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La mozione Morando



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"Per salvare i Ds, consolidare l'Ulivo e costruire un nuovo, unitario partito del riformismo socialista" dal sito www.dsonline.it 



3 Settembre 2001

Introduzione e sintesi

A novembre ci giochiamo il futuro dei Ds, il futuro dell’Ulivo e la possibilità di tornare al governo
*** Il prossimo congresso dei DS, e comunque le scelte che i DS faranno entro il prossimo anno, sono decisivi. Molte cose sono in gioco: l'efficacia dell'opposizione in questa legislatura e la possibilità di vincere nella prossima sfida per il governo; la convergenza delle forze provenienti dalle tradizioni socialiste e non socialiste nella casa comune dei riformisti; la stabilità, la solidità e la coesione dell'Ulivo, cioè dello strumento politico a "vocazione maggioritaria" indispensabile per competere in un sistema bipolare e necessaria alla stessa sinistra per essere "sinistra di governo". Le scelte dei DS al prossimo congresso avranno conseguenze su tutti questi piani.

E tocca agli iscritti il coraggio di una scelta: i DS non possono fare da soli, ma devono aprirsi agli altri riformismi Un grande rinnovamento politico e culturale
*** Nei DS si raccoglie la parte più consistente delle forze provenienti dal movimento operaio e socialista ancora attive sulla scena politica italiana. Una loro crisi definitiva avrebbe effetti pessimi per la società italiana, per la democrazia, per l'Ulivo. Oggi questo pericolo esiste. Bisogna reagire. Noi condividiamo con tutti gli iscritti ai DS e con tutti coloro che partecipano all'Ulivo questa preoccupazione e sentiamo vivissimo questo impegno. Ma consideriamo un grave errore l'idea che per salvare i DS si debba far blocco senza andare troppo per il sottile, si debbano mettere al bando discussioni e confronti aperti di posizioni, non si debbano "disturbare" gli iscritti ai quali si dovrebbe offrire soltanto immagine di compattezza e certezza di comando. Così facendo, si otterrebbe soltanto di aggravare la crisi. La sorte dei DS non dipende dalla capacità di cementare le loro forze attuali, dalla perentorietà con la quale affermano la loro autosufficienza, ma dalla capacità di aprirsi e di comprendere la importanza del rapporto con gli altri riformisti, socialisti e non. Le risorse da attivare, alle quali affidarsi, sono invece la formulazione chiara delle proposte, la loro discussione approfondita, libera e sincera, la partecipazione più ampia e consapevole degli iscritti e la loro condivisione di responsabilità nell'indicare la scelta che considerano più convincente ed efficace.
L’asfissia della vita democratica interna e la passività alla quale sono stati indotti gli iscritti -in nome dell'onnipotenza di un vertice che peraltro non dava chiare e utili indicazioni politiche- ha avuto pesanti effetti negativi.

Serve più innovazione nella cultura, nell’organizzazione, nella direzione del partito. Finora è mancata
*** La principale ragione della attuale crisi dei DS è il ritardo, fino al blocco, del processo di rinnovamento: l'illusione, promossa dal vertice stesso del partito, che il rinnovamento si potesse considerare concluso subito dopo la svolta dell'89 e che il mantenerlo aperto risultasse addirittura dannoso. Non ci riferiamo qui alla capacità di cogliere le novità nella realtà sociale, di collegarsi ad esse, di innovare in conseguenza le politiche di riforma. C'è stato anche questo ritardo e ha pesato. Ma decisivo è stato il mancato compimento dell'innovazione nella cultura, nell'organizzazione, nel modo di far vivere e dirigere il partito. Molte volte abbiamo verificato che novità programmatiche significative, pur elaborate e proposte, sono cadute o sono state accantonate perché in contrasto con modi consuetudinari di pensare e di comportarsi, ancora non superati.
Nonostante tutto, malgrado i ripetuti richiami alla "socialdemocrazia" e anche ad auspicate "rivoluzioni liberali", nei DS come nel Paese la sinistra viene ancora largamente identificata con il modello rappresentato per mezzo secolo dal PCI. Ci riferiamo al fondamento classista e alla ispirazione marxista; e, ancor più, a una cultura politica improntata sì alla "responsabilità" democratica e nazionale, ma soprattutto -e nello stesso tempo- orgogliosa della propria "diversità", tipica di una forza che sacrificava l'alternativa di governo al vagheggiamento di un'alternativa di sistema mai del tutto rifiutata; a moduli organizzativi e di direzione, questi sì di stampo comunista, basati su una concezione "organica" del partito e sul centralismo democratico, che è innanzitutto una idea del governo del partito affidato per definizione ad un "centro" addetto alla sintesi e all'unificazione delle tendenze di "destra" e di "sinistra", necessariamente "parziali", quando non "devianti".
A dieci anni di distanza si deve prendere atto e dichiarare apertamente che l'occasione di rinnovamento offerta con la "svolta della Bolognina" non è stata interamente colta, non ha prodotto tutti gli effetti necessari, vuoi per le debolezze e le parzialità in essa presenti fin dall'inizio, vuoi per la fretta restauratrice degli anni successivi.

La crisi del vecchio sistema politico reclamava innovazione della sinistra e del sindacato. Ma la prima si è fermata e l’unità sindacale è addirittura regredita
*** Il ritardo nella necessaria innovazione della sinistra è stato accentuato da quanto è avvenuto, o non è avvenuto, fuori e intorno ai DS. Gli altri raggruppamenti della sinistra hanno anch'essi vissuto un periodo di travaglio e difficoltà, e non hanno comunque superato i limiti imposti dalla loro piccola dimensione. Il collasso del PSI e la diaspora socialista che ne è conseguita non sono stati contraddetti da significativi processi di riaggregazione, nonostante l'impegno generoso e la parabola apprezzabile dello SDI. Il definirsi di varie forze e strutture di sinistra cattolica, come i nuovi orientamenti maturati nel riformismo democratico laico, repubblicano, liberal-democratico non hanno ancora prodotto nuovi soggetti, sufficientemente stabili e adeguatamente motivati e fondati.
Le grandi organizzazioni sindacali, pur investite dai processi politici scaturiti dalla fine del vecchio sistema politico, hanno mirato soprattutto a tenersene al riparo, come fosse possibile un mutamento generale degli strumenti, degli istituti e delle forme della politica, del rapporto fra cittadini e politica, senza che i sindacati stessi fossero chiamati alla prova di un loro cambiamento. Cosicché non ha fatto passi avanti l'unità sindacale e le divisioni fra le organizzazioni si sono anzi appesantite e irrigidite in una logica di "apparati". Il sindacato nel suo insieme appare bloccato entro le logiche tradizionali dell'industrialismo; capace di collegarsi solo con i settori stabilizzati delle imprese medio-grandi, ai quali si aggiungono dipendenti pubblici e pensionati. Nelle zone del mercato del lavoro più dinamiche e precarie, frequentate dai giovani e, più in generale, presso ampi settori dell'opinione pubblica, ne deriva un'immagine conservatrice del sindacato, che conferma e sottolinea un'analoga immagine che investe l'intera sinistra.

Il lavoro innanzitutto. Certo. Ma non basta più affidarsi alla sola “centralità” del lavoro
*** L'incompiuto rinnovamento segna anche l'analisi della società, il rapporto con le sue trasformazioni, con le sue novità. Il modo di pensare largamente presente nei DS e gli strumenti disponibili continuano ad essere quelli di sempre. Ci si affida ad un'ottica "lavoristica" di carattere generico, più suggestiva che definita. Più il trascinamento di una gloriosa tradizione che il nucleo di una nuova analisi della società. Beninteso: il valore del lavoro come fondamento dell’ispirazione politica e prima ancora etica della sinistra, non è solo un sacrosanto richiamo alla parte più nobile di una lunga storia; mantiene pieno significato per il presente e per il futuro. Mette infatti in primo piano l'importanza dell’aspirazione individuale a realizzarsi, secondo la vocazione personale; dell’operosità come fondamento della vita sociale rispetto al parassitismo e alla passività sociale; dell’assunzione di responsabilità implicita in ogni attività di lavoro.
Il lavoro è anche, naturalmente, un fenomeno economico e sociologico. Ma la sinistra compirebbe un errore se si affidasse alla cosiddetta "centralità" o "funzione sociale" del lavoro, come se lì ci fosse l'alfa e l'omega dell'ancoraggio sociale, il punto di appoggio della leva che consente la "critica generale" della società e delle diverse "condizioni sociali" che in essa si ritrovano. C’è qui l'eco, per quanto negata, di una concezione "di classe" della sinistra, ancora ferma all'idea che il momento della produzione di beni sia quello davvero decisivo per la caratterizzazione della società, per la determinazione della condizione sociale.

