La mozione Morando
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La mozione Morando
"Per salvare i Ds, consolidare l'Ulivo e
costruire un nuovo, unitario partito del riformismo socialista"
dal sito www.dsonline.it

3 Settembre 2001
Introduzione e sintesi
A novembre ci giochiamo il futuro dei Ds, il futuro dell’Ulivo e
la possibilità di tornare al governo
*** Il prossimo congresso dei DS, e comunque le scelte che i DS
faranno entro il prossimo anno, sono decisivi. Molte cose sono in
gioco: l'efficacia dell'opposizione in questa legislatura e la
possibilità di vincere nella prossima sfida per il governo; la
convergenza delle forze provenienti dalle tradizioni socialiste e
non socialiste nella casa comune dei riformisti; la stabilità, la
solidità e la coesione dell'Ulivo, cioè dello strumento politico a
"vocazione maggioritaria" indispensabile per competere in
un sistema bipolare e necessaria alla stessa sinistra per essere
"sinistra di governo". Le scelte dei DS al prossimo
congresso avranno conseguenze su tutti questi piani.
E tocca agli iscritti il coraggio di una scelta: i DS non possono
fare da soli, ma devono aprirsi agli altri riformismi Un grande
rinnovamento politico e culturale
*** Nei DS si raccoglie la parte più consistente delle forze
provenienti dal movimento operaio e socialista ancora attive sulla
scena politica italiana. Una loro crisi definitiva avrebbe effetti
pessimi per la società italiana, per la democrazia, per l'Ulivo.
Oggi questo pericolo esiste. Bisogna reagire. Noi condividiamo con
tutti gli iscritti ai DS e con tutti coloro che partecipano
all'Ulivo questa preoccupazione e sentiamo vivissimo questo impegno.
Ma consideriamo un grave errore l'idea che per salvare i DS si debba
far blocco senza andare troppo per il sottile, si debbano mettere al
bando discussioni e confronti aperti di posizioni, non si debbano
"disturbare" gli iscritti ai quali si dovrebbe offrire
soltanto immagine di compattezza e certezza di comando. Così
facendo, si otterrebbe soltanto di aggravare la crisi. La sorte dei
DS non dipende dalla capacità di cementare le loro forze attuali,
dalla perentorietà con la quale affermano la loro autosufficienza,
ma dalla capacità di aprirsi e di comprendere la importanza del
rapporto con gli altri riformisti, socialisti e non. Le risorse da
attivare, alle quali affidarsi, sono invece la formulazione chiara
delle proposte, la loro discussione approfondita, libera e sincera,
la partecipazione più ampia e consapevole degli iscritti e la loro
condivisione di responsabilità nell'indicare la scelta che
considerano più convincente ed efficace.
L’asfissia della vita democratica interna e la passività alla
quale sono stati indotti gli iscritti -in nome dell'onnipotenza di
un vertice che peraltro non dava chiare e utili indicazioni
politiche- ha avuto pesanti effetti negativi.
Serve più innovazione nella cultura, nell’organizzazione, nella
direzione del partito. Finora è mancata
*** La principale ragione della attuale crisi dei DS è il ritardo,
fino al blocco, del processo di rinnovamento: l'illusione, promossa
dal vertice stesso del partito, che il rinnovamento si potesse
considerare concluso subito dopo la svolta dell'89 e che il
mantenerlo aperto risultasse addirittura dannoso. Non ci riferiamo
qui alla capacità di cogliere le novità nella realtà sociale, di
collegarsi ad esse, di innovare in conseguenza le politiche di
riforma. C'è stato anche questo ritardo e ha pesato. Ma decisivo è
stato il mancato compimento dell'innovazione nella cultura,
nell'organizzazione, nel modo di far vivere e dirigere il partito.
Molte volte abbiamo verificato che novità programmatiche
significative, pur elaborate e proposte, sono cadute o sono state
accantonate perché in contrasto con modi consuetudinari di pensare
e di comportarsi, ancora non superati.
Nonostante tutto, malgrado i ripetuti richiami alla
"socialdemocrazia" e anche ad auspicate "rivoluzioni
liberali", nei DS come nel Paese la sinistra viene ancora
largamente identificata con il modello rappresentato per mezzo
secolo dal PCI. Ci riferiamo al fondamento classista e alla
ispirazione marxista; e, ancor più, a una cultura politica
improntata sì alla "responsabilità" democratica e
nazionale, ma soprattutto -e nello stesso tempo- orgogliosa della
propria "diversità", tipica di una forza che sacrificava
l'alternativa di governo al vagheggiamento di un'alternativa di
sistema mai del tutto rifiutata; a moduli organizzativi e di
direzione, questi sì di stampo comunista, basati su una concezione
"organica" del partito e sul centralismo democratico, che
è innanzitutto una idea del governo del partito affidato per
definizione ad un "centro" addetto alla sintesi e
all'unificazione delle tendenze di "destra" e di
"sinistra", necessariamente "parziali", quando
non "devianti".
A dieci anni di distanza si deve prendere atto e dichiarare
apertamente che l'occasione di rinnovamento offerta con la
"svolta della Bolognina" non è stata interamente colta,
non ha prodotto tutti gli effetti necessari, vuoi per le debolezze e
le parzialità in essa presenti fin dall'inizio, vuoi per la fretta
restauratrice degli anni successivi.
La crisi del vecchio sistema politico reclamava innovazione della
sinistra e del sindacato. Ma la prima si è fermata e l’unità
sindacale è addirittura regredita
*** Il ritardo nella necessaria innovazione della sinistra è stato
accentuato da quanto è avvenuto, o non è avvenuto, fuori e intorno
ai DS. Gli altri raggruppamenti della sinistra hanno anch'essi
vissuto un periodo di travaglio e difficoltà, e non hanno comunque
superato i limiti imposti dalla loro piccola dimensione. Il collasso
del PSI e la diaspora socialista che ne è conseguita non sono stati
contraddetti da significativi processi di riaggregazione, nonostante
l'impegno generoso e la parabola apprezzabile dello SDI. Il
definirsi di varie forze e strutture di sinistra cattolica, come i
nuovi orientamenti maturati nel riformismo democratico laico,
repubblicano, liberal-democratico non hanno ancora prodotto nuovi
soggetti, sufficientemente stabili e adeguatamente motivati e
fondati.
Le grandi organizzazioni sindacali, pur investite dai processi
politici scaturiti dalla fine del vecchio sistema politico, hanno
mirato soprattutto a tenersene al riparo, come fosse possibile un
mutamento generale degli strumenti, degli istituti e delle forme
della politica, del rapporto fra cittadini e politica, senza che i
sindacati stessi fossero chiamati alla prova di un loro cambiamento.
Cosicché non ha fatto passi avanti l'unità sindacale e le
divisioni fra le organizzazioni si sono anzi appesantite e
irrigidite in una logica di "apparati". Il sindacato nel
suo insieme appare bloccato entro le logiche tradizionali
dell'industrialismo; capace di collegarsi solo con i settori
stabilizzati delle imprese medio-grandi, ai quali si aggiungono
dipendenti pubblici e pensionati. Nelle zone del mercato del lavoro
più dinamiche e precarie, frequentate dai giovani e, più in
generale, presso ampi settori dell'opinione pubblica, ne deriva
un'immagine conservatrice del sindacato, che conferma e sottolinea
un'analoga immagine che investe l'intera sinistra.
Il lavoro innanzitutto. Certo. Ma non basta più affidarsi alla sola
“centralità” del lavoro
*** L'incompiuto rinnovamento segna anche l'analisi della società,
il rapporto con le sue trasformazioni, con le sue novità. Il modo
di pensare largamente presente nei DS e gli strumenti disponibili
continuano ad essere quelli di sempre. Ci si affida ad un'ottica
"lavoristica" di carattere generico, più suggestiva che
definita. Più il trascinamento di una gloriosa tradizione che il
nucleo di una nuova analisi della società. Beninteso: il valore del
lavoro come fondamento dell’ispirazione politica e prima ancora
etica della sinistra, non è solo un sacrosanto richiamo alla parte
più nobile di una lunga storia; mantiene pieno significato per il
presente e per il futuro. Mette infatti in primo piano l'importanza
dell’aspirazione individuale a realizzarsi, secondo la vocazione
personale; dell’operosità come fondamento della vita sociale
rispetto al parassitismo e alla passività sociale; dell’assunzione
di responsabilità implicita in ogni attività di lavoro.
Il lavoro è anche, naturalmente, un fenomeno economico e
sociologico. Ma la sinistra compirebbe un errore se si affidasse
alla cosiddetta "centralità" o "funzione
sociale" del lavoro, come se lì ci fosse l'alfa e l'omega
dell'ancoraggio sociale, il punto di appoggio della leva che
consente la "critica generale" della società e delle
diverse "condizioni sociali" che in essa si ritrovano. C’è
qui l'eco, per quanto negata, di una concezione "di
classe" della sinistra, ancora ferma all'idea che il momento
della produzione di beni sia quello davvero decisivo per la
caratterizzazione della società, per la determinazione della
condizione sociale.
