Romeo, Giulietta e la costruzione
di un mondo
Claudio Boccaccini e Rossella Izzo con Angelica Alemanno
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costruzione di un mondo
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La sera del 14 novembre è andato in scena, alla Salauno di Roma, lo
spettacolo “Romeo e Giulietta”, per la regia di Claudio
Beccaccini. Dopo lo spettacolo, presenti diversi vip del mondo del
cinema e della televisione, gli spettatori sono stati invitati a un
rinfresco nell’insolito locale ArtCafè, nel sottosuolo di Villa
Borghese, un immenso salone dai pavimenti in legno ondulato effetto
scivolo, perché tutto è stato studiato per eliminare ogni spigolo
ai festeggiamenti per il debutto dello spettacolo e ai due giovani
protagonisti: Myriam Catania e Lorenzo Calducci, ovviammente
Giulietta e Romeo.

Tra i numerosi paparazzi, che lampeggiavano
attorno a Cristian De Sica, Ricky Tognazzi, Simona Izzo (madre di
Myriam) e all’altissima Cucinotta, munita di tacchi a spillo quasi
taglienti, siamo riusciti ad incontrare il regista Claudio
Beccaccini.
Rispetto alle tante versioni precedenti, all’ironia, alla
drammaticità estrema, in questo spettacolo lei sembra aver voluto
privilegiare le emozioni, quelle dei personaggi, ma anche quelle
degli attori e spettatori. Possiamo dire che nel suo spettacolo è l’emozione
la chiave di lettura più forte?
Beh, nella storia di Romeo e Giulietta sono proprio le emozioni a
muovere tutto. Si tratta di una storia implausibile fatta di una
serie di “se”, di “ma”, di “se quello fosse arrivato prima
o dopo…”, ma tutto questo vive perché sostenuto da una forte
componente emotiva che riesce a giustificare ogni cosa. Del resto
quando si è innamorati si dicono anche cose senza senso, si fanno
gesti che non appartengono alla quotidianità, e che diventano
comprensibili solo attraverso la chiave di lettura dell'emozione.
Secondo lei, le emozioni di cui racconta Shakespeare sono ancora
attuali?
Assolutamente sì, il che giustifica questo spettacolo, che nasce
dall’incontro e dalla collaborazione tra me e Rossella Izzo con l’idea
di fare uno spettacolo per i giovani. Inoltre avevamo già due
protagonisti, Miriam e Lorenzo, che volevamo utilizzare perché li
ritenevamo maturi per un cimento di questo tipo. Io, tra l’altro,
avevo già un’esperienza con il Bardo il “Shakespeare Horror
Show”.

Per quello spettacolo abbiamo costruito una sorta
di melange di vari testi di Shakespeare. Pure lì c’erano numerosi
giovani e una nota rock di sottofondo. Lo spettacolo aveva
partecipato alla Versiliana, era stato in scena due anni Roma
andando bene, e così siamo ricaduti sul grande Autore. Pensando poi
allo spazio, abbiamo deciso di farlo nella Sala Uno, e solo allora
abbiamo pensato a quale tipo di spettacolo doveva essere, quali le
novità. Romeo e Giulietta è stato proposto in innumerevoli
versioni, ognuna con la presunzione di aggiungere qualcosa in
originalità.
In che modo l’oggi entra nella messa in scena?
Partiamo dal presupposto che questa storia possa essere ambientata
in qualsiasi epoca. Nella versione shakesperiana si allude ad un
terremoto che dovrebbe essersi verificato 12 anni prima della
vicenda, in cui tra l’altro la Balia (interpretata da Beatrice
Massetti, n d a ) racconta di aver perso una figlia. Questa
è la cosa che ha fatto scattare in Rossella l’idea di immaginare
una catastrofe nucleare che in qualche modo avesse portato indietro
la tecnologia, e avesse fatto tornare indietro la gente ad una
specie di medioevo postmoderno.
Tutto quello che è verso e che riguarda la tragedia è stato in
qualche modo modernizzato, facendo un’operazione di semplice
traduzione. Ma invece che mantenere un tono aulico, si è cercato di
introdurre nei dialoghi, soprattutto quelli tra i ragazzi, un
livello più quotidiano: la traduzione ragiona in termini filologici
attuali. Romeo, ad esempio, invece di dire “avevo ben altro per la
testa”, dirà “avevo un giro”, e così via. Il tutto per
inserire lo spettacolo in un’ambientazione da medioevo
post-atomico. Questa è la grande novità.
Un’altra novità è la linea rock che sottende la messa in scena:
la canzone (Because the night, n.d.a.) è stata riarrangiata
da Antonio Di Pofi in vari modi: classica, con gli archi, elettrica.
Nel momento degli applausi abbiamo utilizzato proprio il Boss, la
voce di Bruce Springsteen. Il rock ci è sembrato adatto proprio
perché da sempre esprime sentimenti aspri, forti.
Questo spettacolo si avvale di numerosi ragazzi nel ruolo del
coro, di numerosi movimenti di scena, quasi delle coreografie (i
movimenti sono studiati da Paola Fulci, n.d.a.),
coadiuvate da un vorticoso movimento scenografico. È stato
difficile orchestrare tutto questo in uno spazio non grandissimo?
Assolutamente no. Anzi, è una mia caratteristica: ho fatto
spettacoli anche con 40 persone. C’è da dire che presiedo una
scuola di teatro, e mi piace molto inserire gli allievi della mia
scuola a vari livelli, a seconda delle loro capacità, negli
spettacoli che allestisco. Credo che tra le mie caratteristiche come
regista ci sia quella del movimento. Gli attori sono la migliore
testimonianza di vitalità sulla scena, e avere una scuola significa
poter assorbire lo spirito di questi ragazzi, trasportandolo sulla
scena. Molti mi dicono “il tuo spettacolo piace ai giovani” e io
penso che sia perché ha una nota rock, e la nota rock coinvolge
talmente che persino gli attori partecipano in modo più attivo.
La musica dunque è veicolo di emotività?
La musica è veicolo forte sia di comunicazione sia di
drammatizzazione: accompagna quello che accade, non solo come
colonna sonora, ma anche come provocazione dell’azione scenica.
Quanto il teatro può essere un mezzo per comunicare emozioni?
Guarda, io dico sempre che ci sono 5 cose che l’uomo continua a
fare in modo immutato da cinquemila anni a questa parte: mangiare,
bere, dormire, procreare e fare teatro. Il teatro è funzione
essenziale della vita dell’uomo. Attraverso questa pratica che
appartiene profondamente alla storia dell’essere umano siamo in
grado, all’interno di un luogo chiuso, senza nessun ausilio
tecnico se non le luci, di costruire mondi, di gestire le emozioni e
di utilizzarle per raccontare delle grandi storie.
Rossella Izzo, che ha curato l’adattamento del testo
shakesperiano, ci ha fornito alcuni suggerimenti per capire dove
risiede l’originalità dell’operazione al testo.
Quanto e come l’emozione è stata trasportata nel suo
adattamento da Shakespeare?
Io non credo di aver cambiato nulla: la scrittura shakespeariana è
talmente alta, talmente perfetta e assoluta che la mia non è stata
altro che una trasposizione attraverso la mia cultura “moderna”.
Penso che Shakespeare ai suoi tempi suonasse altrettanto moderno di
come poi io ho sentito la necessità di tradurlo. Noi, invece, siamo
abitutati a leggerlo in testi tradotti tra l’800 e il ‘900, e
quindi ritengo, con la mia conoscenza dell’inglese, di non aver
fatto altro che rispettare quello che il Bardo aveva nel cuore e
nella scrittura.