Siamo per una sinistra che parta dall’individuo. Mettiamo al centro la “condizione sociale”: qualità del lavoro, relazioni interpersonali, fra uomo e donna, ambiente, consumi, tempo libero
***La condizione sociale oggi non viene afferrata se ci si limita ai problemi della persona lavoratrice. Le persone sentono che la loro vita, e la qualità che essa assume, dipendono altrettanto da altre sfere che hanno acquistato e acquistano peso crescente: l'accesso alle informazioni e alle conoscenze, che è decisivo in tutti gli aspetti del vivere e in tutte le relazioni fra le persone; le gerarchie e le scelte del consumo; la situazione e i problemi dell’ambiente fisico; i rapporti con le burocrazie e gli apparati amministrativi; la qualità delle relazioni tra uomini e donne; l'organizzazione e le finalità del tempo libero.
Le persone cercano una sinistra capace di misurarsi su tutto l'arco di questi problemi, di fornire obiettivi e soluzioni su tutti gli aspetti della loro condizione sociale, di predisporre le occasioni e gli strumenti per una azione politica che afferri tutto questo orizzonte. A questo fine gli strumenti tradizionali di una "sinistra di classe" non sono sufficienti; non consentono di mettere a fuoco i problemi, di elaborare soluzioni efficaci. La sinistra classista, ad esempio, ha sempre avuto difficoltà nell’incorporare nel proprio universo ideologico le domande delle donne, anche quelle che riguardavano il lavoro. Una sinistra liberale, una sinistra che parte dall’individuo, queste difficoltà non le ha proprio: il riconoscimento della differenza è iscritto nel suo codice genetico.
Su questo punto pensiamo esattamente l'opposto di quanto sostengono altri nei DS. Una sinistra che si affidi alla sua ottica tradizionale, "classista" e "lavorista", non accentua oggi la sua capacità critica nei confronti della società, né rende più robusto il suo riformismo; produce invece una critica e un riformismo poveri. La forza stessa del riformismo dipende dalla apertura ad altre tradizioni, ad altre culture. Esse forniscono elementi indispensabili non solo per il fondamento delle libertà ma anche per comprendere tanti problemi delle persone, per intervenire su aspetti essenziali della loro vita, per aiutarle a migliorarli.
Per questo consideriamo essenziale l'assunzione dei principi e degli strumenti del liberalsocialismo anche ai fini di una più efficace critica della odierna condizione sociale. Come consideriamo importantissimo l'apporto delle culture personalistiche e comunitarie di ispirazione religiosa che consentono di trarre dalle relazioni e dalle comunità in cui ciascuno è concretamente immerso - a cominciare dalla famiglia - risorse decisive per migliorare la vita delle persone e il livello della civiltà sociale.

Vanno decisi due processi politici (distinti, ma uno condizione dell’ altro): aggregazione delle forze riformiste socialiste (progetto Amato) e consoli-damento dell’UlivoLa prospettiva politica
*** Noi vogliamo così dare saldezza, fiducia e prospettiva alle forze che sono oggi nei DS; in particolare a quelle che, provenendo dal PCI, attraverso la svolta di dieci anni fa, hanno voluto approdare alla sponda della sinistra di governo. Siamo convinti che, per farlo, è necessario che queste forze, con il loro prossimo congresso, decidano di coinvolgersi pienamente in due processi politici distinti ma non separabili uno dall'altro, perché uno è condizione dell'altro.
I DS devono unirsi nell'Ulivo a tutte le altre forze del riformismo. L'Ulivo è l'alleanza per il governo del Paese: il soggetto politico portatore della "vocazione maggioritaria", della capacità di competere per il governo; è la dimensione indispensabile che consente di essere forze di governo a tutte quelle che ne fanno parte.
Anche per irrobustire l'Ulivo, i DS devono in particolare contribuire alla raccolta delle forze riformiste di origine socialista, compiendo un atto esplicito che affermi - con una nuova discontinuità - la pari dignità delle forze che non provengono dal PCI anche nella formazione e nella scelta della leadership. Questo atto consiste, a nostro avviso, nel sostenere il progetto proposto da Giuliano Amato e nel proporne una leadership coerente ad esso. L’aggregazione delle forze riformiste di origine socialista deve essere contemporanea e contestuale al consolidamento dell'Ulivo, alla sua strutturazione democratica e organizzativa, con procedure e istanze comuni chiaramente definite.
La nostra proposta si può così riassumere: usare le energie e le risorse dei DS per una grande iniziativa di unità. Vogliamo promuovere la raccolta di tutte le forze del riformismo di ispirazione socialista e dare stabilità, consistenza e coerenza all'Ulivo; vogliamo unire nell'Ulivo tutte le forze riformiste alternative alla destra, per fare dell'Ulivo la casa comune di tutti i riformisti e di tutti i riformismi.
Questa è la strada che noi indichiamo per "salvare i DS", per dare a tutti noi che ne facciamo parte convinzione e slancio, necessari non solo a noi, ma alla forza dell'opposizione oggi, alle possibilità di vittoria dell'Ulivo in un domani vicino. Vogliamo con tutte le nostre forze "salvare i DS" perché vogliamo una sinistra nuova, incisiva e vincente al servizio dell'Italia che amiamo. Pensiamo, e lo diciamo senza reticenza o doppiezza, che i DS si salvano se non pretendono, se non si illudono di poterlo fare da soli, se evitano il pericolo mortale dell'autosufficienza. I DS sono indispensabili per la vitalità e la forza degli altri con i quali si uniscono. Gli altri sono indispensabili a noi per vivere la politica come grande impegno nazionale e internazionale e non come testimonianza minoritaria e triste.
Il deludente risultato elettorale dei DS - identico a quello ottenuto nel 1992, subito dopo la nascita del PDS - chiude un ciclo politico: la svolta dell’89 ha sottratto le forze migliori del PCI al crollo del socialismo reale e ha dato luogo alla formazione di un partito che è stato protagonista della transizione ad una democrazia dell’alternanza. La gestione del partito nel decennio non è tuttavia riuscita a far nascere in Italia un partito che non fosse e non venisse percepito come partito ex comunista, ma avesse una cultura politica, un programma e una leadership tali da consentirgli di svolgere la stessa funzione politica che svolgono in Europa i partiti del PSE.
In particolare, non c'è stata rottura di continuità rispetto al governo del partito da parte del "centro" dell'ex PCI, così che il nuovo partito è risultato incapace di cogliere e riassumere in sé la pluralità delle diverse tradizioni della sinistra. Anche a Firenze, in occasione della nascita dei DS, ha preteso di procedere per cooptazione dall’alto. Per recuperare il terreno perduto, non è oggi sufficiente quello che -affermato e praticato quindici anni fa- forse lo sarebbe stato; cioè affermare che il principale partito della sinistra italiana è membro dell’Internazionale Socialista. Che è un partito socialdemocratico. Pesa la continuità di una cultura della "diversità" che non accetta l'approdo del socialismo liberale.
E’ l'incontro tra socialismo e liberalismo che consente ai grandi partiti del socialismo europeo di ridefinire la propria funzione, i tratti essenziali del proprio programma: il rapporto tra Stato e mercato, l’organizzazione dello stato sociale, le relazioni con i sindacati. Più in generale: il rapporto tra politica, singoli cittadini e società civile.
Molti sostengono che la sinistra non può essere liberale senza snaturarsi. Se questa è una convinzione diffusa, la sua conseguenza è inevitabile: che in questi anni di governo la sinistra ha fatto una politica che non è la sua; che si è acconciata a portarla avanti, se non per cedimento alle ragioni degli avversari, per senso di responsabilità nazionale o per condizionamenti internazionali.
Questa è una contraddizione grave, che il congresso dei DS deve affrontare di petto, poiché è il motivo principale dell'attuale condizione del partito. Un partito che da un lato vanta, in modo ripetitivo e poco convinto, cinque anni di buon governo; dall'altro, nel profondo, vive la politica condotta in questi anni come una politica non propria, come una serie di oboli pagati ad altri, alla U.E., alla Nato, alla Confindustria, ai partiti alleati. Un partito di sinistra non può vivere a lungo in questa condizione di ambiguità, in cui i suoi leader l'hanno tenuto o perché loro stessi erano confusi e incerti, o perché temevano le conseguenze della verità, dello scontro aperto. Il nodo va dunque sciolto, anche dividendosi, come ci si è divisi senza alcuna spaccatura irreparabile nella S.P.D. quando Schroeder e Lafontaine si sono scontrati; e in molti altri partiti della sinistra in Europa.