Siamo per una sinistra che parta dall’individuo. Mettiamo al
centro la “condizione sociale”: qualità del lavoro, relazioni
interpersonali, fra uomo e donna, ambiente, consumi, tempo libero
***La condizione sociale oggi non viene afferrata se ci si limita ai
problemi della persona lavoratrice. Le persone sentono che la loro
vita, e la qualità che essa assume, dipendono altrettanto da altre
sfere che hanno acquistato e acquistano peso crescente: l'accesso
alle informazioni e alle conoscenze, che è decisivo in tutti gli
aspetti del vivere e in tutte le relazioni fra le persone; le
gerarchie e le scelte del consumo; la situazione e i problemi dell’ambiente
fisico; i rapporti con le burocrazie e gli apparati amministrativi;
la qualità delle relazioni tra uomini e donne; l'organizzazione e
le finalità del tempo libero.
Le persone cercano una sinistra capace di misurarsi su tutto l'arco
di questi problemi, di fornire obiettivi e soluzioni su tutti gli
aspetti della loro condizione sociale, di predisporre le occasioni e
gli strumenti per una azione politica che afferri tutto questo
orizzonte. A questo fine gli strumenti tradizionali di una
"sinistra di classe" non sono sufficienti; non consentono
di mettere a fuoco i problemi, di elaborare soluzioni efficaci. La
sinistra classista, ad esempio, ha sempre avuto difficoltà nell’incorporare
nel proprio universo ideologico le domande delle donne, anche quelle
che riguardavano il lavoro. Una sinistra liberale, una sinistra che
parte dall’individuo, queste difficoltà non le ha proprio: il
riconoscimento della differenza è iscritto nel suo codice genetico.
Su questo punto pensiamo esattamente l'opposto di quanto sostengono
altri nei DS. Una sinistra che si affidi alla sua ottica
tradizionale, "classista" e "lavorista", non
accentua oggi la sua capacità critica nei confronti della società,
né rende più robusto il suo riformismo; produce invece una critica
e un riformismo poveri. La forza stessa del riformismo dipende dalla
apertura ad altre tradizioni, ad altre culture. Esse forniscono
elementi indispensabili non solo per il fondamento delle libertà ma
anche per comprendere tanti problemi delle persone, per intervenire
su aspetti essenziali della loro vita, per aiutarle a migliorarli.
Per questo consideriamo essenziale l'assunzione dei principi e degli
strumenti del liberalsocialismo anche ai fini di una più efficace
critica della odierna condizione sociale. Come consideriamo
importantissimo l'apporto delle culture personalistiche e
comunitarie di ispirazione religiosa che consentono di trarre dalle
relazioni e dalle comunità in cui ciascuno è concretamente immerso
- a cominciare dalla famiglia - risorse decisive per migliorare la
vita delle persone e il livello della civiltà sociale.
Vanno decisi due processi politici (distinti, ma uno condizione dell’
altro): aggregazione delle forze riformiste socialiste (progetto
Amato) e consoli-damento dell’UlivoLa prospettiva politica
*** Noi vogliamo così dare saldezza, fiducia e prospettiva alle
forze che sono oggi nei DS; in particolare a quelle che, provenendo
dal PCI, attraverso la svolta di dieci anni fa, hanno voluto
approdare alla sponda della sinistra di governo. Siamo convinti che,
per farlo, è necessario che queste forze, con il loro prossimo
congresso, decidano di coinvolgersi pienamente in due processi
politici distinti ma non separabili uno dall'altro, perché uno è
condizione dell'altro.
I DS devono unirsi nell'Ulivo a tutte le altre forze del riformismo.
L'Ulivo è l'alleanza per il governo del Paese: il soggetto politico
portatore della "vocazione maggioritaria", della capacità
di competere per il governo; è la dimensione indispensabile che
consente di essere forze di governo a tutte quelle che ne fanno
parte.
Anche per irrobustire l'Ulivo, i DS devono in particolare
contribuire alla raccolta delle forze riformiste di origine
socialista, compiendo un atto esplicito che affermi - con una nuova
discontinuità - la pari dignità delle forze che non provengono dal
PCI anche nella formazione e nella scelta della leadership. Questo
atto consiste, a nostro avviso, nel sostenere il progetto proposto
da Giuliano Amato e nel proporne una leadership coerente ad esso. L’aggregazione
delle forze riformiste di origine socialista deve essere
contemporanea e contestuale al consolidamento dell'Ulivo, alla sua
strutturazione democratica e organizzativa, con procedure e istanze
comuni chiaramente definite.
La nostra proposta si può così riassumere: usare le energie e le
risorse dei DS per una grande iniziativa di unità. Vogliamo
promuovere la raccolta di tutte le forze del riformismo di
ispirazione socialista e dare stabilità, consistenza e coerenza
all'Ulivo; vogliamo unire nell'Ulivo tutte le forze riformiste
alternative alla destra, per fare dell'Ulivo la casa comune di tutti
i riformisti e di tutti i riformismi.
Questa è la strada che noi indichiamo per "salvare i DS",
per dare a tutti noi che ne facciamo parte convinzione e slancio,
necessari non solo a noi, ma alla forza dell'opposizione oggi, alle
possibilità di vittoria dell'Ulivo in un domani vicino. Vogliamo
con tutte le nostre forze "salvare i DS" perché vogliamo
una sinistra nuova, incisiva e vincente al servizio dell'Italia che
amiamo. Pensiamo, e lo diciamo senza reticenza o doppiezza, che i DS
si salvano se non pretendono, se non si illudono di poterlo fare da
soli, se evitano il pericolo mortale dell'autosufficienza. I DS sono
indispensabili per la vitalità e la forza degli altri con i quali
si uniscono. Gli altri sono indispensabili a noi per vivere la
politica come grande impegno nazionale e internazionale e non come
testimonianza minoritaria e triste.
Il deludente risultato elettorale dei DS - identico a quello
ottenuto nel 1992, subito dopo la nascita del PDS - chiude un ciclo
politico: la svolta dell’89 ha sottratto le forze migliori del PCI
al crollo del socialismo reale e ha dato luogo alla formazione di un
partito che è stato protagonista della transizione ad una
democrazia dell’alternanza. La gestione del partito nel decennio
non è tuttavia riuscita a far nascere in Italia un partito che non
fosse e non venisse percepito come partito ex comunista, ma avesse
una cultura politica, un programma e una leadership tali da
consentirgli di svolgere la stessa funzione politica che svolgono in
Europa i partiti del PSE.
In particolare, non c'è stata rottura di continuità rispetto al
governo del partito da parte del "centro" dell'ex PCI,
così che il nuovo partito è risultato incapace di cogliere e
riassumere in sé la pluralità delle diverse tradizioni della
sinistra. Anche a Firenze, in occasione della nascita dei DS, ha
preteso di procedere per cooptazione dall’alto. Per recuperare il
terreno perduto, non è oggi sufficiente quello che -affermato e
praticato quindici anni fa- forse lo sarebbe stato; cioè affermare
che il principale partito della sinistra italiana è membro dell’Internazionale
Socialista. Che è un partito socialdemocratico. Pesa la continuità
di una cultura della "diversità" che non accetta
l'approdo del socialismo liberale.
E’ l'incontro tra socialismo e liberalismo che consente ai grandi
partiti del socialismo europeo di ridefinire la propria funzione, i
tratti essenziali del proprio programma: il rapporto tra Stato e
mercato, l’organizzazione dello stato sociale, le relazioni con i
sindacati. Più in generale: il rapporto tra politica, singoli
cittadini e società civile.
Molti sostengono che la sinistra non può essere liberale senza
snaturarsi. Se questa è una convinzione diffusa, la sua conseguenza
è inevitabile: che in questi anni di governo la sinistra ha fatto
una politica che non è la sua; che si è acconciata a portarla
avanti, se non per cedimento alle ragioni degli avversari, per senso
di responsabilità nazionale o per condizionamenti internazionali.
Questa è una contraddizione grave, che il congresso dei DS deve
affrontare di petto, poiché è il motivo principale dell'attuale
condizione del partito. Un partito che da un lato vanta, in modo
ripetitivo e poco convinto, cinque anni di buon governo; dall'altro,
nel profondo, vive la politica condotta in questi anni come una
politica non propria, come una serie di oboli pagati ad altri, alla
U.E., alla Nato, alla Confindustria, ai partiti alleati. Un partito
di sinistra non può vivere a lungo in questa condizione di
ambiguità, in cui i suoi leader l'hanno tenuto o perché loro
stessi erano confusi e incerti, o perché temevano le conseguenze
della verità, dello scontro aperto. Il nodo va dunque sciolto,
anche dividendosi, come ci si è divisi senza alcuna spaccatura
irreparabile nella S.P.D. quando Schroeder e Lafontaine si sono
scontrati; e in molti altri partiti della sinistra in Europa.
Il partito
Più potere agli iscritti vuol dire: più democrazia, più
responsabilità, riforma federale del partito, referendum, più
risorse femminili. E basta con le diarchie!
*** Noi vogliamo che il partito, come tutte le sedi attraverso le
quali si esprime l'impegno politico nostro e di tutti quanti con noi
sono uniti nell'alleanza per il governo, esaltino la responsabilità
e il potere degli aderenti, di tutti coloro che hanno il diritto di
prendere parte alla definizione delle decisioni, si tratti di un
punto di programma o della scelta di una persona; per qualunque
ruolo, dal più delimitato al più impegnativo.
