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'La sinistra cambia per governare il futuro. Con l'Italia. Nell'Ulivo.', dal sito www.dsonline.it 

Mozione per il II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra

10 Settembre 2001

Presentazione - LA SINISTRA DI CUI ABBIAMO BISOGNO

TESI 1. UNA FORTE OPPOSIZIONE CAPACE DI PARLARE ALLA SOCIETA’

TESI 2. LE RAGIONI DELLA SCONFITTA

TESI 3. GLOBALIZZARE I DIRITTI - CIVILIZZARE LA GLOBALIZZAZIONE

TESI 4. IL FUTURO DELL'ITALIA E' L'EUROPA

TESI 5. TENERE INSIEME MODERNITA’ E DIRITTI

TESI 6. LIBERTA’ E LAICITA' VALORI DELLA SINISTRA

TESI 7. LA PRIMA LIBERTA' E' IL LAVORO

TESI 8. UN SINDACATO DEMOCRATICO, UNITO, AUTONOMO E RICONOSCIUTO

TESI 9. PIU’ SAPERE PER IL FUTURO DI UNA NUOVA GENERAZIONE

TESI 10. L'AMBIENTE MISURA DELLA VITA

TESI 11. QUALITA’ E INNOVAZIONE PER LE SFIDE DEL MERCATO

TESI 12. PER UN MEZZOGIORNO PROTAGONISTA

TESI 13. UNA SOCIETA’ SENZA ULTIMI.
UNO STATO SOCIALE PER LA PERSONA.

TESI 14. UN NUOVO PATTO TRA LE DONNE ITALIANE E LA SINISTRA

TESI 15. LA CRISI DELLA POLITICA, LA RIFORMA DELLO STATO

TESI 16. UNA SINISTRA RIFORMISTA UNITA

TESI 17. LA NOSTRA COALIZIONE, L’ULIVO

TESI 18. UNA POLITICA FORTE DI IDEE, VALORI, PASSIONI, PROGETTI

TESI 19. IL PARTITO CHE VOGLIAMO





LA SINISTRA CAMBIA. PER GOVERNARE IL FUTURO. CON L'ITALIA. NELL’ULIVO.



Presentazione

LA SINISTRA DI CUI ABBIAMO BISOGNO

I Democratici di Sinistra vanno al Congresso più impegnativo dalla “svolta” dell’89 ad oggi. E’ alle nostre spalle un decennio che ha cambiato il mondo, l’Europa, l’Italia.
Sul piano internazionale il decennio della caduta del muro di Berlino, del crollo del comunismo in Europa, della fine dell'epoca bipolare, dell'euro, della globalizzazione.
In Italia il decennio della crisi della prima Repubblica e dei suoi partiti, della trasformazione bipolare del sistema politico, del Polo e dell'Ulivo, della piena integrazione europea del Paese.
E tutto ciò ha prodotto mutamenti demografici, sociali, economici, culturali e politici di enorme portata.

La globalizzazione è entrata prepotentemente nella nostra vita e ogni giorno di più fenomeni fino a ieri circoscritti alla dimensione nazionale assumono carattere globale, sollecitando a costruire soluzioni globali che contrastino iniquità e ingiustizie e diano alla globalizzazione il segno della civiltà e dell’umanità. Ed un punto di fondo dell’identità della sinistra assumere la lotta alle ingiustizie planetarie come asse del proprio programma, anche per mettere in moto quel circuito tra politica e società che rende forte e convincente il riformismo.
L’integrazione europea ha conosciuto, con l’euro, un salto in avanti e si appresta con l’allargamento a nuovi paesi ad avviare una seconda grande fase di unificazione politica ed economica del continente, che sollecita sempre di più a pensare il futuro di ogni nazione in Europa e a progettare un ruolo dell’Unione Europea nel mondo che rifugga da ogni forma di “egoismo europeo”.
E nello stesso tempo la società italiana è venuta conoscendo trasformazioni che mutano ogni giorno il modo di lavorare, di produrre, di consumare, di comunicare, di vivere.
Cambiamenti che fanno maturare nuove domande di libertà, di rappresentanza, di diritti, a cui una sinistra che abbia ambizioni di governo deve sentire la responsabilità di offrire risposte adeguate.