Il partito
Più potere agli iscritti vuol dire: più democrazia, più responsabilità, riforma federale del partito, referendum, più risorse femminili. E basta con le diarchie!
*** Noi vogliamo che il partito, come tutte le sedi attraverso le quali si esprime l'impegno politico nostro e di tutti quanti con noi sono uniti nell'alleanza per il governo, esaltino la responsabilità e il potere degli aderenti, di tutti coloro che hanno il diritto di prendere parte alla definizione delle decisioni, si tratti di un punto di programma o della scelta di una persona; per qualunque ruolo, dal più delimitato al più impegnativo.
Pensiamo che i difetti oggi esistenti, anche nell'impianto statutario, vadano rimossi non concentrando i poteri in modo centralistico o burocratico, ma disciplinando ed equilibrando meglio l'esercizio del potere diffuso e "universale", senza il quale la democrazia si restringe e deperisce. Così, ad esempio, non pensiamo che si debba tornare indietro rispetto alla scelta del segretario da parte della generalità degli iscritti. Può tuttavia essere utile a equilibrare il potere di quel segretario e a rendere trasparente la formazione della maggioranza che ha il compito e la responsabilità di guidare il partito per un determinato periodo, la presentazione e la votazione in congresso della segreteria che affiancherà e coadiuverà il segretario. Assumeremo a tal fine le iniziative di modifica dello statuto previste dalle norme vigenti.
C'è bisogno di una piena corrispondenza tra la qualità dei fini che il partito si prefigge e la qualità dei mezzi impiegati (regole per la decisione, verifica delle responsabilità). L'asfissia democratica che ha afflitto la vita dei DS ha indebolito l'ipotesi di strutturazione delle funzioni dirigenti sulla democrazia di mandato: essa può essere rilanciata solo in un più equilibrato contesto di pesi e contrappesi, dando finalmente attuazione alle norme statutarie relative alla riforma federale del partito; a quelle relative alle consultazioni referendarie tra gli iscritti (usate solo per un referendum sul nuovo simbolo, in partenza svuotato di significato); a quelle relative al partito-federazione di componenti politico-culturali (Associazioni, circoli, ecc…); a quelle -recentemente riproposte da un documento del Coordinamento nazionale delle donne DS - relative all'equilibrata presenza dei due sessi negli organismi dirigenti. Condizione indispensabile per il realizzarsi di questa compiuta riforma della struttura e dei metodi di gestione del partito è il pieno superamento di qualsiasi forma di direzione diarchica del partito stesso; e comunque di assetti di direzione che non consentano una puntuale applicazione del principio di responsabilità.

Una politica padrona di sé padroneggia le proprie risorse… ci vuole più trasparenza sul debito accumulato dai DS
*** Siamo convintissimi assertori della piena laicità della politica; consapevoli non solo dei limiti che la politica ha per sua natura, ma anche di quelli che è bene ponga a sé stessa. Di conseguenza, pensiamo si debbano affrontare apertamente questioni che, secondo criteri consuetudinari, si è propensi a non trattare in pubblico e ad affidare a sedi "riservate". Pensiamo che la riforma della politica, l'avvio di una idea nuova di politica, imponga sempre e comunque la massima trasparenza. Siamo perciò convinti che anche le questioni più "delicate" - a cominciare da quelle che riguardano il reperimento e la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle attività politiche - debbano essere affrontate dalla generalità degli aderenti e che anche le scelte in questo campo debbano coinvolgere la loro responsabilità. Occorre una soluzione adeguata finanziariamente e politicamente per l’estinzione del debito del partito. Una soluzione che non sarà mai definita se non sarà finalmente detto chiaramente ad ogni iscritto ed elettore del partito che le dimensioni raggiunte dal debito sono tali da costituire un vero e proprio limite allo sviluppo della funzione democratica del partito stesso. Una buona politica deve consentire a qualunque cittadino di sapere da dove essa trae le risorse di cui ha bisogno. Una politica padrona di sé deve essere padrona delle proprie risorse.

Sobrietà, coerenza, disponibilità ad ascoltare: non sono solo questioni di “stile” per i dirigenti del nostro partito
*** La piena laicizzazione della politica, cioè la sua emancipazione da costrizioni ideologiche e da controlli di apparati pone anche il problema dei comportamenti, dello stile dell'azione e della comunicazione da parte degli aderenti e in particolare dei dirigenti, di tutti coloro che hanno cariche e responsabilità pubbliche in nome della sinistra e dell'alleanza alla quale la sinistra partecipa. In passato la "correttezza" che diveniva talvolta "conformismo" era in un certo senso imposta, veniva all'individuo dall'esterno: si trattava di prenderne atto e di applicarla. Oggi non è più così; ed è un bene, è un segno di emancipazione. Ma proprio per questo, le persone - tutte e in misura proporzionale al loro ruolo, alla loro visibilità - sono chiamate a trovare in sé stesse la giusta misura degli atti e delle parole, e non solo nell'esercizio delle funzioni politiche, ma in ogni circostanza. La società nella quale viviamo, con l'attenzione crescente alle persone, con la diffusione, anzi l'invadenza, dei mezzi di informazione, rende rilevanti anche messaggi involontari e che scaturiscono da ambiti che con la politica non hanno a che fare. Si è, nella sostanza, giudicati per un modo di essere, di agire, di apparire complessivo; e spesso il giudizio si trasferisce dalle persone - tanto più quanto più sono autorevoli e rappresentative - alla parte politica nella quale stanno. La sobrietà, la coerenza, la disponibilità all'ascolto, la capacità di evitare manifestazioni di sufficienza e di arroganza sono beni che - in genere - i cittadini apprezzano in chi ha funzioni politiche e si attendono in particolare da chi si colloca a sinistra. Senza moralismi e burocratismi dobbiamo sapere che la costruzione di questa immagine sociale dipende dai comportamenti individuali di tutti e chiama dunque in causa la responsabilità di ciascuno. Certo è che una sinistra che coltiva e trasmette questa immagine è più gradita, è sentita più vicina.

Il nostro contributo all’unità del partito: una piattaforma omogenea ai tempi, senza bisogno di preamboli
*** L’obiettivo della nostra mozione è di dispiegare di fronte a tutto il partito il nucleo cruciale dei problemi che la sinistra deve affrontare: senza i vuoti, le dimenticanze, le contraddizioni, e qualche tratto demagogico, che riscontriamo in altri documenti. Non vogliamo fissare dentro il partito nuovi steccati o rinsaldare i vecchi; al contrario, invitiamo tutti a uscire da vecchi recinti per ritrovarsi su una piattaforma fatta di cultura politica omogenea ai tempi e di iniziative politiche precise e pienamente coerenti. Questa mozione mira ad affrontare con spirito aperto il rinnovamento delle strutture del partito, a consolidare una sinistra di governo che permetta all’Ulivo di riconquistare la maggioranza. Il nostro sincero contributo alla unità del partito è tutto qui. Non riteniamo utile nessuna ulteriore protesi, nessun preambolo burocraticamente tranquillizzante. Il processo di unità è lungo e impegnativo; non si può chiudere con dichiarazione affrettate, generiche e di compromesso. Non è una premessa. E' un esito.

Subito il processo costituente di un nuovo partito del riformismo socialista europeo… un Congresso ponte verso il futuro
*** Non chiediamo al prossimo congresso conclusioni “provvisorie”. Proponiamo di assumere la decisione di partecipare al processo costituente di un moderno partito del riformismo socialista europeo, non più "ex qualcosa".
La costituzione di questo nuovo partito -se vuole risultare credibile agli occhi di milioni di elettori che vivono drammaticamente la crisi della sinistra italiana e il suo apparente avvitarsi in divisioni e recriminazioni tutte dominate dal passato- dovrebbe avviarsi subito dopo il Congresso dei DS e concludersi entro l’estate del 2002: la chiarezza e la tempestività delle decisioni sono condizioni indispensabili per il successo. In questo senso, noi ribadiamo l’esigenza che il Congresso dei DS sia “ponte” verso il futuro, dell’Ulivo e del partito unitario della sinistra riformista.
Ciò vale anche per la leadership del partito dei DS: la grande legittimazione che deriva al segretario della elezione diretta da parte degli iscritti garantisce contro ogni forma di provvisorietà e precarietà, ma proprio per questo reclama il superamento - di fronte agli iscritti, in piena trasparenza - di ogni ambiguità in tema di direzione “duale” del partito. Gli iscritti votano ed eleggono, al Congresso, un segretario con le funzioni di alta direzione e responsabilità previste dallo statuto; non un segretario e un leader nella veste del Presidente. La "diarchia" ha prodotto danni molto pesanti negli ultimi anni. Non crediamo per i "caratteri" delle due personalità che l'hanno interpretata, ma per ragioni intrinseche.
Innanzitutto per questo siamo contrari alla elezione di un Presidente nel prossimo Congresso DS. E anche perché siamo convinti che sia giusto e utile riservare la designazione di un presidente al nuovo partito che bisogna costituire; nel quale, se i DS decideranno di confluire, non potranno certo dirsi cooptati.
I voti raccolti da questa mozione andranno a sostegno della candidatura di Enrico Morando a segretario dei DS.



I ritardi e gli errori politici che ci hanno condotto alla sconfitta elettorale e all'attuale crisi.

Crollo del comunismo, fine della prima Repub-blica: ripartire da lì, per capire meglio limiti ed errori
*** La svolta che segnò la fine del PCI e la nascita del PDS doveva segnare l'inizio di un lavoro lungo e severo. E' invece prevalsa la fretta di dichiarare concluso il processo di transizione ad una sinistra nuova. C’è stata la cancellazione dall'ordine del giorno di questioni decisive, che sono rimaste non chiarite e non risolte. In particolare sono restati fuori dall'attenzione due eventi di portata storica: il crollo del comunismo, con la conseguente fine dell'assetto bipolare del mondo; la dissoluzione in Italia del sistema dei partiti e del sistema politico che aveva preso corpo con l’ instaurazione della Repubblica democratica, anch'esso peraltro intimamente connesso con la collocazione geopolitica del nostro Paese.