Peraltro i momenti lirici sono perfettamente
mantenuti, tant’è vero che ho riportato la rima proprio laddove c’è
nell’originale, cosa che fin’ora non era mai stata fatta. Nella
scena della festa ad esempio l’incontro tra i due ragazzi avviene
all’insegna della rima baciata e finisce con un bacio, esattamente
come nell’originale. Si passa dunque da un approccio assolutamente
moderno, da una “trasposizione” ai nostri giorni, a una
liricità che ritengo vada mantenuta, perché sottolinea il segno di
quella scrittura.
Rispetto ad alcuni personaggi in particolare, come Donna Capuleti
(la madre di Giulietta), che in Shakespeare appare un po' ambigua,
forse più vicina alle severe decisioni paterne piuttosto che alla
giovane figlia, in questo spettacolo viene privilegiato l’asse
della complicità materna verso Giulietta. Come mai questa scelta?
Di nuovo la centralità delle emozioni?
Effettivamente quello è il personaggio che ho cambiato di più in
assoluto. L’ho cambiato come scrittura potrei “scientificamente”,
perché quella donna non poteva, oggi come oggi, avvalersi di
strumenti dei quali noi donne nei secoli ci siamo servite. Ne ho
fatto una donna succube ma non schiava. Succube per paura, come
capita tutt’oggi a molte donne, ma con la limpidezza e la
consapevolezza intellettuale di esserlo.
Quindi Donna Capuleti (interpretata sulla scena da Silvia Brogi,
n.d.a.) subisce con dolore, mentre nel testo Shakesperiano subiva
con dedizione, senza una piena coscienza. Shakespeare stesso, se
dovesse oggi riscriverla, lo farebbe aggiungendole proprio questa
consapevolezza. Lui conosce troppo a fondo l’essere umano.
Gli interpreti:
Myriam Catania, Lorenzo Calducci, Emiliano Reggente, Raffaele
Zanframundo, Silvia Brogi, Maurizio Greco, Beatrice Massetti,
Giuseppe Russo, Silvia Giubbolini, Luigi Romagnoli, Paolo Perinelli,
Sabrina Ruggiero, Alessandro Porcu, Valerio Alessio Stati, Riccardo
Tinniriello, Valerio Fusilli, Vincenzo Guarisco, Maria Silvia De
Sanctis, Francesca mareggiato, Martina Baroni, Agnese Miscioscia,
Valentina Cialini, e con Aldo Masasso nel ruolo del frate.
Costumi Maria Luxardo, Scene Simone Bertugno, aiuto regia Gabriele
Linari, Assistente e movimenti coreografici Paola Fulci.
Lo spettacolo è in scena alla SALAUNO P.zza di Porta S. Giovanni,
10 fino al 16 dicembre, dal mart. al sab. h21.00 dom. 17.30
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