Voci ribelli sul
grande schermo
Paola Casella
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Voci ribelli sul grande schermo
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 69
(gennaio-febbraio 2002) di Reset
In teoria, cinema e radio non sono fatti per stare insieme: se il
cinema affida all'immagine il ruolo principale di comunicatore, la
radio fa leva proprio sull'assenza di immagini per stimolare
l'immaginazione degli ascoltatori e creare mondi diversi a seconda
della fantasia di chi la ascolta. Eppure la radio è stata più
volte rappresentata dal cinema, soprattutto quello americano, che ha
fatto di lei (non di essa, giacché la radio, nella cognizione
romantica, è femmina antropomorfica) un simbolo di ribellione, di
iconoclastia, di radicale anticonformismo.

E' proprio l'invisibilità del conduttore radiofonico a fare di lui
un potenziale eroe sovversivo, o anche solo un pericoloso giullare:
è il caso di Barry Champlain, il protagonista di Talk Radio di
Oliver Stone, ispirato a un personaggio realmente esistito, quell'Alan
Berg che fu ucciso nell'84 da un neonazista che ne detestava
l'"arroganza ebraica". Con la sua satira al vetriolo, Berg
prendeva di mira chiunque, senza esclusione di colpi, e qusto lo
rendeva contemporaneamente inviso ai propri superiori e idolatrato
dai fan, che non perdevano una sua trasmissione.
Eric Bogosian, l'attore teatrale e autore della pièce sulla
quale si basa Talk Radio, ha riproposto sul grande schermo il
ruolo di Champlain già interpretato in palcoscenico calcando
volutamente la mano sull'antipatia dell'uomo, assimilandolo così
alla lunga lista di spiriti anarchici del grande schermo - basti
pensare ai protagonisti di due film di Milos Forman: il
"matto" interpretato da Jack Nicholson in Qualcuno volò
sul nido del cuculo e l'editore di riviste porno di Larry
Flynt - Oltre lo scandalo- descritti come figure scomode e
sgradevoli in regime di democrazia, ma essenziali antidoti alla
protervia dell'autorità ogni volta che la società prende una piega
totalitaria (non è un caso che Forman fosse un rifugiato politico,
fuggito all'indomani della primavera di Praga).
Anni dopo Howard Stern, un collega molto più piacione di Berg, e
molto più attento a quali piedi pestare, sarebbe diventato il
conduttore di un popolarissimo programma radiofonico politicamente
scorretto, nonché il protagonista di un film agiografico ispirato
alla sua storia, Private parts, dimostrazione che anche la
ribellione radiofonica può essere efficacemente domata con un'abile
manovra di marketing.

Invisibile, e per questo irraggiungibile, era Mark Hunter, il
giovane protagonista di Pump up the volume - Alza il volume
interpretato da Christian Slater. Questo piccolo film dall'apparenza
artigianale ha riscosso un enorme successo fra i giovani americani
appena emersi dal decennio reaganiano, che si sono identificati in
massa nel teenager sfigato e patologicamente timido che solo dietro
il microfono riesce a far emergere la sua anima dark e il suo
spirito anticonformista.
Naturalmente, nel cuore della provincia americana, un franco
tiratore come Mark è del tutto inaccettabile: di qui la caccia, da
parte delle autorità, al disc-jockey abusivo che trasmette con un
apparecchio fai-da-te dalla clandestinità del seminterrato di casa
(piccoloborghese, con tanto di palizzata bianca), proprio sotto i
piedi dei suoi insospettabili, e ignari, genitori. E questo prima
che gli hacker intasassero il grande schermo americano con le loro
azioni di sabotaggio da sottoscala.

Meno anonimo, anche perché ha il volto cinematografico di Robin
Williams, è Adrian Cronauer, il disc-jokey (realmente esistito)
più seguito dalle truppe americane a Saigon in Good Morning
Vietnam di Barry Levinson. Il suo grido di saluto mattutino, la
sua inarrestabile logorrea, il suo humour appena un soffio al di qua
dell'antimilitarismo dichiarato, fanno di lui un degno erede della
delirante (e rigorosamente anonima) voce al megafono del M.A.S.H.
di Robert Altman, quello che dava voce ai sospiri del Maggiore
Margaret "Bollore" Hulahan e che, alla fine del film,
declama i titoli di coda.
Invisibile era anche il Lupo Solitario (nella realtà il disc-jockey
Wolfman Jack) che faceva da accompagnamento vocale alla vicenda di American
graffiti di George Lucas, l'Amarcord d'oltreoceano che ha
lanciato un'intera generazione di future star del grande schermo
americano, da Ron Howard a Harrison Ford a Richard Dreyfuss.
L'incontro fra Curt, il ragazzo interpretato appunto da Dreyfuss, e
Lupo Solitario è una vera e propria perdita dell'innocenza: alla
voce più graffiante della provincia americana anni Sessanta
corrisponde infatti un ometto grasso e barbuto che, vistosi
scoperto, nega di essere il mitico DJ. Dopodiché, appena crede che
Curt sia fuori portata, l'ometto riprende il suo posto al microfono,
ricreando all'istante il proprio mito vocale.
Non poteva mancare un esempio italiano: Radio Freccia,
l'esordio alla regia del cantautore (e autore del racconto sul quale
è basato il film) Luciano Ligabue. Radio Freccia è un vero
Amarcord, ambientato com'è in zona Fellini, cioé nella pianura
reggiana, dove è cresciuto Ligabue nei lontani anni Settanta. Il
centro di aggregazione del gruppetto di vitelloni protagonisti della
storia non è l'edicola della tabaccaia felliniana ma un bar gestito
da Francesco Guccini, e un'emittente radio "libera
veramente".
Sull'onda della nostalgia, vedremo alternarsi alla consolle
tutti i protagonisti, e soprattutto Freccia (Stefano Accorsi, al suo
primo ruolo importante), il romantico e autodistruttivo protagonista
che verrà fagocitato dall'eroina, l'altra sirena degli anni di
piombo. Dalla sua nascita, in clima di euforia eversiva, alla sua
morte, per mancanza di fondi pubblicitari, Radio Freccia diventerà
il simbolo del tramonto delle illusioni di una generazione, e il
racconto di quanto, ma anche quanto poco, possano fare un microfono
e un punto di vista.
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