È questo l’orizzonte entro cui si colloca il II^ Congresso dei Democratici di Sinistra. Un Congresso che muove dall’idea che valori e idealità per cui la sinistra è nata e vissuta - la libertà, l’uguaglianza, la giustizia, la dignità della persona, il lavoro, la solidarietà, le pari opportunità per uomini e donne - non hanno esaurito affatto la loro funzione. Anzi, proprio guardando alla società e al mondo di oggi risulta ancor più evidente la necessità di battersi perché ogni uomo e ogni donna siano liberati da ogni forma di oppressione, di alienazione, di dipendenza o riduzione della propria libertà.
Oggi più che mai c’è bisogno di sinistra e dei suoi valori per governare il futuro.

Ciò è tanto più vero guardando alla sconfitta del 13 maggio, che chiede a noi - come alle altre forze del centrosinistra una seria discussione sull’esito del voto, sulle ragioni della sconfitta, sull’esperienza di governo, sull’Ulivo e sulla sinistra, sui problemi a cui non siamo riusciti a dare una risposta convincente, sulle attese e i bisogni su cui la destra ha fatto leva sia pure in modo demagogico e ingannevole.
Per fare questo salto è necessario spiegare perché la sinistra, avendo guidato e partecipato a governi che sono stati tra i migliori della storia dell'Italia repubblicana, abbia perso tanti consensi. E per quali ragioni l’Ulivo che aveva suscitato tante speranze abbia conosciuto un appannamento della sua credibilità. E soprattutto perché la sinistra, e il nostro partito in particolare, scendano ai minimi storici con un elettorato socialmente statico e anagraficamente in invecchiamento. Tendenze peraltro già manifestatesi nelle elezioni europee e regionali senza che se ne traessero le dovute conseguenze.

Ce n’è abbastanza per dire che "o si cambia o si muore". Urge uno scatto, una svolta radicale, capace di ridefinire l’identità della sinistra e rimotivare la sua funzione nell'Ulivo e nell'Italia.

Ciò è tanto più necessario di fronte ad un centrodestra che fin da subito ha reso evidente il suo profilo.
Le inquietanti vicende di Genova; la spregiudicatezza con cui si è accreditato nell’opinione pubblica un inesistente “buco” finanziario, si è depenalizzato il reato di falso in bilancio, si è modificata la legislazione sulle imprese cooperative; il modo sbrigativo con cui si è marginalizzata la concertazione con le parti sociali; la determinazione di messaggi aggressivi su temi sensibili - la devolution, l’immigrazione, la scuola, le tasse, l’aborto, i licenziamenti - dicono che siamo di fronte a un centrodestra che scivola verso politiche più marcatamente di destra. Una maggioranza che - anche confidando sul sostegno di settori economici e finanziari - manifesta l’ambizione di consolidare la propria vittoria dando luogo a un “lungo ciclo” di governo, non dissimile da quello conosciuto in Gran Bretagna con la Tatcher.
E tutto ciò si accompagna ad una concezione dello Stato e del potere che non esita a sacrificare la preminenza degli interessi generali, a favore di logiche corporative e di interessi di parte.
Né è scontata l'irreversibilità del rapporto con l'Europa, considerata dalla destra un "male necessario", anziché una scelta strategica per il futuro dell'Italia.

La nostra sconfitta è tanto più grave perché giunge al termine di cinque anni di governo. E se un’onesta valutazione non può non riconoscere che l’Italia del 2001 è certamente un paese più forte, più solido, più competitivo, più moderno di quanto non lo fosse cinque anni fa - e questo è merito del centrosinistra e della sinistra - ciò non solo non attenua la gravità della nostra sconfitta, ma rende ancora più stringente la necessità di un’indagine sulle sue ragioni di fondo.

