una sola debole voce,
(1998-99) diretto da Alberto Sironi e con Licia Maglietta. “Ero
cattivissimo e vivevo in una torre isolata in mezzo a una distesa
siciliana -ricorda l’attore-. Da quel posto dove abbiamo girato si
poteva vedere San Giovanni Iato, la patria di molti mafiosi, e un
giorno mi dissero che quella torre pare fosse stato davvero un
rifugio di uno dei boss più famosi e temuti”.

A Caffè Europa Herlitzka racconta dei suoi
personaggi affascinati dal male, e lo fa a tratti come se stesse per
interpretarli e ne cercasse le motivazioni dell’agire. Con una
pacata sicurezza. A volte anche in loro difesa.
E’ vero che fare il cattivo è più divertente per un attore?
Dipende dal tipo di personaggio. E’ divertente purché non sia
soltanto cattivo, perché allora diventa unicamente un contraltare
al buono. Dev’essere un essere umano e avere delle motivazioni e
delle varietà nella sua cattiveria. Altrimenti è solo una pedina
di un gioco, una funzione che serve alla storia.
Ci racconta le motivazioni di alcuni dei personaggi malèfici che ha
interpretato?
Tutti i malvagi che ho interpretato hanno un motivo per la loro
malvagità. Iago aveva, lui, una terribile gelosia dell’amicizia
tra Cassio e Otello; Angelo aveva l’amore, anche se era solo
desiderio. Shylock ne Il mercante di Venezia (nel 1999 al
Piccolo di Milano, diretto da Stephane Braunschweis, n.d.r.) aveva
la sua condizione di perseguitato ed emarginato, e la vendetta nei
confronti di quelli che gli avevano portato via la figlia. Il motivo
del duca Pietro, lo zio di Marianna Ucria, invece, è l’effettivo
amore per questa bambina, che poi diventa donna. Tutti hanno un modo
di seguire un qualche sentimento umano che può essere considerato
sbagliato, certamente eccessivo; però in tutti i casi, il
sentimento c’è.
Quale verso sul fascino del male ricorda?
La descrizione di Iago della gelosia, l’arma che usa per
distruggere Otello: “un mostro dagli occhi verdi che distrugge la
carne di cui si nutre”. Non è una definizione della sua
cattiveria, lo è di un vizio, di un aspetto che lui usa per fare
del male.
Il male può essere sinonimo di maggiore intelligenza?
Una persona intelligente e per di più cattiva può fare più male
di una stupida e cattiva, perché lo fa con maggiore abilità. Ma
non è vero che una persona sia più cattiva se più intelligente:
si può essere cattivissimi anche per stupidità, e spesso il male
nasce dalla banalità, come ha sostenuto Hannah Arendt.
E’ sempre stata una sua scelta interpretare personaggi
negativi?
In definitiva, sì. Ho sempre scelto, nel senso che non ho mai
accettato niente che non desiderassi fare, però siccome non ho una
mia compagnia e, dunque, nessun potere di organizzare e decidere le
parti, è chiaro che ho dovuto scegliere fra i personaggi che mi
offrivano.
E secondo lei perché le hanno offerto spesso parti da cattivo?
Per un fatto di immagine. Evidentemente io ho un viso particolare e
un fisico non molto rassicurante, soprattutto da quando ho raggiunto
una certa età. E’ vero che quando avevo trent’anni mi hanno
fatto fare il commissario in televisione, il capitano della finanza,
facevo anche l’eroe. Ed è anche vero che l’anno scorso ho
interpretato il professor Caffè, un eroe positivo, nel film L’ultima
lezione di Fabio Rosi. E sempre per il cinema ho recitato altre
parti decisamente positive: il professore perseguitato ne Gli
occhiali d’oro (1987) di Giuliano Montaldo e ne Il corpo
dell’anima (1999) di Salvatore Piscicelli, l’intellettuale
tutto sommato “ben visto” dalla ragazza che lo seduce. Difatti,
mi auguro di non avere un fisico che si possa interpretare solo in
modo inquieto, anzi mi pare proprio che il mio aspetto possa essere
interpretato e visto in vari modi. Certo, è difficile che mi
scelgano per la parte del nonno buono.
Le capita di essere influenzato da questi personaggi malvagi nella
sua vita quotidiana?
No, proprio no. La mia vita da parecchi anni si dedica totalmente a
questa mia attività di attore, per cui fatalmente è influenzata
dal mio lavoro. E’ chiaro che quando preparo un personaggio di
questi, non faccio che pensare a lui; quindi ne sono condizionato in
questo senso, ma che il mio carattere diventi simile a quello di
Iago o del professor Caffè no, sinceramente non è vero. D’altronde
gli attori sarebbero nei pasticci se dovessero “rimanere” come
sono i loro personaggi.