Pensiamo che i difetti oggi esistenti, anche nell'impianto
statutario, vadano rimossi non concentrando i poteri in modo
centralistico o burocratico, ma disciplinando ed equilibrando meglio
l'esercizio del potere diffuso e "universale", senza il
quale la democrazia si restringe e deperisce. Così, ad esempio, non
pensiamo che si debba tornare indietro rispetto alla scelta del
segretario da parte della generalità degli iscritti. Può tuttavia
essere utile a equilibrare il potere di quel segretario e a rendere
trasparente la formazione della maggioranza che ha il compito e la
responsabilità di guidare il partito per un determinato periodo, la
presentazione e la votazione in congresso della segreteria che
affiancherà e coadiuverà il segretario. Assumeremo a tal fine le
iniziative di modifica dello statuto previste dalle norme vigenti.
C'è bisogno di una piena corrispondenza tra la qualità dei fini
che il partito si prefigge e la qualità dei mezzi impiegati (regole
per la decisione, verifica delle responsabilità). L'asfissia
democratica che ha afflitto la vita dei DS ha indebolito l'ipotesi
di strutturazione delle funzioni dirigenti sulla democrazia di
mandato: essa può essere rilanciata solo in un più equilibrato
contesto di pesi e contrappesi, dando finalmente attuazione alle
norme statutarie relative alla riforma federale del partito; a
quelle relative alle consultazioni referendarie tra gli iscritti
(usate solo per un referendum sul nuovo simbolo, in partenza
svuotato di significato); a quelle relative al partito-federazione
di componenti politico-culturali (Associazioni, circoli, ecc…); a
quelle -recentemente riproposte da un documento del Coordinamento
nazionale delle donne DS - relative all'equilibrata presenza dei due
sessi negli organismi dirigenti. Condizione indispensabile per il
realizzarsi di questa compiuta riforma della struttura e dei metodi
di gestione del partito è il pieno superamento di qualsiasi forma
di direzione diarchica del partito stesso; e comunque di assetti di
direzione che non consentano una puntuale applicazione del principio
di responsabilità.
Una politica padrona di sé padroneggia le proprie risorse… ci
vuole più trasparenza sul debito accumulato dai DS
*** Siamo convintissimi assertori della piena laicità della
politica; consapevoli non solo dei limiti che la politica ha per sua
natura, ma anche di quelli che è bene ponga a sé stessa. Di
conseguenza, pensiamo si debbano affrontare apertamente questioni
che, secondo criteri consuetudinari, si è propensi a non trattare
in pubblico e ad affidare a sedi "riservate". Pensiamo che
la riforma della politica, l'avvio di una idea nuova di politica,
imponga sempre e comunque la massima trasparenza. Siamo perciò
convinti che anche le questioni più "delicate" - a
cominciare da quelle che riguardano il reperimento e la
disponibilità delle risorse finanziarie necessarie allo svolgimento
delle attività politiche - debbano essere affrontate dalla
generalità degli aderenti e che anche le scelte in questo campo
debbano coinvolgere la loro responsabilità. Occorre una soluzione
adeguata finanziariamente e politicamente per l’estinzione del
debito del partito. Una soluzione che non sarà mai definita se non
sarà finalmente detto chiaramente ad ogni iscritto ed elettore del
partito che le dimensioni raggiunte dal debito sono tali da
costituire un vero e proprio limite allo sviluppo della funzione
democratica del partito stesso. Una buona politica deve consentire a
qualunque cittadino di sapere da dove essa trae le risorse di cui ha
bisogno. Una politica padrona di sé deve essere padrona delle
proprie risorse.
Sobrietà, coerenza, disponibilità ad ascoltare: non sono solo
questioni di “stile” per i dirigenti del nostro partito
*** La piena laicizzazione della politica, cioè la sua
emancipazione da costrizioni ideologiche e da controlli di apparati
pone anche il problema dei comportamenti, dello stile dell'azione e
della comunicazione da parte degli aderenti e in particolare dei
dirigenti, di tutti coloro che hanno cariche e responsabilità
pubbliche in nome della sinistra e dell'alleanza alla quale la
sinistra partecipa. In passato la "correttezza" che
diveniva talvolta "conformismo" era in un certo senso
imposta, veniva all'individuo dall'esterno: si trattava di prenderne
atto e di applicarla. Oggi non è più così; ed è un bene, è un
segno di emancipazione. Ma proprio per questo, le persone - tutte e
in misura proporzionale al loro ruolo, alla loro visibilità - sono
chiamate a trovare in sé stesse la giusta misura degli atti e delle
parole, e non solo nell'esercizio delle funzioni politiche, ma in
ogni circostanza. La società nella quale viviamo, con l'attenzione
crescente alle persone, con la diffusione, anzi l'invadenza, dei
mezzi di informazione, rende rilevanti anche messaggi involontari e
che scaturiscono da ambiti che con la politica non hanno a che fare.
Si è, nella sostanza, giudicati per un modo di essere, di agire, di
apparire complessivo; e spesso il giudizio si trasferisce dalle
persone - tanto più quanto più sono autorevoli e rappresentative -
alla parte politica nella quale stanno. La sobrietà, la coerenza,
la disponibilità all'ascolto, la capacità di evitare
manifestazioni di sufficienza e di arroganza sono beni che - in
genere - i cittadini apprezzano in chi ha funzioni politiche e si
attendono in particolare da chi si colloca a sinistra. Senza
moralismi e burocratismi dobbiamo sapere che la costruzione di
questa immagine sociale dipende dai comportamenti individuali di
tutti e chiama dunque in causa la responsabilità di ciascuno. Certo
è che una sinistra che coltiva e trasmette questa immagine è più
gradita, è sentita più vicina.
Il nostro contributo all’unità del partito: una piattaforma
omogenea ai tempi, senza bisogno di preamboli
*** L’obiettivo della nostra mozione è di dispiegare di fronte a
tutto il partito il nucleo cruciale dei problemi che la sinistra
deve affrontare: senza i vuoti, le dimenticanze, le contraddizioni,
e qualche tratto demagogico, che riscontriamo in altri documenti.
Non vogliamo fissare dentro il partito nuovi steccati o rinsaldare i
vecchi; al contrario, invitiamo tutti a uscire da vecchi recinti per
ritrovarsi su una piattaforma fatta di cultura politica omogenea ai
tempi e di iniziative politiche precise e pienamente coerenti.
Questa mozione mira ad affrontare con spirito aperto il rinnovamento
delle strutture del partito, a consolidare una sinistra di governo
che permetta all’Ulivo di riconquistare la maggioranza. Il nostro
sincero contributo alla unità del partito è tutto qui. Non
riteniamo utile nessuna ulteriore protesi, nessun preambolo
burocraticamente tranquillizzante. Il processo di unità è lungo e
impegnativo; non si può chiudere con dichiarazione affrettate,
generiche e di compromesso. Non è una premessa. E' un esito.
Subito il processo costituente di un nuovo partito del riformismo
socialista europeo… un Congresso ponte verso il futuro
*** Non chiediamo al prossimo congresso conclusioni “provvisorie”.
Proponiamo di assumere la decisione di partecipare al processo
costituente di un moderno partito del riformismo socialista europeo,
non più "ex qualcosa".
La costituzione di questo nuovo partito -se vuole risultare
credibile agli occhi di milioni di elettori che vivono
drammaticamente la crisi della sinistra italiana e il suo apparente
avvitarsi in divisioni e recriminazioni tutte dominate dal passato-
dovrebbe avviarsi subito dopo il Congresso dei DS e concludersi
entro l’estate del 2002: la chiarezza e la tempestività delle
decisioni sono condizioni indispensabili per il successo. In questo
senso, noi ribadiamo l’esigenza che il Congresso dei DS sia “ponte”
verso il futuro, dell’Ulivo e del partito unitario della sinistra
riformista.
Ciò vale anche per la leadership del partito dei DS: la grande
legittimazione che deriva al segretario della elezione diretta da
parte degli iscritti garantisce contro ogni forma di provvisorietà
e precarietà, ma proprio per questo reclama il superamento - di
fronte agli iscritti, in piena trasparenza - di ogni ambiguità in
tema di direzione “duale” del partito. Gli iscritti votano ed
eleggono, al Congresso, un segretario con le funzioni di alta
direzione e responsabilità previste dallo statuto; non un
segretario e un leader nella veste del Presidente. La
"diarchia" ha prodotto danni molto pesanti negli ultimi
anni. Non crediamo per i "caratteri" delle due
personalità che l'hanno interpretata, ma per ragioni intrinseche.
Innanzitutto per questo siamo contrari alla elezione di un
Presidente nel prossimo Congresso DS. E anche perché siamo convinti
che sia giusto e utile riservare la designazione di un presidente al
nuovo partito che bisogna costituire; nel quale, se i DS decideranno
di confluire, non potranno certo dirsi cooptati.
I voti raccolti da questa mozione andranno a sostegno della
candidatura di Enrico Morando a segretario dei DS.
I ritardi e gli errori politici che ci hanno condotto alla sconfitta
elettorale e all'attuale crisi.
Crollo del comunismo, fine della prima Repub-blica: ripartire da
lì, per capire meglio limiti ed errori
*** La svolta che segnò la fine del PCI e la nascita del PDS doveva
segnare l'inizio di un lavoro lungo e severo. E' invece prevalsa la
fretta di dichiarare concluso il processo di transizione ad una
sinistra nuova. C’è stata la cancellazione dall'ordine del giorno
di questioni decisive, che sono rimaste non chiarite e non risolte.