Ci sono stati certamente errori di gestione, incapacità di comunicare al Paese il senso dell'azione di governo, scarsa convinzione nel valore dell'Ulivo e della coalizione, forte difficoltà dei partiti - a partire dal nostro - a mantenere saldi rapporti con la società. E una seria riflessione critica va condotta su passaggi cruciali quali la Bicamerale, il conflitto di interessi, nonché la crisi del governo Prodi e la formazione del governo D'Alema, passaggio di cui si sono sottovalutati gli effetti di indebolimento dell’Ulivo e dell’azione di governo.
Così come ha pesato la difficoltà del centrosinistra a realizzare - come nel ’96 - un largo sistema di alleanze cosa che, invece, è riuscita alla destra.
Ma, soprattutto, occorre dare una convincente spiegazione sul perché, raggiunto lo straordinario obiettivo della partecipazione italiana all'euro - meta intorno a cui l'Ulivo aveva trovato coesione, determinazione, sintonia con il Paese - si sia annebbiato il profilo riformatore dell'azione politica e di governo del centrosinistra e si sia incrinata la coesione dell’Ulivo.

Una seria riflessione mette in evidenza come questione cruciale un "deficit di cultura riformista", come dimostrano le molte difficoltà incontrate nel misurarsi fino in fondo con le trasformazioni del lavoro, con la crisi del vecchio Stato sociale, con le tante domande di libertà della società italiana, con le nuove sfide imposte dalla globalizzazione e dai mercati aperti.
Difficoltà che non potevano essere superate per il solo fatto di "essere al governo", perché una politica riformista ha bisogno della leva del governo per fare le riforme, ma ha altrettanto bisogno di farle vivere nella società. E ciò richiede soggetti - la coalizione, i suoi partiti - capaci di suscitare il consenso dei cittadini intorno alle riforme.

È questo, dunque, il passaggio che sta di fronte a noi.
La sfida tra centrosinistra e centrodestra si giocherà intorno alla modernizzazione del paese e alla sua qualità.
Vincerà chi saprà interpretare meglio le domande degli italiani, chi saprà leggere i cambiamenti e avrà una più convincente strategia per orientarli.
Servono un centrosinistra e una sinistra capaci di proporre un Progetto per l'Italia, una incisiva piattaforma politica e ideale su cui ricostruire e organizzare uno schieramento alternativo alla destra e costruire una opposizione capace di riconquistare la maggioranza del Paese.

Dare una guida democratica ai processi di globalizzazione; collocare sempre di più il futuro dell'Italia nella dimensione europea; misurarsi con i cambiamenti senza averne paura e tenere insieme modernità, diritti e giustizia; non lasciare inascoltate le domande di libertà e di laicità; fondare sul sapere e sull'innovazione il lavoro e i suoi diritti e il rapporto tra impresa e mercato; costruire un nuovo patto tra uomo e natura; raccogliere le domande di futuro di una nuova generazione; mettere la persona - e in primo luogo le donne - al centro di uno stato sociale che renda più sicura la vita di ciascuno; rifondare la politica e i partiti e riformare le istituzioni per dare ai cittadini uno Stato moderno e di cui si possa avere fiducia; dare adeguata rappresentanza politica al ruolo che le donne hanno conquistato nella società, superando il grande divario tra quanto le donne danno e quanto ricevono nonché la distanza tra condizioni materiali ed aspirazioni, nei redditi, nei lavori, nelle carriere, nelle famiglie, nelle istituzioni.

Sono questi gli obiettivi di un Progetto per l'Italia intorno a cui rilanciare l’Ulivo, che è scelta strategica irreversibile per consentire ai diversi riformismi italiani di incontrarsi e insieme di agire per far vivere nella società di oggi e con gli strumenti di oggi i valori di libertà, uguaglianza, giustizia, civiltà.

