| Come un arcipelago 
 
 
 Francesco Roat
 
 
 
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 Eugenio Borgna, L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli,
            pp.226, L.30.000
 
 
 E’ mai possibile individuare il comune denominatore delle
            emozioni? Ovvio che si tratta di sentimenti e non di cose; che ci
            confrontiamo con ambiti psichici (sebbene dalle forti implicazioni
            somatiche) con i quali reagiamo alle sollecitazioni esterne. Ma vi
            è un elemento dinamico che caratterizza e lega insieme persino i
            più dissimili stati d’animo - come sottolinea nel suo ultimo
            saggio L’arcipelago delle emozioni Eugenio Borgna - ossia
            il fatto che essi “ci portano fuori dai confini del nostro io” e
            ci consentono di entrare in “risonanza” con gli altri e col
            mondo.
 
 Dunque è principalmente attraverso le emozioni (nostre e altrui)
            che noi veniamo in contatto con le persone, approcciarsi alle quali
            solo tramite la ragione, il calcolo, il pensiero astratto non ci
            consente di conoscerle sul serio in profondità o di giungere ad un
            contatto davvero umano. Senza empatia, infatti, senza la capacità
            di cogliere e penetrare l’altrui sentire (o patire) non si dà
            vera comunicazione, non c’è autentico scambio, dialogo,
            comprensione. Lo aveva capito persino quel pessimista cosmico d’un
            Giacomo Leopardi, il quale non riteneva possibile concepire un
            interesse sincero per una persona “senza una specie d’amore”.
 
 Ed eccoci alle prese con l’emozione per
            eccellenza: gamma affettiva estremamente variegata, d’altra parte.
            Per dirla cogli antichi greci (che di questi aspetti erano maestri),
            una cosa è l’eros, l’amore per un uomo o per una donna;
            un’altra è l’agape, la compassione o fratellanza
            caritatevole nei confronti di tutti gli esseri umani; un’altra
            ancora la filia, sorta di sodalizio profondo fra amici o
            intenso vincolo sentimentale che può unire maestro e discepolo. Per
            non parlare del legame che unisce un genitore al proprio figlio e
            viceversa.
 Tuttavia l’amore può rovesciarsi in odio. E se l’atmosfera del
            primo è all’insegna dell’apertura speranzosa verso un futuro
            caratterizzato dalla pienezza d’un rapporto a due, la dimensione
            del secondo non contempla alcun futuro, essendo l’odio sempre
            rivolto ossessivamente al passato: ad un torto, tradimento o dolore
            sofferto ieri che paralizza l’oggi nello stallo d’un
            rimuginare rancoroso e non consente di progettare il domani.
            E dal disamore o dalla fine di un rapporto può nascere la
            malinconia raggelante, che fa soffrire - ben oltre la perdita o il
            lutto - per il timore o la convinzione di non riuscire più ad amare
            un’altra volta.
 
 Ancora, ci ricorda Borgna, le emozioni mutano d’intensità,
            trasformandosi talvolta in modo così radicale nel corso dell’esistenza
            da sconcertare il soggetto che le vive e soffre. Ma l’età del
            troppo pieno emozionale, dei tumulti e smarrimenti del cuore resta l’adolescenza:
            stagione affettiva quante altre mai della vita, in cui conosciamo
            sì i primi amori però anche le prime angosce ed ansie tormentose.
            In cui sperimentiamo, insomma, l’intera tavolozza dell’umano
            sentire: dalla felicità più solare allo sconforto più tenebroso,
            dall’allegria senza pensieri alla nostalgia venata di tristezza.
 
 Sarà, come scrive Borgna, che l’adolescenza segna il distacco
            dalla improblematicità dell’infanzia; distacco che raramente
            avviene senza ferite che stentano sempre a cicatrizzarsi. Sarà che
            il salto dalla puerizia nell’adolescenza fa nascere nei ragazzi le
            grandi domande filosofiche sul senso del vivere e del morire o sul
            perché della sofferenza e della finitudine.
 
 Poi, nella fase adulta, a fare la parte del leone saranno le
            emozioni forti: passioni d’ogni genere, rabbia e
            aggressività; mentre si affievoliranno quelle deboli, quali
            la sim-patia, la partecipazione o sensibilità ai vissuti del
            prossimo. Altro che comunicazioni rese più facili dalla tecnologia.
            Solo in apparenza Internet, avverte Borgna, consente di relazionarsi
            con un gran numero di persone, giacché l’epoca dei computer è
            piuttosto “contrassegnata dal rischio fatale di radicalizzare la
            solitudine e di svuotare le relazioni psicologiche e umane di
            contenuti emozionali significativi” attraverso una sorta di
            autismo telematico in cui ognuno finisce per essere una monade senza
            scambi reali con un tu virtuale e fantasmatico come le immagini
            inviate o ricevute grazie alla telecamera digitale del PC.
 
 Nella fase ultima della nostra parabola esistenziale, infine, il “leitmotiv”
            delle emozioni è spesso di tipo nostalgico, quantunque esso riesca
            a non trascinare con sé depressione ed altre sofferenze psichiche
            quando tale rievocazione determini un “recupero del presente
            alla luce di un passato che abbia avuto un senso”. E sono
            proprio le emozioni più dolorose e abissali (come la vergogna, la
            melanconia depressiva, l’angoscia e le ossessioni) dai tratti
            francamente patologici a interessare lo psichiatra Borgna, che -
            tramite un linguaggio assolutamente scevro da tecnicismi e velleità
            classificatorie nosografiche - riesce a descrivercele (a farci
            calare in esse, quasi) con chiarezza magistrale, sensibilità
            acutissima e partecipazione compassionevole.
 
 Convinto com’ è che non sia possibile curare le ferite
            dell’animo malato col ricorso esclusivo alla farmacologia senza
            coinvolgimento affettivo da parte del terapeuta, senza comprensione
            emozionale, pietas, dialogo incessante e soprattutto senza
            inesausta disponibilità all’ascolto.
 
 
 
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