Fino al tre marzo, al teatro Greco di Roma, lei indossa veste e
mantello del Capitano Edgar in Danza Macabra di August
Strindberg, con Giuliana Lojodice e Toni Bertorelli (vd. http://www.caffeeuropa.it/
attualita03/168teatro-danza.html ). Qual è la malvagità di
questo personaggio?
La perversione di Edgar nasce da una visione del mondo
decisamente negativa, che è poi quella dell’autore, di Strindberg.
In lui sono rappresentate nel modo più deformato e accentuato,
certe caratteristiche che abbiamo tutti, e, siccome il tema che
viene criticato in questa opera è la convivenza, forse la colpa del
disastro matrimoniale non è né sua né della moglie, ma della loro
infelicità. E’ vero che lui ha buttato sua moglie in mare e che
dice menzogne, però non lo si può certamente avvicinare agli eroi
perfidi e funesti di cui abbiamo parlato prima. La sua è una
malvagità quotidiana, non eclatante. Anzi credo che ci siano
persone peggiori di lui.
Ad Aprile, invece, sarà al Valle, a recitare Lighea o I
silenzi della memoria, una riduzione teatrale di Ruggero
Cappuccio della novella di Giuseppe Tomasi da Lampedusa. Una
curiosità: che cosa può piacere e dispiacere del sentire siciliano
a lei che è torinese di nascita?
Io credo che essere siciliani sia un impegno straordinario, più
di quello che si ha appartenendo a un’altra regione. La Sicilia ha
dei mali più gravi di altre parti del nostro Paese ma anche
ricchezze spirituali, culturali, artistiche quasi uniche. E’
certamente una grossa responsabilità essere siciliani. Mi fanno
fare spesso il siciliano e non solo il mafioso, e ogni volta che
vado in Sicilia per lavoro o per piacere, ho la strana impressione e
sensazione di essere veramente nel cuore dell’Italia, perché
sento che l’essere italiani in Sicilia è una condizione
particolarmente intensa. Non so spiegarmelo ma è così.
Durante le riprese dei suoi ultimi due film, L’ultima
lezione (2001) di Fabio Rosi e Quartetto (2001) di
Salvatore Piscicelli, lei ha lavorato con alcuni attori giovani o
agli inizi della loro carriera. Quali consigli ha dato?
Ne L’ultima lezione i due studenti del professor
Caffè, sono interpretati da attori giovani ma non agli inizi:
Ignazio Oliva ha già fatto vari film e avevo già lavorato con lui
in televisione. Con Chiara Conti invece ho girato una sola scena. In
Quartetto invece ho rincontrato Raffaella Ponzo, l’attrice
con cui avevo fatto Il corpo dell’anima, e se lì era
proprio al suo debutto cinematografico, qui era già al suo secondo
o terzo film.
Al cinema non si possono seguire delle regole come si può in
teatro, e secondo me i migliori attori al cinema, se il regista è
bravo, sono proprio i bambini -che sono agli inizi in tutti i
sensi-; ma a parte tutto questo, io non do nessun consiglio, per
abitudine, a meno che non me lo chiedano esplicitamente. Trovo che
quello che vale per me, non vale per un altro, e sono molto
rispettoso dell’originalità di ciascuno. Se poi vogliono
chiedermi qualcosa di preciso ed elementare sono abbastanza contento
di parlarne, ma non è nella mia natura dare consigli.
E allora che cosa consiglia Roberto Herlitzka a se stesso quando
deve interpretare un personaggio affascinato dal male?
Di non dimenticarsi di essere cattivi. Perché a volte per pigrizia
un attore può dimenticare di fare la parte del perfido, e allora il
suo personaggio se ne va a spasso. A meno che il testo teatrale
preveda un cattivo per omissione, e in quel caso più che cattiveria
è una mancanza, un piccolo errore, in generale essere cattivi tout
court richiede una notevole forza ed energia, che non sempre si
hanno. Il male è una forte spinta per chi ce l’ha, e quando un
attore deve interpretare un personaggio di gran lunga più cattivo
di lui, -perché io potrò essere pure cattivo ma non certo quanto
Iago-, allora deve caricarsi di qualcosa che è difficile da
trovare. Questo è lo sforzo e il consiglio che Roberto Herlitzka
può dare a se stesso e anche agli altri.
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