Risultato: non si è capita la portata dell’Euro e si è frainteso il senso della nostra parteci-pazione con la Nato nei Balcani
La sinistra e il governo: risanamento, sicurezza internazionale, Europa
*** Un primo effetto negativo è stata la scarsa comprensione, quasi la estraneità, verso atti e risultati fra i più rilevanti compiuti dai governi della tredicesima legislatura. Lo si è visto innanzitutto con l'ingresso dell'Italia nel gruppo di testa dell'Euro: un obiettivo difficilissimo, ma soprattutto straordinario. Una grandissima riforma, non solo per lo spostamento di risorse economiche dalle rendite agli impieghi produttivi, ma soprattutto perché colloca l'Italia all’avanguardia nel cercare e trovare soluzioni agli inediti, stringenti problemi della sovranità sovranazionale in Europa, capitolo essenziale per disegnare una nuova ipotesi di equilibrio, di cooperazione e di governo democratico del mondo. Il raggiungimento di quel risultato non è stato vissuto come il più grande traguardo di una nuova politica riformista, ma quasi come un passaggio politicamente neutro; come il primo tempo, quello del "risanamento", rispetto al secondo, quello delle riforme davvero proprie della sinistra. Il varco politico e culturale del quale ha potuto servirsi Bertinotti per affondare il governo dell'Ulivo è stato esattamente questo.
Anche un altro importante passaggio, la consistente e impegnativa partecipazione all'intervento militare NATO nei Balcani, è stata vissuta nei DS in modo diviso: da alcuni come un’abdicazione ai valori e ai principi pacifisti della sinistra; da altri come una prova da sostenere, se non un rospo da ingoiare, per dimostrare la raggiunta "maturità governativa"; da ben pochi come la partecipazione ad un atto di giustizia internazionale. Il problema vero -l’organizzazione e la garanzia della sicurezza nel mondo dopo la fine dell'assetto bipolare- non ha raggiunto il grosso del partito.
Misuriamo adesso tutto il peso di questi ritardi. Una parte della sinistra, e anche dei DS, considera quello dell'Europa e quello della sicurezza obblighi che possono, al più, essere subiti quando si sta al governo; ma, in sé, dimensioni estranee alla sinistra stessa. Al contrario, proprio oggi si dovrebbero valorizzare al massimo e sviluppare tanto l'orizzonte dell'Europa quanto quello della sicurezza, grandi questioni aperte sulle quali la maggioranza e il governo attuali sono muti.



Per noi l’Europa unita è un riferimento strategico. Per la destra che ci governa, è il punto debole
Destra e Sinistra di fronte all’Europa
*** L'Europa è il vero punto debole del blocco che oggi governa: sia per divaricazioni di culture e di strategie politiche fra le diverse forze che lo compongono, sia perché le politiche economiche e sociali, e probabilmente anche quelle istituzionali alle quali il governo Berlusconi tende, collidono con gli impegni europei e con le tendenze prevalenti in Europa. Per non dire della disinvoltura con cui si trattano questioni come il conflitto di interesse e il falso in bilancio, che isolano l'Italia dal senso e dal costume comuni della pubblica opinione europea.
La politica della sicurezza non può essere sostenuta interamente dalla NATO, né delegata agli USA che hanno i loro interessi e i loro punti di vista, non necessariamente coincidenti con quelli di altri attori o con quelli medi della comunità mondiale. La fine dell'assetto bipolare propone con assoluta evidenza la necessità di pensare e costruire un nuovo sistema di equilibri, di corresponsabilità, di governo mondiale. Con altrettanta evidenza, questo sistema non può reggersi sul solo pilastro statunitense, per quanto forte esso sia. All'indomani del crollo del blocco sovietico sembrava che questa consapevolezza fosse molto diffusa. Ma è andata via via oscurandosi e oggi non sono pochi - chi auspicandola, chi temendola - quelli che ritengono possibile l'assunzione da parte degli USA dell'insieme delle "funzioni globali". Nessuna ipotesi di assetto equilibrato e sicuro del mondo può ovviamente prescindere dagli USA e dalle sue risorse, a cominciare da quelle concernenti le libertà e la democrazia; ma se gli USA pretendessero di esercitare da soli le "funzioni globali" -o se lo credessero possibile gli altri- ci troveremmo di fronte non a un nuovo "governo mondiale" ma ad un "unilateralismo egemonico", foriero più di tensioni che di sicurezza.
L'agglomerato delle destre che nel PPE si addensa non si sa quale idea abbia dell'Europa, come voglia collocarla rispetto agli USA, come e fin dove voglia estenderla ad Est, se e fino a che punto pensi di farle assumere specifiche e proprie responsabilità nel campo della sicurezza e lungo quali direttrici e con quali motivazioni geopolitiche, se e quanto sinceramente accetti i vincoli della moneta unica e delle relative convergenze, per non dire delle non ancora definite eppure necessarie politiche sociali; vincoli che stridono con sbrigativi approcci liberistici e attribuiscono un peso grande alle decisioni assunte in sede politica. La destra, dunque, non appare a suo agio di fronte alle scelte e alle prospettive legate all'unità dell'Europa. La sinistra, ovviamente non solo per questa ragione, deve assumere con la massima determinazione e coerenza l'idea dell'Europa unita, come punto di riferimento strategico di lungo periodo: perché ne dipende la possibilità di immaginare e costruire un nuovo equilibrio, condiviso e democratico, che consenta un accettabile governo del mondo; perché consente di innovare e consolidare la democrazia e le sue istituzioni; perché l'Europa è l'ambito storico, politico e culturale nel quale da più tempo e con più impegno (purtroppo anche a prezzo di grandi tragedie) si ricerca l'equilibrio e l'integrazione fra la libertà e l'eguaglianza, che costituisce la ragion d'essere stessa della sinistra.



Davanti alla globalizzazione non ci si lascia incantare dal mito del mondo schiavo delle “forze di mercato”. La sinistra progetta le forme del governo della globalizzazione
La globalizzazione
*** Dopo il crollo del comunismo, e a seguito di processi che, sulla base della diffusione dell'informatica ed altre innovazioni tecniche, investono insieme alla comunicazione anche la produzione, i servizi e soprattutto la finanza, è in atto quella grandiosa riorganizzazione e redistribuzione di poteri che va sotto il nome di globalizzazione. Tutte le istituzioni della democrazia sono sottoposte ad una fortissima tensione, poiché la politica fatica ad assumere quelle dimensioni globali che sole possono consentirle di corrispondere alla globalizzazione economico-finanziaria in atto. Tuttavia, l’atteggiamento della sinistra tradizionale nei confronti della globalizzazione è sbagliato. Sbagliato non solo nelle conclusioni, perché ne esaspera i pericoli e gli aspetti negativi, che indubbiamente ci sono, a discapito delle occasioni e degli aspetti positivi. E’ sbagliato nell’analisi, rappresentando il mondo globalizzato in cui viviamo come schiavo delle “multinazionali” o delle “forze di mercato”, soggetti impersonali inafferrabili dalla politica e che dominano dall’esterno una dimensione democratica che sarebbe tutta confinata negli stati nazionali. Ma le “forze di mercato” e le “multinazionali” fanno il bello e il cattivo tempo anche perché gli Stati Uniti ed i principali paesi industrializzati vogliono che lo facciano. E lo vogliono perché in questi paesi prevalgono (democraticamente!) governi che condividono un’analisi e sposano interessi secondo i quali una libera circolazione dei capitali è preferibile ad una architettura internazionale di controlli incisivi. Questa è la visione (e gli interessi) che hanno vinto con Reagan e la Thatcher e che le sinistre non sono riuscite sinora a sconfiggere. Quando ci riusciranno -soprattutto nei principali paesi, negli Stati Uniti, nell’Unione Europea, in Giappone- potranno costruirsi forme di governo internazionali che limitino la propensione alla crisi di una globalizzazione senza controlli e consentano interventi più efficaci in quelle aree del mondo dove si concentra la maggior miseria. Prendersela con il potere delle “forze di mercato” e l’impotenza degli stati nazionali e della democrazia è una grande scusa per giustificare le passate sconfitte e l’attuale mancanza di idee forti: se la sinistra ha idee chiare, se queste idee sono condivise, se queste sinistre con idee forti e condivise vincono democraticamente in un numero sufficiente di grandi paesi, si possono introdurre tutti i controlli e creare tutte le istituzioni internazionali necessarie a godere dei vantaggi della globalizzazione e a controllarne le conseguenze più negative.
Questo va ribadito anche perché non sono assenti segnali - non di rado a sinistra - che si possa giungere a considerare la democrazia qualcosa di inutile, se non un impaccio per raggiungere risultati considerati giusti e urgenti. Sicuramente la democrazia è chiamata a una nuova prova il cui esito non è scontato in partenza. La prova può e deve essere vinta eliminando le attuali aree di impotenza della democrazia, ricercando e costruendo gli strumenti di cui la democrazia ha bisogno per esercitare pienamente la sua efficacia nelle nuove condizioni che si sono create.





