Avventura nel mondo dell'arte
Paola Casella
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Italo Moscati, Prato dell'arte - Un'avventura contemporanea,
Marsilio, 177 pagg. £ 30.000
C'è modo e modo di raccontare un'esperienza professionale. Si può
farlo con pedante dovizia di particolari, con distaccata freddezza
espositiva, magari con il gusto di prendersi piccole rivincite e
pareggiare conti. Italo Moscati, in Prato dell'arte
(Marsilio), lo fa invece con una passione coinvolgente perché priva
di falsi pudori e carica di un entusiasmo a tratti quasi infantile.

Certo, quella che Moscati racconta non è
l'esperienza dell'impiegato di banca o dell'operaio alla catena di
montaggio, ma quella di presidente del Centro d'arte contemporanea
Luigi Pecci di Prato, spazio espositivo ricco - e toscanamente
"vivace" - che ha consacrato molti nomi celebri, come
Gerhard Richter, Yves Klein e Nobuyoshi Araki, ma ha anche
presentato artisti sconosciuti, giovani di talento sui quali il
Centro ha scommesso.
Ma è il modo con il quale Moscati ci racconta i suoi primi tre anni
avanti e indietro fra Roma e Prato a farci sentire il suo incarico
non come una corvèe, o un ennesimo fiore all'occhiello, ma come
un'avventura. Questo scrittore e regista abituato a muoversi con
disinvoltura nel mondo del cinema, entra in quello dell'arte (anche
se non per la prima volta, come si intuisce) con la curiosità del
neofita, e lo racconta con partecipazione totale, come se pensasse
ad alta voce, cercando di capirne le dinamiche interne, di affinare
non solo il sapere estetico ma anche le capacità diplomatiche
indispensabili per gestire la parte burocratica del suo incarico.
E' lo stile narrativo di Prato dell'arte a trasformare
la vicenda di Moscati in una sceneggiatura, i cui passaggi hanno
spesso una cadenza poetica, non solo per la loro
"metrica", ma proprio per l'emozione che li colora, intesa
come capacità di emozionarsi e di conseguenza emozionare chi legge.

Allo stesso modo, non è tanto la vanità
personale quanto la volontà di creare un protagonista che il
lettore voglia seguire a far raccontare a Moscati la sua esperienza
in modo personalissimo, spudoratamente soggettivo: "Sono le
cinque del mattino e non riesco più a dormire", scrive
all'inizio del primo capitolo, descrivendo una notte nell'albergo
che diventerà la sua seconda casa a Prato per la durata del suo
incarico. "(...) l'aria scotta e purtroppo il condizionatore mi
dà fastidio, per cui l'ho spento. Sono senza vestiti". E' un
incipit da film noir, ma anche la descrizione fisica, tangibile
dello stato d'animo con il quale Moscati ha affrontato l'avventura
pratese - ansia, aspettativa, ancora una volta emozione.
Più avanti, l'autore cederà la scena ad artisti più o meno noti,
con una particolare attenzione ai giovani, compresi i suoi studenti
dell'Accademia di Belle Arti, "un miracolo di sopravvivenza:
vivono di luce propria, malgrado l'invasione dei simboli e delle
cose". Tanti piccoli ritratti, anche di amministratori locali,
di procacciatori (di fondi come di talenti), di critici e di
collezionisti. Ci parlerà di mercati d'arte, di idee, di immagini,
ma anche di quello "delle mani, che non ha posto per
tutti", come hanno imparato gli extracomunitari della stazione.
E ci farà visualizzare, attraverso il bianco e nero della pagina
stampata, il blu di Klein come il rosso di Pasolini - sì, c'è
anche lui, in questo breve "romanzo storico" che mescola
spesso arte figurativa e cinema - che "sognava il paese delle
lucciole, l'Italia delle campagne, e sognava la 'tenerezza eroica
d'un'immortale stagione', che si sarebbe estinta invece, davvero,
quando al posto delle lucciole cominciarono a fiorire nelle campagne
le ciminiere delle fabbriche, spazzando via anche gli alberi di
Benigni, con appese le camicie, le giacche, i pantaloni... di
visioni soffocate in vario modo, dal fumo delle ciminiere e dai
falò delle ideologie dal rosso colore".
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