In particolare sono restati fuori dall'attenzione due eventi di
portata storica: il crollo del comunismo, con la conseguente fine
dell'assetto bipolare del mondo; la dissoluzione in Italia del
sistema dei partiti e del sistema politico che aveva preso corpo con
l’ instaurazione della Repubblica democratica, anch'esso peraltro
intimamente connesso con la collocazione geopolitica del nostro
Paese.
Risultato: non si è capita la portata dell’Euro e si è frainteso
il senso della nostra parteci-pazione con la Nato nei Balcani
La sinistra e il governo: risanamento, sicurezza internazionale,
Europa
*** Un primo effetto negativo è stata la scarsa comprensione, quasi
la estraneità, verso atti e risultati fra i più rilevanti compiuti
dai governi della tredicesima legislatura. Lo si è visto
innanzitutto con l'ingresso dell'Italia nel gruppo di testa
dell'Euro: un obiettivo difficilissimo, ma soprattutto
straordinario. Una grandissima riforma, non solo per lo spostamento
di risorse economiche dalle rendite agli impieghi produttivi, ma
soprattutto perché colloca l'Italia all’avanguardia nel cercare e
trovare soluzioni agli inediti, stringenti problemi della sovranità
sovranazionale in Europa, capitolo essenziale per disegnare una
nuova ipotesi di equilibrio, di cooperazione e di governo
democratico del mondo. Il raggiungimento di quel risultato non è
stato vissuto come il più grande traguardo di una nuova politica
riformista, ma quasi come un passaggio politicamente neutro; come il
primo tempo, quello del "risanamento", rispetto al
secondo, quello delle riforme davvero proprie della sinistra. Il
varco politico e culturale del quale ha potuto servirsi Bertinotti
per affondare il governo dell'Ulivo è stato esattamente questo.
Anche un altro importante passaggio, la consistente e impegnativa
partecipazione all'intervento militare NATO nei Balcani, è stata
vissuta nei DS in modo diviso: da alcuni come un’abdicazione ai
valori e ai principi pacifisti della sinistra; da altri come una
prova da sostenere, se non un rospo da ingoiare, per dimostrare la
raggiunta "maturità governativa"; da ben pochi come la
partecipazione ad un atto di giustizia internazionale. Il problema
vero -l’organizzazione e la garanzia della sicurezza nel mondo
dopo la fine dell'assetto bipolare- non ha raggiunto il grosso del
partito.
Misuriamo adesso tutto il peso di questi ritardi. Una parte della
sinistra, e anche dei DS, considera quello dell'Europa e quello
della sicurezza obblighi che possono, al più, essere subiti quando
si sta al governo; ma, in sé, dimensioni estranee alla sinistra
stessa. Al contrario, proprio oggi si dovrebbero valorizzare al
massimo e sviluppare tanto l'orizzonte dell'Europa quanto quello
della sicurezza, grandi questioni aperte sulle quali la maggioranza
e il governo attuali sono muti.
Per noi l’Europa unita è un riferimento strategico. Per la destra
che ci governa, è il punto debole
Destra e Sinistra di fronte all’Europa
*** L'Europa è il vero punto debole del blocco che oggi governa:
sia per divaricazioni di culture e di strategie politiche fra le
diverse forze che lo compongono, sia perché le politiche economiche
e sociali, e probabilmente anche quelle istituzionali alle quali il
governo Berlusconi tende, collidono con gli impegni europei e con le
tendenze prevalenti in Europa. Per non dire della disinvoltura con
cui si trattano questioni come il conflitto di interesse e il falso
in bilancio, che isolano l'Italia dal senso e dal costume comuni
della pubblica opinione europea.
La politica della sicurezza non può essere sostenuta interamente
dalla NATO, né delegata agli USA che hanno i loro interessi e i
loro punti di vista, non necessariamente coincidenti con quelli di
altri attori o con quelli medi della comunità mondiale. La fine
dell'assetto bipolare propone con assoluta evidenza la necessità di
pensare e costruire un nuovo sistema di equilibri, di
corresponsabilità, di governo mondiale. Con altrettanta evidenza,
questo sistema non può reggersi sul solo pilastro statunitense, per
quanto forte esso sia. All'indomani del crollo del blocco sovietico
sembrava che questa consapevolezza fosse molto diffusa. Ma è andata
via via oscurandosi e oggi non sono pochi - chi auspicandola, chi
temendola - quelli che ritengono possibile l'assunzione da parte
degli USA dell'insieme delle "funzioni globali". Nessuna
ipotesi di assetto equilibrato e sicuro del mondo può ovviamente
prescindere dagli USA e dalle sue risorse, a cominciare da quelle
concernenti le libertà e la democrazia; ma se gli USA pretendessero
di esercitare da soli le "funzioni globali" -o se lo
credessero possibile gli altri- ci troveremmo di fronte non a un
nuovo "governo mondiale" ma ad un "unilateralismo
egemonico", foriero più di tensioni che di sicurezza.
L'agglomerato delle destre che nel PPE si addensa non si sa quale
idea abbia dell'Europa, come voglia collocarla rispetto agli USA,
come e fin dove voglia estenderla ad Est, se e fino a che punto
pensi di farle assumere specifiche e proprie responsabilità nel
campo della sicurezza e lungo quali direttrici e con quali
motivazioni geopolitiche, se e quanto sinceramente accetti i vincoli
della moneta unica e delle relative convergenze, per non dire delle
non ancora definite eppure necessarie politiche sociali; vincoli che
stridono con sbrigativi approcci liberistici e attribuiscono un peso
grande alle decisioni assunte in sede politica. La destra, dunque,
non appare a suo agio di fronte alle scelte e alle prospettive
legate all'unità dell'Europa. La sinistra, ovviamente non solo per
questa ragione, deve assumere con la massima determinazione e
coerenza l'idea dell'Europa unita, come punto di riferimento
strategico di lungo periodo: perché ne dipende la possibilità di
immaginare e costruire un nuovo equilibrio, condiviso e democratico,
che consenta un accettabile governo del mondo; perché consente di
innovare e consolidare la democrazia e le sue istituzioni; perché
l'Europa è l'ambito storico, politico e culturale nel quale da più
tempo e con più impegno (purtroppo anche a prezzo di grandi
tragedie) si ricerca l'equilibrio e l'integrazione fra la libertà e
l'eguaglianza, che costituisce la ragion d'essere stessa della
sinistra.
Davanti alla globalizzazione non ci si lascia incantare dal mito del
mondo schiavo delle “forze di mercato”. La sinistra progetta le
forme del governo della globalizzazione
La globalizzazione
*** Dopo il crollo del comunismo, e a seguito di processi che, sulla
base della diffusione dell'informatica ed altre innovazioni
tecniche, investono insieme alla comunicazione anche la produzione,
i servizi e soprattutto la finanza, è in atto quella grandiosa
riorganizzazione e redistribuzione di poteri che va sotto il nome di
globalizzazione. Tutte le istituzioni della democrazia sono
sottoposte ad una fortissima tensione, poiché la politica fatica ad
assumere quelle dimensioni globali che sole possono consentirle di
corrispondere alla globalizzazione economico-finanziaria in atto.
Tuttavia, l’atteggiamento della sinistra tradizionale nei
confronti della globalizzazione è sbagliato. Sbagliato non solo
nelle conclusioni, perché ne esaspera i pericoli e gli aspetti
negativi, che indubbiamente ci sono, a discapito delle occasioni e
degli aspetti positivi. E’ sbagliato nell’analisi,
rappresentando il mondo globalizzato in cui viviamo come schiavo
delle “multinazionali” o delle “forze di mercato”, soggetti
impersonali inafferrabili dalla politica e che dominano dall’esterno
una dimensione democratica che sarebbe tutta confinata negli stati
nazionali. Ma le “forze di mercato” e le “multinazionali”
fanno il bello e il cattivo tempo anche perché gli Stati Uniti ed i
principali paesi industrializzati vogliono che lo facciano. E lo
vogliono perché in questi paesi prevalgono (democraticamente!)
governi che condividono un’analisi e sposano interessi secondo i
quali una libera circolazione dei capitali è preferibile ad una
architettura internazionale di controlli incisivi. Questa è la
visione (e gli interessi) che hanno vinto con Reagan e la Thatcher e
che le sinistre non sono riuscite sinora a sconfiggere. Quando ci
riusciranno -soprattutto nei principali paesi, negli Stati Uniti,
nell’Unione Europea, in Giappone- potranno costruirsi forme di
governo internazionali che limitino la propensione alla crisi di una
globalizzazione senza controlli e consentano interventi più
efficaci in quelle aree del mondo dove si concentra la maggior
miseria. Prendersela con il potere delle “forze di mercato” e l’impotenza
degli stati nazionali e della democrazia è una grande scusa per
giustificare le passate sconfitte e l’attuale mancanza di idee
forti: se la sinistra ha idee chiare, se queste idee sono condivise,
se queste sinistre con idee forti e condivise vincono
democraticamente in un numero sufficiente di grandi paesi, si
possono introdurre tutti i controlli e creare tutte le istituzioni
internazionali necessarie a godere dei vantaggi della
globalizzazione e a controllarne le conseguenze più negative.