C’è di nuovo bisogno di dirlo: siamo incompatibili con la violenza
*** Deriva da qui la necessità che la sinistra riprenda oggi e motivi di nuovo una posizione nettissima sulla violenza: sull'uso, la tolleranza, la giustificazione, l’indifferenza di fronte alla violenza. La violenza, oggi, oltre a ricadere sotto censure umane e morali, di principio, sempre valide, esprime l'indifferenza o il rifiuto verso la "questione democratica"; segnala la disponibilità a disancorare l'azione, le prospettive, le sorti della sinistra dalla democrazia. Noi affidiamo tutto alla democrazia, al suo aggiornamento, al suo potenziamento. Siamo, di conseguenza, incompatibili con la violenza quando sono garantite le condizioni per una lotta democratica. Su questo punto - come tutti i riformisti devono - saremo netti, motivati, senza alcuna incertezza o oscillazione.

La lezione di Genova: prendere sul serio le ragioni dell’indi-gnazione di tanti giovani e rafforzare la politica del fare
*** I fatti di Genova durante il vertice del G8 forniscono in proposito ampia materia di riflessione. Le posizioni e le iniziative dei DS sono state segnate da incertezze e contraddizioni, le cui cause politiche e culturali stanno - a nostro avviso - in quanto abbiamo detto fin qui. In particolare, è sembrato che la sinistra quando è al governo organizza il G8 e, quando è all'opposizione, manifesta contro. Inoltre, non si è adeguatamente considerata la natura molto differenziata del movimento "antiglobalizzazione", di un sentire molto diffuso di estraneità verso "la politica" così come noi la interpretiamo.
Noi dobbiamo tenere nel giusto conto questa posizione di estraneità, non possiamo comportarci come non esistesse. Tra l'indignazione morale che muove tanti ragazzi e ragazze e le risposte "realistiche" che la politica può fornire i ponti esistono, ma non sono né evidenti né automatici. La sinistra deve rafforzarli. E se non saremo in grado di farlo, la violenza stessa degli slogan, la contestazione radicale di un fenomeno storico considerato come un male assoluto, la concezione stessa che l’infrazione della legge è legittima anche in uno stato democratico quando è motivata da dissenso politico o morale, porteranno una parte del movimento a posizioni eversive, comunque non democratiche.
Il modo di rafforzare i ponti non può essere quello di abbandonare il ruolo di politici riformisti e realisti, per "stare nel movimento". È quello di prendere sul serio le ragioni dell'indignazione e collegarsi ai pochi obiettivi che alcune parti del movimento esprimono. E partire da questi (norme per la regolazione della circolazione di capitali speculativi, remissione del debito, aumento degli aiuti internazionali, effettiva apertura dei mercati dei paesi più forti ai prodotti di quelli dei paesi più poveri), senza cedere di un centimetro rispetto alle obiezioni serie di realismo e di fattibilità.








Il giudizio sulla crisi politica 1989-94

La crisi politica ’89-’94 ha rotto i ponti col passato. Non è reversibile. Una parte dei DS si è illusa che lo fosse. Questo fa capire dove si è sbagliato in Bicame-rale e le ragioni del mancato impegno nel referendum del ‘99
*** L'altro punto archiviato in modo frettoloso e superficiale è la "grande crisi politica" degli anni 89-94. Solo da una lettura condivisa di quel periodo è possibile far scaturire un nuovo senso di appartenenza nazionale e trovare fondamenti di legittimazione alle nuove istituzioni (ancora largamente da definire) e ai nuovi soggetti politici che si sono aggregati, ma fanno fatica a motivarsi in modo positivo e convincente di fronte a sé stessi e di fronte agli italiani.
E' rimasto aperto un interrogativo essenziale per fissare una linea di condotta, per dare certezza ai militanti e alla pubblica opinione. Si trattava di una crisi che, per quanto profonda, avrebbe potuto essere reversibile, consentire cioè un ritorno alla sostanza - pur corretta in alcuni aspetti obsoleti - del precedente sistema politico, della precedente articolazione dei partiti? Ovvero la consistenza delle ragioni che l'hanno determinata e delle trasformazioni che ne sono derivate è tale da rendere illusorio e controproducente ogni tentativo di restaurare e ristrutturare quel che c'era prima?
La questione è stata, in buona sostanza, negata. Il che equivaleva a scegliere la strada della "reversibilità" della crisi e dei suoi effetti, senza assumere l'onere dell’argomentazione e della prova. E' stato un errore grave, probabilmente il più grave. A causa di quell'errore sono falliti anche i diversi tentativi di dare risposte convincenti agli sconquassi che la "grande crisi" aveva prodotto anche sul terreno istituzionale. E' fallita la Bicamerale, anche - e noi pensiamo soprattutto - perché il gruppo dirigente DS ha rinunciato a elaborare una proposta coerente di riforma, illudendosi che fosse possibile surrogarla con l'assunzione della presidenza della commissione stessa da parte del suo leader. Si è lasciato che fallisse per un pugno di voti il referendum del 1999, o apertamente osteggiato o lasciato in pasto alle divergenze esistenti.


Il giudizio sulla destra
La destra italiana va contrastata duramente per i suoi comporta-menti illiberali e per la concezione “pro-prietaria” del potere
*** Non c'è chiarezza neppure nel giudizio sulla destra. L'insieme del polo di destra, anche dopo l'ingresso di Forza Italia nel PPE, presenta un’ identità confusa e non definita anche per l’esistenza di pesanti incongruenze culturali e politiche fra le forze che lo compongono. Sono inoltre evidenti -e hanno segnato pesantemente i primi atti del governo- tratti incompatibili con lo stato di diritto e con i principi liberali: i molteplici conflitti di interesse, la proprietà di imponenti mezzi di comunicazione, televisiva e non, la disponibilità praticamente illimitata di risorse finanziarie da impiegare nella propaganda e nell’organizzazione politica. Per non dire di una concezione e di una pratica "proprietaria" del potere e dello stato nella quale convergono, ciascuno con il suo itinerario storico-culturale, tanto FI quanto AN e la Lega e che proprio per questo può diventare un collante minaccioso per il diritto che tutti i cittadini hanno di vedere la cosa pubblica come una risorsa comune.
Sono queste le ragioni specifiche e serie (oltre quelle "ordinarie", che contrappongono sempre e ovunque destra e sinistra) che alimentano un giudizio sulla destra italiana e giustificano un contrasto particolarmente vigili e severi. Ma queste, non altre. C'è chi pensa che se in Italia si enuclea una destra, questa non può che essere inaffidabile dal punto di vista liberale e democratico; e pensa che, se questa destra prende in mano il governo a seguito di competizioni elettorali maggioritarie, ne derivano necessariamente pericoli autoritari e liberticidi. Questo non è un giudizio sulla destra; è un giudizio sull'Italia, la cui democrazia non sarebbe in grado di sostenere l'alternanza, e risulterebbe stabile e sicura solo se organizzata su un inamovibile perno centrale. Solo se affidata alle regole proporzionali e alle pratiche consociative. Noi consideriamo sbagliato questo giudizio sull'Italia: perché non tiene conto dei cambiamenti intervenuti nella società e nella cultura; perché non tiene conto della collocazione e dei legami internazionali attuali dell'Italia; e infine perché considera il quinquennio 89-94 come un periodo che si può chiudere in parentesi per rimettersi sui binari precedenti, dopo il malaugurato e inopinato deragliamento. E' questa incertezza di giudizio che spiega il macroscopico errore compiuto dal centrosinistra in tema di conflitto di interessi.
Noi pensiamo che la critica e l’opposizione nei confronti della destra saranno tanto più efficaci quanto meno si contesterà alla destra di esistere e di voler esistere come tale; e si farà leva invece sui tratti e comportamenti illiberali che la caratterizzano e la distinguono in modo imbarazzante dalle destre dei paesi simili all'Italia, nostri amici e partner. Solo così smetteremo di oscillare fra "demonizzazione" e "inciucio".