Questo va ribadito anche perché non sono assenti segnali - non di
rado a sinistra - che si possa giungere a considerare la democrazia
qualcosa di inutile, se non un impaccio per raggiungere risultati
considerati giusti e urgenti. Sicuramente la democrazia è chiamata
a una nuova prova il cui esito non è scontato in partenza. La prova
può e deve essere vinta eliminando le attuali aree di impotenza
della democrazia, ricercando e costruendo gli strumenti di cui la
democrazia ha bisogno per esercitare pienamente la sua efficacia
nelle nuove condizioni che si sono create.
C’è di nuovo bisogno di dirlo: siamo incompatibili con la
violenza
*** Deriva da qui la necessità che la sinistra riprenda oggi e
motivi di nuovo una posizione nettissima sulla violenza: sull'uso,
la tolleranza, la giustificazione, l’indifferenza di fronte alla
violenza. La violenza, oggi, oltre a ricadere sotto censure umane e
morali, di principio, sempre valide, esprime l'indifferenza o il
rifiuto verso la "questione democratica"; segnala la
disponibilità a disancorare l'azione, le prospettive, le sorti
della sinistra dalla democrazia. Noi affidiamo tutto alla
democrazia, al suo aggiornamento, al suo potenziamento. Siamo, di
conseguenza, incompatibili con la violenza quando sono garantite le
condizioni per una lotta democratica. Su questo punto - come tutti i
riformisti devono - saremo netti, motivati, senza alcuna incertezza
o oscillazione.
La lezione di Genova: prendere sul serio le ragioni dell’indi-gnazione
di tanti giovani e rafforzare la politica del fare
*** I fatti di Genova durante il vertice del G8 forniscono in
proposito ampia materia di riflessione. Le posizioni e le iniziative
dei DS sono state segnate da incertezze e contraddizioni, le cui
cause politiche e culturali stanno - a nostro avviso - in quanto
abbiamo detto fin qui. In particolare, è sembrato che la sinistra
quando è al governo organizza il G8 e, quando è all'opposizione,
manifesta contro. Inoltre, non si è adeguatamente considerata la
natura molto differenziata del movimento "antiglobalizzazione",
di un sentire molto diffuso di estraneità verso "la
politica" così come noi la interpretiamo.
Noi dobbiamo tenere nel giusto conto questa posizione di
estraneità, non possiamo comportarci come non esistesse. Tra
l'indignazione morale che muove tanti ragazzi e ragazze e le
risposte "realistiche" che la politica può fornire i
ponti esistono, ma non sono né evidenti né automatici. La sinistra
deve rafforzarli. E se non saremo in grado di farlo, la violenza
stessa degli slogan, la contestazione radicale di un fenomeno
storico considerato come un male assoluto, la concezione stessa che
l’infrazione della legge è legittima anche in uno stato
democratico quando è motivata da dissenso politico o morale,
porteranno una parte del movimento a posizioni eversive, comunque
non democratiche.
Il modo di rafforzare i ponti non può essere quello di abbandonare
il ruolo di politici riformisti e realisti, per "stare nel
movimento". È quello di prendere sul serio le ragioni
dell'indignazione e collegarsi ai pochi obiettivi che alcune parti
del movimento esprimono. E partire da questi (norme per la
regolazione della circolazione di capitali speculativi, remissione
del debito, aumento degli aiuti internazionali, effettiva apertura
dei mercati dei paesi più forti ai prodotti di quelli dei paesi
più poveri), senza cedere di un centimetro rispetto alle obiezioni
serie di realismo e di fattibilità.
Il giudizio sulla crisi politica 1989-94
La crisi politica ’89-’94 ha rotto i ponti col passato. Non è
reversibile. Una parte dei DS si è illusa che lo fosse. Questo fa
capire dove si è sbagliato in Bicame-rale e le ragioni del mancato
impegno nel referendum del ‘99
*** L'altro punto archiviato in modo frettoloso e superficiale è la
"grande crisi politica" degli anni 89-94. Solo da una
lettura condivisa di quel periodo è possibile far scaturire un
nuovo senso di appartenenza nazionale e trovare fondamenti di
legittimazione alle nuove istituzioni (ancora largamente da
definire) e ai nuovi soggetti politici che si sono aggregati, ma
fanno fatica a motivarsi in modo positivo e convincente di fronte a
sé stessi e di fronte agli italiani.
E' rimasto aperto un interrogativo essenziale per fissare una linea
di condotta, per dare certezza ai militanti e alla pubblica
opinione. Si trattava di una crisi che, per quanto profonda, avrebbe
potuto essere reversibile, consentire cioè un ritorno alla sostanza
- pur corretta in alcuni aspetti obsoleti - del precedente sistema
politico, della precedente articolazione dei partiti? Ovvero la
consistenza delle ragioni che l'hanno determinata e delle
trasformazioni che ne sono derivate è tale da rendere illusorio e
controproducente ogni tentativo di restaurare e ristrutturare quel
che c'era prima?
La questione è stata, in buona sostanza, negata. Il che equivaleva
a scegliere la strada della "reversibilità" della crisi e
dei suoi effetti, senza assumere l'onere dell’argomentazione e
della prova. E' stato un errore grave, probabilmente il più grave.
A causa di quell'errore sono falliti anche i diversi tentativi di
dare risposte convincenti agli sconquassi che la "grande
crisi" aveva prodotto anche sul terreno istituzionale. E'
fallita la Bicamerale, anche - e noi pensiamo soprattutto - perché
il gruppo dirigente DS ha rinunciato a elaborare una proposta
coerente di riforma, illudendosi che fosse possibile surrogarla con
l'assunzione della presidenza della commissione stessa da parte del
suo leader. Si è lasciato che fallisse per un pugno di voti il
referendum del 1999, o apertamente osteggiato o lasciato in pasto
alle divergenze esistenti.
Il giudizio sulla destra
La destra italiana va contrastata duramente per i suoi
comporta-menti illiberali e per la concezione “pro-prietaria”
del potere
*** Non c'è chiarezza neppure nel giudizio sulla destra. L'insieme
del polo di destra, anche dopo l'ingresso di Forza Italia nel PPE,
presenta un’ identità confusa e non definita anche per l’esistenza
di pesanti incongruenze culturali e politiche fra le forze che lo
compongono. Sono inoltre evidenti -e hanno segnato pesantemente i
primi atti del governo- tratti incompatibili con lo stato di diritto
e con i principi liberali: i molteplici conflitti di interesse, la
proprietà di imponenti mezzi di comunicazione, televisiva e non, la
disponibilità praticamente illimitata di risorse finanziarie da
impiegare nella propaganda e nell’organizzazione politica. Per non
dire di una concezione e di una pratica "proprietaria" del
potere e dello stato nella quale convergono, ciascuno con il suo
itinerario storico-culturale, tanto FI quanto AN e la Lega e che
proprio per questo può diventare un collante minaccioso per il
diritto che tutti i cittadini hanno di vedere la cosa pubblica come
una risorsa comune.
Sono queste le ragioni specifiche e serie (oltre quelle
"ordinarie", che contrappongono sempre e ovunque destra e
sinistra) che alimentano un giudizio sulla destra italiana e
giustificano un contrasto particolarmente vigili e severi. Ma
queste, non altre. C'è chi pensa che se in Italia si enuclea una
destra, questa non può che essere inaffidabile dal punto di vista
liberale e democratico; e pensa che, se questa destra prende in mano
il governo a seguito di competizioni elettorali maggioritarie, ne
derivano necessariamente pericoli autoritari e liberticidi. Questo
non è un giudizio sulla destra; è un giudizio sull'Italia, la cui
democrazia non sarebbe in grado di sostenere l'alternanza, e
risulterebbe stabile e sicura solo se organizzata su un inamovibile
perno centrale. Solo se affidata alle regole proporzionali e alle
pratiche consociative. Noi consideriamo sbagliato questo giudizio
sull'Italia: perché non tiene conto dei cambiamenti intervenuti
nella società e nella cultura; perché non tiene conto della
collocazione e dei legami internazionali attuali dell'Italia; e
infine perché considera il quinquennio 89-94 come un periodo che si
può chiudere in parentesi per rimettersi sui binari precedenti,
dopo il malaugurato e inopinato deragliamento. E' questa incertezza
di giudizio che spiega il macroscopico errore compiuto dal
centrosinistra in tema di conflitto di interessi.
Noi pensiamo che la critica e l’opposizione nei confronti della
destra saranno tanto più efficaci quanto meno si contesterà alla
destra di esistere e di voler esistere come tale; e si farà leva
invece sui tratti e comportamenti illiberali che la caratterizzano e
la distinguono in modo imbarazzante dalle destre dei paesi simili
all'Italia, nostri amici e partner. Solo così smetteremo di
oscillare fra "demonizzazione" e "inciucio".
Ulivo, Margherita, DS
Bene la nascita della Margherita, male la tentazione di assorbi-re
nella Margherita (oppure nei DS) il progetto dell’Ulivo
*** Solo dopo il 12 maggio si sono cominciati a fare, anche
nell'ambito dell'Ulivo, passi concreti che rivelano l'abbandono
della tenace pretesa di poter far sopravvivere la nomenclatura
partitica precedente la "grande crisi". In precedenza non
solo i DS, ma l'insieme dell'Ulivo erano divisi intorno a questa
questione; lo dimostrano i lavori della Bicamerale come
l'atteggiamento verso il referendum e sulla modifica della legge
elettorale. La diversità della posizioni non passava fra i DS e le
altre forze dell'Ulivo, ma attraversava l'Ulivo nel suo insieme.