Ulivo, Margherita, DS
Bene la nascita della Margherita, male la tentazione di assorbi-re nella Margherita (oppure nei DS) il progetto dell’Ulivo
*** Solo dopo il 12 maggio si sono cominciati a fare, anche nell'ambito dell'Ulivo, passi concreti che rivelano l'abbandono della tenace pretesa di poter far sopravvivere la nomenclatura partitica precedente la "grande crisi". In precedenza non solo i DS, ma l'insieme dell'Ulivo erano divisi intorno a questa questione; lo dimostrano i lavori della Bicamerale come l'atteggiamento verso il referendum e sulla modifica della legge elettorale. La diversità della posizioni non passava fra i DS e le altre forze dell'Ulivo, ma attraversava l'Ulivo nel suo insieme.
Il fatto più importante e più carico di potenzialità positive è la costituzione della Margherita. Il tentativo di aggregare in un soggetto politico nuovo forze con tradizioni diverse, ciascuna di grande spessore, dimostra che si è finalmente capita la necessità del cambiamento. Dopo questo passo avanti resta da evitare un ultimo errore, che condurrebbe ad un vicolo cieco: immaginare la possibilità di assorbire nella Margherita le ragioni dell'Ulivo nel suo insieme, di fare della sola Margherita il "soggetto a vocazione maggioritaria" o di pensare che l'Ulivo possa sopravvivere a rapporti di "diseguaglianza" o di "egemonia" di qualcuno a scapito di altri, si tratti dei DS o della Margherita. Imboccare questa strada segnerebbe la morte dell'Ulivo; ne abbiamo avuta più di un’avvisaglia negli anni recenti. E' lecito prevedere e sperare che, sulla base delle esperienze fatte, questo errore venga evitato. I DS devono tuttavia avere chiaro che ciò dipende anche da loro.

Insistiamo sull’Ulivo e sul nuovo partito del riformismo socialista perché sono le due scelte che assegnano alla sinistra un ruolo non subalterno nella costruzione del futuro
*** Solo pochi anni fa, giusto all’indomani della costituzione del governo Prodi, il primato dei partiti e la concezione dell’Ulivo come semplice coalizione di partiti erano convinzioni chiaramente espresse dai segretari dei due partiti maggiori, il PDS ed il PPI. D’Alema, in particolare, impostò una strategia che partiva da premesse esattamente antitetiche a quelle che abbiamo ora esposto: essere il Pds-Ds, gli eredi del comunismo italiano, e non l’Ulivo, il soggetto a vocazione maggioritaria, proprio come negli altri grandi paesi europei lo erano i partiti del movimento operaio e socialista. Di qui -al momento della caduta del governo Prodi, provocata dall'irresponsabile scelta di RC- la scelta di portare il leader dei DS alla guida del governo, senza quel passaggio elettorale che lo stesso D'Alema aveva tante volte dichiarato indispensabile. Di qui la forzatura politica sulle elezioni regionali del 2000, per superare quel deficit di legittimazione popolare.
Ma i DS e il centrosinistra hanno perso sia le Regionali, sia le Politiche. Se ne deve dedurre che in Italia la sinistra - cioè un uomo o una donna di sinistra - non può e non potrà mai guidare un governo di alternativa ai conservatori? No. Semplicemente, allora il PDS-DS mostrò di ritenere concluso - o comunque di sottovalutare - un cammino (quello della costruzione di un partito del socialismo europeo in Italia non connotato come ex comunista e quello del consolidamento di uno stabile soggetto unitario di tutti i riformisti) da lui stesso rallentato e contraddetto.
Rallentato, per la mancata innovazione della sua cultura politica e della sua piattaforma programmatica. Proprio quell'innovazione che era in atto nei partiti socialisti europei quando il PDS aderì all'Internazionale Socialista - una sorta di vera e propria rifondazione della socialdemocrazia. Contraddetto, con il discorso di D’Alema a Gargonza sopra il rapporto tra partito e Ulivo e con le scelte compiute in proposito negli anni successivi, fino alla preparazione delle elezioni del 13 maggio (le modalità per la scelta del candidato Presidente del Consiglio; la totale assenza di regole per la scelta dei candidati di collegio).
I DS non sono ancora un partito che gli italiani possano percepire come segnato da una netta discontinuità rispetto al PCI; né come un partito che, da solo, possa incorporare la “vocazione maggioritaria” o essere soggetto-guida dell’intera coalizione. E’ un punto cruciale che spiega perché insistiamo tanto sulla strutturazione dell'Ulivo e sul nuovo partito del riformismo socialista: sono queste le due scelte che assegnano alla sinistra un ruolo non subalterno, e nello stesso tempo politicamente efficace nella costruzione del futuro dell'Italia.




L’Ulivo per noi: federazione di partiti, associazioni, movimenti, individui

Il campo di forze sociali che in Europa si riconosce nei parti-ti del PSE, in Italia fa riferimento all’Ulivo. Tocca all’Ulivo la politica delle alle-anze. E tocca all’Ulivo la respon-sabilità di fissare regole certe per la scelta del futuro premier. E non solo
*** In Italia il soggetto portatore della "vocazione maggioritaria", il soggetto che aspira a governare e si oppone al centrodestra, è l'Ulivo. E' l’Ulivo lo strumento attraverso il quale i riformisti italiani possono costruire una credibile proposta di governo, fondata su di un nuovo equilibrio tra le esigenze della libertà e quelle della sicurezza, contrapponendosi al populismo individualista del centrodestra.
Per questo l’Ulivo va coltivato e fatto crescere, combattendo apertamente tutti i particolarismi e le tentazioni egemoniche delle sue singole componenti che lo hanno indebolito e ne hanno minato la credibilità.
Se l’Ulivo ha potuto raccogliere il consenso di un così ampio numero di cittadini - molto al di là della somma dei consensi dei partiti che ne fanno parte - ciò è dovuto al fatto che esso è percepito come una sorta di organizzazione non partitica, non burocratica, cui si può partecipare anche senza essere iscritti a niente. Questa idea dell’Ulivo deve contaminare e corrodere tutte le vecchie forme-partito.
E' l'Ulivo che conferisce funzione di governo ai singoli partiti che ne fanno parte: per questo, l'innovazione e la stessa aggregazione delle singole componenti della coalizione può essere perseguita con successo solo attraverso un'iniziativa contemporanea e contestuale a quella di consolidamento e strutturazione dell'Ulivo in una vera e propria Federazione di partiti, movimenti, associazioni, singoli cittadini.
La "Cosa 2" di Firenze è stata concepita e perseguita se non in antitesi, certo in perfetta autonomia e separatezza rispetto al processo di consolidamento e strutturazione dell'Ulivo; questo errore, assommandosi a quello di verticismo ed alla pretesa di procedere per cooptazione, ne ha provocato il sostanziale fallimento. E ciò varrebbe anche se prevalesse la tentazione di trasformare la Margherita in un partito autosufficiente, di tipo tradizionale.
Noi rifiutiamo la divisione del lavoro tra sinistra e centro - si legga oggi DS e Margherita - dentro l'Ulivo, sia sul piano sociale, sia sul piano politico. Sulla rappresentanza sociale basterà ribadire che il campo di forze sociali di cui nei principali paesi europei sono espressione e interpreti le grandi forze del socialismo democratico, è lo stesso che in Italia si riconosce nell'Ulivo. Quanto alla divisione del lavoro sul piano delle alleanze politiche è evidente in quale aberrazione essa dovrebbe tradursi: la sinistra fa il suo mestiere e si dirige all'alleanza con R.C.; la Margherita fa altrettanto e si occupa di Lista Di Pietro e Democrazia Europea. Risultato: o nessuna alleanza per l'Ulivo, o lo squilibrio del suo profilo politico-programmatico nell'una o nell'altra direzione. E' chiaro che l'Ulivo deve essere capace di alleanze con altre forze politiche, come accade per i grandi partiti del PSE a vocazione maggioritaria. E se l'Ulivo è solido e strutturato come soggetto portatore della vocazione maggioritaria, allora può contrarre le alleanze politiche di cui ha bisogno per prevalere sul centrodestra. Mentre se l'Ulivo è una debole coalizione di partiti, messa su qualche mese prima delle elezioni, può persino accadere quello che sta accadendo dopo il 13 maggio: che ciascuno chieda conto all'altro di alleanze e accordi non fatti, di cui nessuno sa darsi ragione.
In Europa, sono i grandi partiti membri del PSE a costituire l'asse dell'alternativa di governo al centrodestra: essi possono allearsi con altre formazioni politiche, ma forniscono e propongono agli elettori di centrosinistra la leadership per il governo e la sostanza della piattaforma programmatica. In Italia, solo la costruzione dell’Ulivo può dar luogo ad una forza che svolga questa stessa funzione politica. Questo è il dato specifico della situazione italiana rispetto alla situazione diffusa in Europa. In Italia il progetto dell’Ulivo assolve a una funzione simile a quella svolta altrove dai grandi partiti del socialismo europeo.