Il fatto più importante e più carico di potenzialità positive è
la costituzione della Margherita. Il tentativo di aggregare in un
soggetto politico nuovo forze con tradizioni diverse, ciascuna di
grande spessore, dimostra che si è finalmente capita la necessità
del cambiamento. Dopo questo passo avanti resta da evitare un ultimo
errore, che condurrebbe ad un vicolo cieco: immaginare la
possibilità di assorbire nella Margherita le ragioni dell'Ulivo nel
suo insieme, di fare della sola Margherita il "soggetto a
vocazione maggioritaria" o di pensare che l'Ulivo possa
sopravvivere a rapporti di "diseguaglianza" o di
"egemonia" di qualcuno a scapito di altri, si tratti dei
DS o della Margherita. Imboccare questa strada segnerebbe la morte
dell'Ulivo; ne abbiamo avuta più di un’avvisaglia negli anni
recenti. E' lecito prevedere e sperare che, sulla base delle
esperienze fatte, questo errore venga evitato. I DS devono tuttavia
avere chiaro che ciò dipende anche da loro.
Insistiamo sull’Ulivo e sul nuovo partito del riformismo
socialista perché sono le due scelte che assegnano alla sinistra un
ruolo non subalterno nella costruzione del futuro
*** Solo pochi anni fa, giusto all’indomani della costituzione del
governo Prodi, il primato dei partiti e la concezione dell’Ulivo
come semplice coalizione di partiti erano convinzioni chiaramente
espresse dai segretari dei due partiti maggiori, il PDS ed il PPI. D’Alema,
in particolare, impostò una strategia che partiva da premesse
esattamente antitetiche a quelle che abbiamo ora esposto: essere il
Pds-Ds, gli eredi del comunismo italiano, e non l’Ulivo, il
soggetto a vocazione maggioritaria, proprio come negli altri grandi
paesi europei lo erano i partiti del movimento operaio e socialista.
Di qui -al momento della caduta del governo Prodi, provocata
dall'irresponsabile scelta di RC- la scelta di portare il leader dei
DS alla guida del governo, senza quel passaggio elettorale che lo
stesso D'Alema aveva tante volte dichiarato indispensabile. Di qui
la forzatura politica sulle elezioni regionali del 2000, per
superare quel deficit di legittimazione popolare.
Ma i DS e il centrosinistra hanno perso sia le Regionali, sia le
Politiche. Se ne deve dedurre che in Italia la sinistra - cioè un
uomo o una donna di sinistra - non può e non potrà mai guidare un
governo di alternativa ai conservatori? No. Semplicemente, allora il
PDS-DS mostrò di ritenere concluso - o comunque di sottovalutare -
un cammino (quello della costruzione di un partito del socialismo
europeo in Italia non connotato come ex comunista e quello del
consolidamento di uno stabile soggetto unitario di tutti i
riformisti) da lui stesso rallentato e contraddetto.
Rallentato, per la mancata innovazione della sua cultura politica e
della sua piattaforma programmatica. Proprio quell'innovazione che
era in atto nei partiti socialisti europei quando il PDS aderì
all'Internazionale Socialista - una sorta di vera e propria
rifondazione della socialdemocrazia. Contraddetto, con il discorso
di D’Alema a Gargonza sopra il rapporto tra partito e Ulivo e con
le scelte compiute in proposito negli anni successivi, fino alla
preparazione delle elezioni del 13 maggio (le modalità per la
scelta del candidato Presidente del Consiglio; la totale assenza di
regole per la scelta dei candidati di collegio).
I DS non sono ancora un partito che gli italiani possano percepire
come segnato da una netta discontinuità rispetto al PCI; né come
un partito che, da solo, possa incorporare la “vocazione
maggioritaria” o essere soggetto-guida dell’intera coalizione. E’
un punto cruciale che spiega perché insistiamo tanto sulla
strutturazione dell'Ulivo e sul nuovo partito del riformismo
socialista: sono queste le due scelte che assegnano alla sinistra un
ruolo non subalterno, e nello stesso tempo politicamente efficace
nella costruzione del futuro dell'Italia.
L’Ulivo per noi: federazione di partiti, associazioni, movimenti,
individui
Il campo di forze sociali che in Europa si riconosce nei parti-ti
del PSE, in Italia fa riferimento all’Ulivo. Tocca all’Ulivo la
politica delle alle-anze. E tocca all’Ulivo la respon-sabilità di
fissare regole certe per la scelta del futuro premier. E non solo
*** In Italia il soggetto portatore della "vocazione
maggioritaria", il soggetto che aspira a governare e si oppone
al centrodestra, è l'Ulivo. E' l’Ulivo lo strumento attraverso il
quale i riformisti italiani possono costruire una credibile proposta
di governo, fondata su di un nuovo equilibrio tra le esigenze della
libertà e quelle della sicurezza, contrapponendosi al populismo
individualista del centrodestra.
Per questo l’Ulivo va coltivato e fatto crescere, combattendo
apertamente tutti i particolarismi e le tentazioni egemoniche delle
sue singole componenti che lo hanno indebolito e ne hanno minato la
credibilità.
Se l’Ulivo ha potuto raccogliere il consenso di un così ampio
numero di cittadini - molto al di là della somma dei consensi dei
partiti che ne fanno parte - ciò è dovuto al fatto che esso è
percepito come una sorta di organizzazione non partitica, non
burocratica, cui si può partecipare anche senza essere iscritti a
niente. Questa idea dell’Ulivo deve contaminare e corrodere tutte
le vecchie forme-partito.
E' l'Ulivo che conferisce funzione di governo ai singoli partiti che
ne fanno parte: per questo, l'innovazione e la stessa aggregazione
delle singole componenti della coalizione può essere perseguita con
successo solo attraverso un'iniziativa contemporanea e contestuale a
quella di consolidamento e strutturazione dell'Ulivo in una vera e
propria Federazione di partiti, movimenti, associazioni, singoli
cittadini.
La "Cosa 2" di Firenze è stata concepita e perseguita se
non in antitesi, certo in perfetta autonomia e separatezza rispetto
al processo di consolidamento e strutturazione dell'Ulivo; questo
errore, assommandosi a quello di verticismo ed alla pretesa di
procedere per cooptazione, ne ha provocato il sostanziale
fallimento. E ciò varrebbe anche se prevalesse la tentazione di
trasformare la Margherita in un partito autosufficiente, di tipo
tradizionale.
Noi rifiutiamo la divisione del lavoro tra sinistra e centro - si
legga oggi DS e Margherita - dentro l'Ulivo, sia sul piano sociale,
sia sul piano politico. Sulla rappresentanza sociale basterà
ribadire che il campo di forze sociali di cui nei principali paesi
europei sono espressione e interpreti le grandi forze del socialismo
democratico, è lo stesso che in Italia si riconosce nell'Ulivo.
Quanto alla divisione del lavoro sul piano delle alleanze politiche
è evidente in quale aberrazione essa dovrebbe tradursi: la sinistra
fa il suo mestiere e si dirige all'alleanza con R.C.; la Margherita
fa altrettanto e si occupa di Lista Di Pietro e Democrazia Europea.
Risultato: o nessuna alleanza per l'Ulivo, o lo squilibrio del suo
profilo politico-programmatico nell'una o nell'altra direzione. E'
chiaro che l'Ulivo deve essere capace di alleanze con altre forze
politiche, come accade per i grandi partiti del PSE a vocazione
maggioritaria. E se l'Ulivo è solido e strutturato come soggetto
portatore della vocazione maggioritaria, allora può contrarre le
alleanze politiche di cui ha bisogno per prevalere sul centrodestra.
Mentre se l'Ulivo è una debole coalizione di partiti, messa su
qualche mese prima delle elezioni, può persino accadere quello che
sta accadendo dopo il 13 maggio: che ciascuno chieda conto all'altro
di alleanze e accordi non fatti, di cui nessuno sa darsi ragione.
In Europa, sono i grandi partiti membri del PSE a costituire l'asse
dell'alternativa di governo al centrodestra: essi possono allearsi
con altre formazioni politiche, ma forniscono e propongono agli
elettori di centrosinistra la leadership per il governo e la
sostanza della piattaforma programmatica. In Italia, solo la
costruzione dell’Ulivo può dar luogo ad una forza che svolga
questa stessa funzione politica. Questo è il dato specifico della
situazione italiana rispetto alla situazione diffusa in Europa. In
Italia il progetto dell’Ulivo assolve a una funzione simile a
quella svolta altrove dai grandi partiti del socialismo europeo.
Come consolidarlo e strutturarlo
L’Ulivo va dunque consolidato e strutturato in una vera e propria
Federazione dei diversi riformismi italiani, dotata di regole certe
per la selezione democratica della leadership, delle candidature
uninominali, e per la adozione dei programmi di governo.