Come consolidarlo e strutturarlo
L’Ulivo va dunque consolidato e strutturato in una vera e propria Federazione dei diversi riformismi italiani, dotata di regole certe per la selezione democratica della leadership, delle candidature uninominali, e per la adozione dei programmi di governo.
Si propongono precise ed immediate scelte politiche:
a) La costruzione di una Federazione dei gruppi parlamentari dell’Ulivo.
b) In ogni Collegio elettorale della Camera deve sorgere un Comitato dell’Ulivo, cui si possa aderire sia individualmente sia collettivamente - attraverso l’iscrizione ad uno dei partiti dell’Ulivo, ad un'associazione o movimento.
c) Il Comitato Nazionale dell’Ulivo deve assumersi la responsabilità di elaborare - entro un anno - un regolamento per la tenuta di consultazioni elettorali primarie per la scelta del candidato Presidente del Consiglio, dei candidati Presidente di Regione, di Provincia e Sindaco e per la scelta dei candidati di collegio uninominale. La Federazione dei gruppi dell’Ulivo deve presentare una proposta di legge sulle consultazioni elettorali primarie ed insistere per la sua approvazione nella prima parte della legislatura, anche legando la tenuta delle primarie al finanziamento della campagna elettorale.
E’ ovvio che si tratta di scelte che non possono essere assunte da una singola componente dell’Ulivo. Ma i DS intendono finalmente determinarsi ad un'incalzante iniziativa per proporre la loro adozione da parte di tutto l’Ulivo?
Non bastano generiche dichiarazioni di “disponibilità”, magari seguite dalla tanto pronta quanto sospetta presa d’atto della “indisponibilità” di altri. Ne va della forza e della credibilità dell’opposizione al governo Berlusconi. E’ in gioco la possibilità stessa di preparare l’alternativa. Non può essere in alcun modo sottovalutato il fatto che, in questa prima fase della nuova legislatura, il centrosinistra non abbia saputo parlare con una sola voce - e si sia anzi clamorosamente spaccato - su questioni cruciali.
Non sarà neppure sufficiente che il Congresso Nazionale dei DS - a metà novembre - si pronunci favorevolmente su queste proposte di strutturazione dell’Ulivo, se prima di allora, i DS stessi non avranno prodotto fatti politici volti ad innescare questo processo di strutturazione dell’Ulivo, in una prospettiva federativa.


L’Ulivo, il PSE e il nuovo partito della sinistra

Favorire il confronto tra il PSE e i riformi-smi “non socialisti”. E noi socialisti dell’ Ulivo abbiamo un compito speciale
*** L'Ulivo può affermare pienamente la propria funzione a condizione che tutte le sue componenti conoscano una profonda innovazione di cultura politica, di piattaforma programmatica e di struttura organizzativa.
Tutti i partiti socialisti sono già oggi luogo di incontro e di reciproco scambio tra questi diversi riformismi. Deve diventarlo sempre di più anche il PSE, se vuole corrispondere - come deve - al mutamento da tempo in atto nel PPE, ormai trasformato anche formalmente, dopo il congresso di Berlino della scorsa primavera, in casa comune del centrodestra europeo.
Va affrontato un duplice problema: aprire il PSE ad un confronto, ad una collaborazione e ad una vera e propria integrazione con altre forze riformiste di ispirazione cristiana, democratico-laica e ambientalista, a partire da quelle che non aderiscono a, o fuoriescono da, un PPE che si trasforma in polo conservatore di centrodestra; costruire un rapporto tra l'Ulivo italiano e il PSE in trasformazione, così che l'Ulivo possa trovare una stabile e coerente collocazione nel bipolarismo europeo e il PSE rafforzarsi come asse dell'alternativa di centrosinistra ai conservatori europei.
Il riformismo italiano che si richiama all'ispirazione del moderno socialismo europeo può e deve svolgere, in questo senso, un’importante funzione politica.
Se la sinistra italiana resta nei confini della sua attuale configurazione partitica (due partiti dell’I.S., entrambi percepiti come ex… ciò che furono nel secolo scorso) non è in grado di portare all’Ulivo il contributo che le è proprio, necessario all’Ulivo. E non è in grado neppure di realizzare quell'innovazione di cultura politica, piattaforma programmatica e leadership che ha caratterizzato negli ultimi 10 anni tutti i grandi partiti socialdemocratici d’Europa, rendendoli capaci di governare.
Nessun progetto che abbia questa ambizione può essere perseguito senza far leva sulle straordinarie risorse politiche, culturali e umane - di militanza, di capacità di rappresentanza e di governo - oggi raccolte nei DS. Allo stesso modo, una pretesa di autosufficienza dei DS nel perseguimento di questo progetto lo condanna all’insuccesso: ecco perché è indispensabile che il Congresso dei DS concepisca le sue conclusioni come un atto, per quanto decisivo e condizionante, del più ampio processo di costruzione di un unitario partito del riformismo socialista, nell’Ulivo e per l’Ulivo.
Il convinto impegno dei DS per l’avvio della costituente di questo nuovo partito non basta. Né è sufficiente quello di eminenti personalità e delle altre forze della tradizione socialista italiana (SDI e PdCI). Esso costituisce tuttavia la condizione indispensabile per animare l’impegno di tanti cittadini -giovani e meno giovani- che oggi non partecipano alla vita politica della sinistra perché sono stanchi delle vecchie divisioni, di cui spesso ignorano le ragioni. Proprio quell’impegno di molti che è necessario perché nessuno, nella sinistra riformista e di governo, si senta “cooptato” da qualcun altro.
Attraverso questa mozione noi vogliamo chiamare a raccolta anche quanti nei DS sono oggi delusi e sfiduciati, ma possono tornare ad entusiasmarsi di fronte a questo progetto unitario, che sollecita ad investire sul futuro, uscendo dall’angusto conflitto tra “ex”.



Il socialismo delle libertà

È giunto il momento per un nuovo incon-tro tra un partito profondamente radi-cato nella cultura socialista e la tra-dizione della sinistra liberale
*** Il socialismo del XXI secolo è socialismo liberale, è la fusione in un nuovo amalgama dei grandi orientamenti culturali che hanno dominato la sinistra nei due secoli successivi alla Rivoluzione francese: l’orientamento liberale del XIX e quello socialista del XX. Due orientamenti che, quando si sono incontrati -si pensi alla straordinaria fecondità della “fusione” tra Keynes ed il laburismo- hanno dato luogo alla crescita sociale e civile del “secolo socialdemocratico”. Ma che si sono spesso presentati come avversari, per gli obiettivi generali che si proponevano come per gli strumenti utilizzati al fine di analizzare l’economia e la società.
Va dunque esplicitamente promosso il definitivo superamento di questo contrasto: la corrente di sinistra del liberalismo, la corrente democratico-liberale, è tanto interessata quanto il socialismo democratico a definire e promuovere quel quadro di regole, di istituzioni, di interventi pubblici, il quale, senza interferire in modo intollerabile con la libertà di alcuno, offra la possibilità al maggior numero di persone di esercitare un'effettiva scelta di piani di vita. Libertà per molti, invece che libertà per pochi. Libertà eguale, insomma.
In termini politici, qui ed ora va asserito che è giunto il momento in cui un partito profondamente radicato nella cultura del movimento socialista faccia i conti non soltanto con la sua variante comunista - siamo convinti che, all’ingrosso, li ha fatti- ma anche con quell’antipatia spontanea verso il pensiero liberale che deriva da decenni di conflitti e incomprensioni.

Non si è stati capaci di ampliare la sfera delle libertà… non certo per colpa di un riformismo “senza popolo” o calato dall’alto
*** La sinistra e l’Ulivo non hanno perseguito con coerenza politiche che, in una logica di inclusione e di forte solidarietà sociale, fossero anche in grado di ampliare la sfera delle libertà. Non si è trattato di un limite dovuto ad un errore di giacobinismo, di riformismo dall’alto, “senza popolo”: il popolo che avrebbe accolto con favore iniziative in quella direzione c’era, eccome. Si è trattato di qualcosa di più grave: è mancata quella svolta nella cultura politica della sinistra che poteva nascere solo da un’aperta battaglia. Esattamente quella svolta che, negli ultimi dieci anni, è stata attuata da gran parte dei partiti socialisti europei - dal New Labour della Terza via alla Spd del Nuovo centro, al nuovo corso del partito spagnolo - e che nel PDS-DS è stata tante volte evocata (conclusioni di D’Alema al congresso del ’97, mozione di Veltroni sul socialismo liberale a Torino), ma mai apertamente proposta e fatta oggetto di un’ impegnativa decisione congressuale.

Una società più ricca e più complessa avanza domande di più libertà, più autonomia: stato federale, liberalizza-zioni, sburocratizza-zione, più sicurezza personale
*** Nei DS e nella sinistra molti ancora condividono la visione classista che ispirava la vecchia socialdemocrazia e i partiti comunisti; al di là degli orientamenti ideologici, molti di più - in pratica- sono aggrappati ai grandi soggetti sociali del passato, alle organizzazioni che li rappresentano e alle loro rivendicazioni, alle istituzioni concrete che queste hanno contribuito ad affermare.
L’abbiamo già detto nel preambolo, ma conviene ribadirlo: tanti fanno continui richiami alla necessità che la sinistra si rifondi “a partire dal lavoro”. Questa “rifondazione”, o rivela una modesta ambizione difensiva, oppure si richiama alla grande visione egemonica che la sinistra condivise nel passato, quella del socialismo e del comunismo marxisti. In questa visione il lavoro è sicuramente centrale, e in un senso teoricamente assai forte. Teoricamente forte, ma sbagliato e politicamente sterile. La “rifondazione” di cui abbiamo bisogno è diversa, è quella che parte dall’individuo e dai suoi piani di vita e che sforza il concetto di libertà il più possibile verso le possibilità effettive dei molti invece di limitarlo al massimo arbitrio dei pochi. É in questo contesto, non certo in uno marxista e classista, che è possibile accogliere senza forzature le domande di libertà, di autonomia, di differenziazione che una società sempre più ricca e complessa suscita. Nello stesso mondo del lavoro, le sicurezze, le tutele, i “diritti” sono certo crucialmente importanti. Ma non sono più uniformi. É partendo da questa analisi dei mutamenti sociali in atto che noi ci sforziamo da tempo di mettere a fuoco i tratti essenziali del programma politico di un moderno riformismo: coraggiosa riforma federale dello Stato, liberalizzazione di tutti i mercati chiusi ed oligopolistici, sollecitazione di una riforma degli Ordini professionali che impedisca agli insiders di sbarrare l'ingresso agli outsiders, destatalizzazione e sburocratizzazione, sicurezza personale, riduzione della pressione fiscale a fini di sviluppo.

Inclusione, conoscenza, partecipazione, piena cittadinanza dei diritti delle donne: quattro obbiettivi essenziali per la sinistra. In gioco c’è un futuro di libertà per molti e non per pochi, un futuro di “libertà eguale”
*** Quattro sono gli obiettivi essenziali ai quali la sinistra nuova deve mirare.
(a) Il primo è l'inclusione. La società che la sinistra vuole è una società che esclude l'esclusione, una società che promuove, organizza e realizza l'inclusione non solo economica e sociale, ma anche culturale e civica. Nella società contemporanea emergono continuamente nuovi fattori di esclusione. Identificarli tempestivamente consente di individuare i nuovi soggetti deboli, che reclamano e meritano protezione. Meritano di essere aiutati a camminare da soli. La sinistra che pretende di identificare queste politiche di inclusione con la pura difesa del vecchio sistema di garanzie perde il carattere di soggetto protagonista dell’innovazione.
(b) Il secondo è la conoscenza. La sinistra combatte l'ignoranza, l'impossibilità di accedere a dati e informazioni, l'incapacità di utilizzarli, l'indisponibilità o la perdita degli strumenti che consentono alle persone di accrescere ed aggiornare continuamente le loro conoscenze. É fondamentale che si continui a produrre nuova conoscenza attraverso nuova ricerca, non ostacolata da vincoli pregiudiziali di ordine ideologico né da condizionamenti di carattere economico, nel quadro di principi di comune umanità. La sinistra di oggi vede che si stanno creando le condizioni e insieme le domande per cui la diffusione della conoscenza, la generalizzazione dell'accesso alla conoscenza può avvicinare a uno dei più grandi ideali dell'umanità: l'unificazione della specie nella consapevolezza della sorte comune.
Nella stagione di governo che ci sta alle spalle abbiamo investito molto sulla scuola e sul sistema formativo, facendola oggetto di un disegno organico di riforma. L'obiettivo di questa strategia riformista - che ha provocato reazioni conservatrici, ma ha anche suscitato energie e impegno - era quello di accrescere la "sicurezza" dei cittadini-lavoratori-consumatori di domani; e di mettere questa sicurezza al servizio di nuovi e più elevati livelli di autonomia e libertà individuali.
La scelta strategica, in questo campo, è stata ed è quella dell'autonomia degli istituti scolastici, rispetto alla quale siamo stati avari di risorse economiche (il solito vizio centralistico della sinistra) e di impegno politico diffuso sul territorio, a partire da quello del sistema delle istituzioni locali. Non abbiamo ridisegnato il nostro modello di governo locale alla luce della nuova priorità - diffondere sicurezza e uguaglianza attraverso la formazione, così come facemmo a metà degli anni '70 con i servizi sociali - e abbiamo lasciato autonomia scolastica e obbligo formativo fino a diciotto anni nelle sole mani degli insegnanti più impegnati e degli studenti più consapevoli, entrambi vittime predestinate della burocrazia di quella che resta - con poco meno di un milione di addetti - la struttura con più personale che esista al mondo.
Il centrosinistra dovrà saper colmare questo limite della propria iniziativa riformista di governo: a ben vedere, è la formazione a tenere assieme - in una convincente strategia di governo delle innovazioni sociali, economiche e civili in atto - la questione della "occupabilità", la questione del rafforzamento dei diritti individuali e delle libertà civili, la questione della sicurezza e quella della competitività nell'economia globale.
(c) Il terzo è la partecipazione democratica alla decisione. L'inclusione senza la conoscenza condannerebbe una parte grande della umanità a lavori poveri, a ruoli sottomessi. L'inclusione e la conoscenza senza la possibilità di prendere parte alle decisioni condannerebbe una parte ancora più grande della umanità alla soggezione e alla sudditanza.
(d) Il quarto è la piena cittadinanza dei diritti delle donne. Nel mondo globalizzato, la crescita del protagonismo economico, sociale e civile delle donne costituisce una risorsa decisiva per le strategie di inclusione e di sviluppo. Dai grandi temi dell'equilibrio demografico e dell'ecosistema, fino alle politiche di allargamento della partecipazione alle forze di lavoro in Italia, la sinistra riformista risulterà capace di iniziativa e di proposta solo se -avendo il riconoscimento della differenza come proprio principio ispiratore- assumerà le domande delle donne come naturalmente e compiutamente "sue".
E' necessaria una nuova grande stagione di immaginazione, sperimentazione, costruzione di una democrazia capace di incontrare i poteri ovunque essi si trovano e capace di articolarsi in modo da confrontarsi con essi, da accompagnarli in ogni loro azione e manifestazione. E' un compito arduo ed esaltante, al quale la sinistra deve cercare di associare la generalità delle persone; è la costruzione difficile e inesauribile della libertà futura, perché dal suo successo dipende se il futuro sarà segnato da una libertà per pochi o per molti. Anzi, per tutti.


Emanuele Macaluso aderisce alla mozione Morando, "E' la più innovativa"


PRIMI FIRMATARI


MORANDO ENRICO


Bettoni Monica, parlamentare;
Bucciarelli Anna;
D'Alessandro Prisco Franca;
Negri Magda;
Pagano Graziella, parlamentare;
Ripoli Clara, sez. Policoro MT;
Senesi Gianna;
Bagnato Agostino, resp. Aut. Tem. Impresa più, sez. Laurentino (Roma);
Barbera Augusto;
Bettiol Claudia, sez. Belluno;
Bontempelli Michele, Sindaco Pellizzano UdB Val di Sole Trentino;
Borghesi Gianfranco Novafeltria (PU) membro dir. Reg. DS Marche @;
Caroccia Edoardo, Presidente Comitato Reg.Le Inps, Direttivo Reg.Le Cgil
Codispoti Giuseppe, Sez. Cinecittà (Roma)
D'Alò Giuseppe;
Debenedetti Franco, parlamentare;
De Vecchi Sandro, Belluno;
Di Berardino Nino, Segretario di Sezione, S. Omero Te;
Di Fonzo Giovanni;
Festa Guglielmo, Segr. Naz. Fed. Formazione e Ricerca CGIL, Sez. Porta S Giovanni, Fed. Roma;
Figurelli Michele;
Galeazzi Renato;
Grazzani Nino;
Leo Gianfilippo, sez. Belluno;
Lucia Franco, sez. Lamezia Terme (CZ);
Mantovani Silvio;
Massari Oreste;
Meloni Salvatore, presidente LegaCoop, della direzione regionale dei DS, UdB Nuoro @;
Nannicini Tommaso, sez. centro storico Firenze;
Nisticò Franco, resp. Aut. Tem. agricoltura Calabria;
Olivieri Luigi, parlamentare
Palma Angelo, Sez. Centocelle (Roma)
Pascale Alfonso, Vicepresidente CIA, Roma;
Pasquino Gianfranco;
Pellegrino Giovanni;
Petruccioli Claudio, parlamentare;
Piva Paolo;
Primi Fiorello, Sindaco e Direz. Reg., sez. Castiglione del Lago (PG);
Puddu Lello, Fed. Cagliari;
Quartiani Erminio, sez. Rizzi Melegnano, (MI);
Quercini Giulio;
Rossi Afro, Sez. Salario-Nomentano (Roma)
Ricci Roberto, Resp. Reg. Aut. Risorsa Scuola, Abruzzo;
Rognoni Carlo, parlamentare;
Salvati Michele;
Santucci Enzo;
Talucci Gaetano, Segretario di Sezione, Nereto TE;
Tanzarella Angelo, sez. Belluno;
Tempestini Francesco;
Trefiletti Rosario, Segr. Gen. Fed. Consumatori CGIL;
Turci Lanfranco, parlamentare;
Vitali Roberto;


Per firmare la mozione "Per salvare i Ds, consolidare l'Ulivo e costruire un nuovo, unitario partito der riformismo socialista" e candidare a segretario Enrico Morando, invia la tua adesione e i tuoi dati (nome e cognome, numero di tessera, sezione e località di iscrizione) per e-mail a: info@libertaeguale.com 


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