Si propongono precise ed immediate scelte politiche:
a) La costruzione di una Federazione dei gruppi parlamentari dell’Ulivo.
b) In ogni Collegio elettorale della Camera deve sorgere un Comitato
dell’Ulivo, cui si possa aderire sia individualmente sia
collettivamente - attraverso l’iscrizione ad uno dei partiti dell’Ulivo,
ad un'associazione o movimento.
c) Il Comitato Nazionale dell’Ulivo deve assumersi la
responsabilità di elaborare - entro un anno - un regolamento per la
tenuta di consultazioni elettorali primarie per la scelta del
candidato Presidente del Consiglio, dei candidati Presidente di
Regione, di Provincia e Sindaco e per la scelta dei candidati di
collegio uninominale. La Federazione dei gruppi dell’Ulivo deve
presentare una proposta di legge sulle consultazioni elettorali
primarie ed insistere per la sua approvazione nella prima parte
della legislatura, anche legando la tenuta delle primarie al
finanziamento della campagna elettorale.
E’ ovvio che si tratta di scelte che non possono essere assunte da
una singola componente dell’Ulivo. Ma i DS intendono finalmente
determinarsi ad un'incalzante iniziativa per proporre la loro
adozione da parte di tutto l’Ulivo?
Non bastano generiche dichiarazioni di “disponibilità”, magari
seguite dalla tanto pronta quanto sospetta presa d’atto della “indisponibilità”
di altri. Ne va della forza e della credibilità dell’opposizione
al governo Berlusconi. E’ in gioco la possibilità stessa di
preparare l’alternativa. Non può essere in alcun modo
sottovalutato il fatto che, in questa prima fase della nuova
legislatura, il centrosinistra non abbia saputo parlare con una sola
voce - e si sia anzi clamorosamente spaccato - su questioni
cruciali.
Non sarà neppure sufficiente che il Congresso Nazionale dei DS - a
metà novembre - si pronunci favorevolmente su queste proposte di
strutturazione dell’Ulivo, se prima di allora, i DS stessi non
avranno prodotto fatti politici volti ad innescare questo processo
di strutturazione dell’Ulivo, in una prospettiva federativa.
L’Ulivo, il PSE e il nuovo partito della sinistra
Favorire il confronto tra il PSE e i riformi-smi “non socialisti”.
E noi socialisti dell’ Ulivo abbiamo un compito speciale
*** L'Ulivo può affermare pienamente la propria funzione a
condizione che tutte le sue componenti conoscano una profonda
innovazione di cultura politica, di piattaforma programmatica e di
struttura organizzativa.
Tutti i partiti socialisti sono già oggi luogo di incontro e di
reciproco scambio tra questi diversi riformismi. Deve diventarlo
sempre di più anche il PSE, se vuole corrispondere - come deve - al
mutamento da tempo in atto nel PPE, ormai trasformato anche
formalmente, dopo il congresso di Berlino della scorsa primavera, in
casa comune del centrodestra europeo.
Va affrontato un duplice problema: aprire il PSE ad un confronto, ad
una collaborazione e ad una vera e propria integrazione con altre
forze riformiste di ispirazione cristiana, democratico-laica e
ambientalista, a partire da quelle che non aderiscono a, o
fuoriescono da, un PPE che si trasforma in polo conservatore di
centrodestra; costruire un rapporto tra l'Ulivo italiano e il PSE in
trasformazione, così che l'Ulivo possa trovare una stabile e
coerente collocazione nel bipolarismo europeo e il PSE rafforzarsi
come asse dell'alternativa di centrosinistra ai conservatori
europei.
Il riformismo italiano che si richiama all'ispirazione del moderno
socialismo europeo può e deve svolgere, in questo senso, un’importante
funzione politica.
Se la sinistra italiana resta nei confini della sua attuale
configurazione partitica (due partiti dell’I.S., entrambi
percepiti come ex… ciò che furono nel secolo scorso) non è in
grado di portare all’Ulivo il contributo che le è proprio,
necessario all’Ulivo. E non è in grado neppure di realizzare
quell'innovazione di cultura politica, piattaforma programmatica e
leadership che ha caratterizzato negli ultimi 10 anni tutti i grandi
partiti socialdemocratici d’Europa, rendendoli capaci di
governare.
Nessun progetto che abbia questa ambizione può essere perseguito
senza far leva sulle straordinarie risorse politiche, culturali e
umane - di militanza, di capacità di rappresentanza e di governo -
oggi raccolte nei DS. Allo stesso modo, una pretesa di
autosufficienza dei DS nel perseguimento di questo progetto lo
condanna all’insuccesso: ecco perché è indispensabile che il
Congresso dei DS concepisca le sue conclusioni come un atto, per
quanto decisivo e condizionante, del più ampio processo di
costruzione di un unitario partito del riformismo socialista, nell’Ulivo
e per l’Ulivo.
Il convinto impegno dei DS per l’avvio della costituente di questo
nuovo partito non basta. Né è sufficiente quello di eminenti
personalità e delle altre forze della tradizione socialista
italiana (SDI e PdCI). Esso costituisce tuttavia la condizione
indispensabile per animare l’impegno di tanti cittadini -giovani e
meno giovani- che oggi non partecipano alla vita politica della
sinistra perché sono stanchi delle vecchie divisioni, di cui spesso
ignorano le ragioni. Proprio quell’impegno di molti che è
necessario perché nessuno, nella sinistra riformista e di governo,
si senta “cooptato” da qualcun altro.
Attraverso questa mozione noi vogliamo chiamare a raccolta anche
quanti nei DS sono oggi delusi e sfiduciati, ma possono tornare ad
entusiasmarsi di fronte a questo progetto unitario, che sollecita ad
investire sul futuro, uscendo dall’angusto conflitto tra “ex”.
Il socialismo delle libertà
È giunto il momento per un nuovo incon-tro tra un partito
profondamente radi-cato nella cultura socialista e la tra-dizione
della sinistra liberale
*** Il socialismo del XXI secolo è socialismo liberale, è la
fusione in un nuovo amalgama dei grandi orientamenti culturali che
hanno dominato la sinistra nei due secoli successivi alla
Rivoluzione francese: l’orientamento liberale del XIX e quello
socialista del XX. Due orientamenti che, quando si sono incontrati
-si pensi alla straordinaria fecondità della “fusione” tra
Keynes ed il laburismo- hanno dato luogo alla crescita sociale e
civile del “secolo socialdemocratico”. Ma che si sono spesso
presentati come avversari, per gli obiettivi generali che si
proponevano come per gli strumenti utilizzati al fine di analizzare
l’economia e la società.
Va dunque esplicitamente promosso il definitivo superamento di
questo contrasto: la corrente di sinistra del liberalismo, la
corrente democratico-liberale, è tanto interessata quanto il
socialismo democratico a definire e promuovere quel quadro di
regole, di istituzioni, di interventi pubblici, il quale, senza
interferire in modo intollerabile con la libertà di alcuno, offra
la possibilità al maggior numero di persone di esercitare
un'effettiva scelta di piani di vita. Libertà per molti, invece che
libertà per pochi. Libertà eguale, insomma.
In termini politici, qui ed ora va asserito che è giunto il momento
in cui un partito profondamente radicato nella cultura del movimento
socialista faccia i conti non soltanto con la sua variante comunista
- siamo convinti che, all’ingrosso, li ha fatti- ma anche con
quell’antipatia spontanea verso il pensiero liberale che deriva da
decenni di conflitti e incomprensioni.
Non si è stati capaci di ampliare la sfera delle libertà… non
certo per colpa di un riformismo “senza popolo” o calato dall’alto
*** La sinistra e l’Ulivo non hanno perseguito con coerenza
politiche che, in una logica di inclusione e di forte solidarietà
sociale, fossero anche in grado di ampliare la sfera delle libertà.
Non si è trattato di un limite dovuto ad un errore di giacobinismo,
di riformismo dall’alto, “senza popolo”: il popolo che avrebbe
accolto con favore iniziative in quella direzione c’era, eccome.
Si è trattato di qualcosa di più grave: è mancata quella svolta
nella cultura politica della sinistra che poteva nascere solo da un’aperta
battaglia. Esattamente quella svolta che, negli ultimi dieci anni,
è stata attuata da gran parte dei partiti socialisti europei - dal
New Labour della Terza via alla Spd del Nuovo centro, al nuovo corso
del partito spagnolo - e che nel PDS-DS è stata tante volte evocata
(conclusioni di D’Alema al congresso del ’97, mozione di
Veltroni sul socialismo liberale a Torino), ma mai apertamente
proposta e fatta oggetto di un’ impegnativa decisione
congressuale.
Una società più ricca e più complessa avanza domande di più
libertà, più autonomia: stato federale, liberalizza-zioni,
sburocratizza-zione, più sicurezza personale
*** Nei DS e nella sinistra molti ancora condividono la visione
classista che ispirava la vecchia socialdemocrazia e i partiti
comunisti; al di là degli orientamenti ideologici, molti di più -
in pratica- sono aggrappati ai grandi soggetti sociali del passato,
alle organizzazioni che li rappresentano e alle loro rivendicazioni,
alle istituzioni concrete che queste hanno contribuito ad affermare.
L’abbiamo già detto nel preambolo, ma conviene ribadirlo: tanti
fanno continui richiami alla necessità che la sinistra si rifondi
“a partire dal lavoro”. Questa “rifondazione”, o rivela una
modesta ambizione difensiva, oppure si richiama alla grande visione
egemonica che la sinistra condivise nel passato, quella del
socialismo e del comunismo marxisti. In questa visione il lavoro è
sicuramente centrale, e in un senso teoricamente assai forte.
Teoricamente forte, ma sbagliato e politicamente sterile. La “rifondazione”
di cui abbiamo bisogno è diversa, è quella che parte dall’individuo
e dai suoi piani di vita e che sforza il concetto di libertà il
più possibile verso le possibilità effettive dei molti invece di
limitarlo al massimo arbitrio dei pochi. É in questo contesto, non
certo in uno marxista e classista, che è possibile accogliere senza
forzature le domande di libertà, di autonomia, di differenziazione
che una società sempre più ricca e complessa suscita. Nello stesso
mondo del lavoro, le sicurezze, le tutele, i “diritti” sono
certo crucialmente importanti. Ma non sono più uniformi. É
partendo da questa analisi dei mutamenti sociali in atto che noi ci
sforziamo da tempo di mettere a fuoco i tratti essenziali del
programma politico di un moderno riformismo: coraggiosa riforma
federale dello Stato, liberalizzazione di tutti i mercati chiusi ed
oligopolistici, sollecitazione di una riforma degli Ordini
professionali che impedisca agli insiders di sbarrare l'ingresso
agli outsiders, destatalizzazione e sburocratizzazione, sicurezza
personale, riduzione della pressione fiscale a fini di sviluppo.
Inclusione, conoscenza, partecipazione, piena cittadinanza dei
diritti delle donne: quattro obbiettivi essenziali per la sinistra.
In gioco c’è un futuro di libertà per molti e non per pochi, un
futuro di “libertà eguale”
*** Quattro sono gli obiettivi essenziali ai quali la sinistra nuova
deve mirare.
(a) Il primo è l'inclusione. La società che la sinistra vuole è
una società che esclude l'esclusione, una società che promuove,
organizza e realizza l'inclusione non solo economica e sociale, ma
anche culturale e civica. Nella società contemporanea emergono
continuamente nuovi fattori di esclusione. Identificarli
tempestivamente consente di individuare i nuovi soggetti deboli, che
reclamano e meritano protezione. Meritano di essere aiutati a
camminare da soli. La sinistra che pretende di identificare queste
politiche di inclusione con la pura difesa del vecchio sistema di
garanzie perde il carattere di soggetto protagonista dell’innovazione.
(b) Il secondo è la conoscenza. La sinistra combatte l'ignoranza,
l'impossibilità di accedere a dati e informazioni, l'incapacità di
utilizzarli, l'indisponibilità o la perdita degli strumenti che
consentono alle persone di accrescere ed aggiornare continuamente le
loro conoscenze. É fondamentale che si continui a produrre nuova
conoscenza attraverso nuova ricerca, non ostacolata da vincoli
pregiudiziali di ordine ideologico né da condizionamenti di
carattere economico, nel quadro di principi di comune umanità. La
sinistra di oggi vede che si stanno creando le condizioni e insieme
le domande per cui la diffusione della conoscenza, la
generalizzazione dell'accesso alla conoscenza può avvicinare a uno
dei più grandi ideali dell'umanità: l'unificazione della specie
nella consapevolezza della sorte comune.
Nella stagione di governo che ci sta alle spalle abbiamo investito
molto sulla scuola e sul sistema formativo, facendola oggetto di un
disegno organico di riforma. L'obiettivo di questa strategia
riformista - che ha provocato reazioni conservatrici, ma ha anche
suscitato energie e impegno - era quello di accrescere la
"sicurezza" dei cittadini-lavoratori-consumatori di
domani; e di mettere questa sicurezza al servizio di nuovi e più
elevati livelli di autonomia e libertà individuali.
La scelta strategica, in questo campo, è stata ed è quella
dell'autonomia degli istituti scolastici, rispetto alla quale siamo
stati avari di risorse economiche (il solito vizio centralistico
della sinistra) e di impegno politico diffuso sul territorio, a
partire da quello del sistema delle istituzioni locali. Non abbiamo
ridisegnato il nostro modello di governo locale alla luce della
nuova priorità - diffondere sicurezza e uguaglianza attraverso la
formazione, così come facemmo a metà degli anni '70 con i servizi
sociali - e abbiamo lasciato autonomia scolastica e obbligo
formativo fino a diciotto anni nelle sole mani degli insegnanti più
impegnati e degli studenti più consapevoli, entrambi vittime
predestinate della burocrazia di quella che resta - con poco meno di
un milione di addetti - la struttura con più personale che esista
al mondo.
Il centrosinistra dovrà saper colmare questo limite della propria
iniziativa riformista di governo: a ben vedere, è la formazione a
tenere assieme - in una convincente strategia di governo delle
innovazioni sociali, economiche e civili in atto - la questione
della "occupabilità", la questione del rafforzamento dei
diritti individuali e delle libertà civili, la questione della
sicurezza e quella della competitività nell'economia globale.
(c) Il terzo è la partecipazione democratica alla decisione.
L'inclusione senza la conoscenza condannerebbe una parte grande
della umanità a lavori poveri, a ruoli sottomessi. L'inclusione e
la conoscenza senza la possibilità di prendere parte alle decisioni
condannerebbe una parte ancora più grande della umanità alla
soggezione e alla sudditanza.
(d) Il quarto è la piena cittadinanza dei diritti delle donne. Nel
mondo globalizzato, la crescita del protagonismo economico, sociale
e civile delle donne costituisce una risorsa decisiva per le
strategie di inclusione e di sviluppo. Dai grandi temi
dell'equilibrio demografico e dell'ecosistema, fino alle politiche
di allargamento della partecipazione alle forze di lavoro in Italia,
la sinistra riformista risulterà capace di iniziativa e di proposta
solo se -avendo il riconoscimento della differenza come proprio
principio ispiratore- assumerà le domande delle donne come
naturalmente e compiutamente "sue".
E' necessaria una nuova grande stagione di immaginazione,
sperimentazione, costruzione di una democrazia capace di incontrare
i poteri ovunque essi si trovano e capace di articolarsi in modo da
confrontarsi con essi, da accompagnarli in ogni loro azione e
manifestazione. E' un compito arduo ed esaltante, al quale la
sinistra deve cercare di associare la generalità delle persone; è
la costruzione difficile e inesauribile della libertà futura,
perché dal suo successo dipende se il futuro sarà segnato da una
libertà per pochi o per molti. Anzi, per tutti.
Emanuele Macaluso aderisce alla mozione Morando, "E' la più
innovativa"
PRIMI FIRMATARI
MORANDO ENRICO
Bettoni Monica, parlamentare;
Bucciarelli Anna;
D'Alessandro Prisco Franca;
Negri Magda;
Pagano Graziella, parlamentare;
Ripoli Clara, sez. Policoro MT;
Senesi Gianna;
Bagnato Agostino, resp. Aut. Tem. Impresa più, sez. Laurentino
(Roma);
Barbera Augusto;
Bettiol Claudia, sez. Belluno;
Bontempelli Michele, Sindaco Pellizzano UdB Val di Sole Trentino;
Borghesi Gianfranco Novafeltria (PU) membro dir. Reg. DS Marche @;
Caroccia Edoardo, Presidente Comitato Reg.Le Inps, Direttivo Reg.Le
Cgil
Codispoti Giuseppe, Sez. Cinecittà (Roma)
D'Alò Giuseppe;
Debenedetti Franco, parlamentare;
De Vecchi Sandro, Belluno;
Di Berardino Nino, Segretario di Sezione, S. Omero Te;
Di Fonzo Giovanni;
Festa Guglielmo, Segr. Naz. Fed. Formazione e Ricerca CGIL, Sez.
Porta S Giovanni, Fed. Roma;
Figurelli Michele;
Galeazzi Renato;
Grazzani Nino;
Leo Gianfilippo, sez. Belluno;
Lucia Franco, sez. Lamezia Terme (CZ);
Mantovani Silvio;
Massari Oreste;
Meloni Salvatore, presidente LegaCoop, della direzione regionale dei
DS, UdB Nuoro @;
Nannicini Tommaso, sez. centro storico Firenze;
Nisticò Franco, resp. Aut. Tem. agricoltura Calabria;
Olivieri Luigi, parlamentare
Palma Angelo, Sez. Centocelle (Roma)
Pascale Alfonso, Vicepresidente CIA, Roma;
Pasquino Gianfranco;
Pellegrino Giovanni;
Petruccioli Claudio, parlamentare;
Piva Paolo;
Primi Fiorello, Sindaco e Direz. Reg., sez. Castiglione del Lago
(PG);
Puddu Lello, Fed. Cagliari;
Quartiani Erminio, sez. Rizzi Melegnano, (MI);
Quercini Giulio;
Rossi Afro, Sez. Salario-Nomentano (Roma)
Ricci Roberto, Resp. Reg. Aut. Risorsa Scuola, Abruzzo;
Rognoni Carlo, parlamentare;
Salvati Michele;
Santucci Enzo;
Talucci Gaetano, Segretario di Sezione, Nereto TE;
Tanzarella Angelo, sez. Belluno;
Tempestini Francesco;
Trefiletti Rosario, Segr. Gen. Fed. Consumatori CGIL;
Turci Lanfranco, parlamentare;
Vitali Roberto;
Per firmare la mozione "Per salvare i Ds, consolidare l'Ulivo e
costruire un nuovo, unitario partito der riformismo socialista"
e candidare a segretario Enrico Morando, invia la tua adesione e i
tuoi dati (nome e cognome, numero di tessera, sezione e località di
iscrizione) per e-mail a: info@libertaeguale.com
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