Per questo Progetto serve una sinistra nuova che abbia l'ambizione di assolvere - come in altri passaggi cruciali della storia d'Italia - ad una funzione nazionale.
Una sinistra che si pensi nell’Ulivo e concorra a fare dell’Ulivo la “casa dei riformisti italiani”, perché la sinistra va oggi pensata in un rapporto organico con le altre forze con cui vogliamo costruire il futuro del Paese.
Abbiamo bisogno di una sinistra che assuma definitivamente una cultura riformista e un coerente profilo politico, programmatico e organizzativo, assolvendo così in Italia alla funzione a cui da tempo negli altri paesi europei assolvono i partiti socialisti e socialdemocratici.
Una sinistra che sia capace di un’opposizione forte, ma respinga la facile suggestione di ritrovare identità e ruolo rifugiandosi in un movimentismo che avrebbe il solo esito di rendere meno credibile l'opposizione e di smarrire la funzione di governo a cui una sinistra riformista deve sempre ambire.
Proprio l'esperienza del socialismo europeo - dalla Germania alla Gran Bretagna, dal Portogallo alla Grecia, dalla Francia all'Olanda - ci dice che là dove la sinistra rinnova se’ stessa, vince; mentre quando crede di ritrovare una identità arroccandosi, perde.

Anche in Italia serve una sinistra che “non abbia paura” del futuro e che alla autoconsolatoria tranquillità della conservazione preferisca il rischio dell’innovazione, per imprimere alla modernizzazione del Paese il segno dei nostri valori di libertà, giustizia, uguaglianza e civiltà. Una sinistra che voglia vincere e che per vincere sappia cambiare.

Una sinistra che, superando le divisioni che l'hanno segnata lungo un secolo, valorizzi le diverse radici, esperienze e culture - PDS, Cristiano Sociali, Laburisti e Socialisti, Sinistra repubblicana, Comunisti unitari - che al Congresso di Torino si sono incontrate nei Democratici di Sinistra e, accogliendo la proposta di Giuliano Amato, rilanci l’unità di tutta la sinistra riformista.
Una sinistra capace di cambiare profondamente se’ stessa, la sua forma - partito, i suoi rapporti con la società, il suo linguaggio, la sua organizzazione, i suoi gruppi dirigenti e lo stile politico della sua leadership.

I DS non possono tornare a vincere se non si danno un nuovo gruppo dirigente, di donne e di uomini, coeso e consapevole non solo degli errori commessi e delle debolezze da correggere, ma deciso a impegnare ogni energia politica e intellettuale della sinistra per misurarsi con le grandi sfide dei nuovi tempi. Il messaggio che noi lanciamo al partito è chiaro: non restare sulla difensiva; non proteggersi dai cambiamenti, ma guidarli; non illudersi che si possa combattere la destra arroccandosi nelle vecchie certezze.
Non possiamo cullarci in nessuna forma di continuismo. Né possiamo permetterci un'altra fase di transizione. Sono anni che il partito vive nell'incertezza e logora le sue forze per il fatto che hanno continuato spesso a sovrapporsi orientamenti e strategie difformi e mai chiaramente esplicitate, che si sono tradotte in incertezza di direzione e di identità.
Abbiamo bisogno di scelte chiare e intorno ad esse di costruire un nuovo gruppo dirigente che tenga conto di nuove energie emerse in questi anni nel partito, nel governo locale, nella società e di una nuova generazione di dirigenti che, intorno ad un segretario autorevole - e riconosciuto non solo nel partito, ma anche nella società - ritrovi collegialità di direzione e solidale corresponsabilità.

Il compito del Congresso è, dunque, molto alto. Non si tratta soltanto di scegliere una nuova dirigenza del partito, ma di riaffermare le ragioni storiche e politiche della sinistra e della sua autonomia culturale nella fase attuale, ponendo la forza dei DS al servizio sia dell’unità della sinistra, sia del rilancio dell'Ulivo.
Insomma: una sinistra più forte in un Ulivo più grande, capace di parlare all'Italia e dare alla società italiana una prospettiva di crescita, progresso, uguaglianza e libertà.


TESI 1 UNA FORTE OPPOSIZIONE CAPACE DI PARLARE ALLA SOCIETA’

La vittoria della destra ha radici strutturali e profonde. Con l’intreccio populismo - liberismo Berlusconi ha dato vita all’alleanza tra destra economica, ceti sensibili alla modernità e ceti popolari timorosi di perdere protezioni. Il centrodestra assume connotati più aggressivi con l'ambizione di dare luogo a un lungo ciclo di governo neoliberista. Serve un’opposizione incalzante e forte, riconoscibile e riconosciuta, che saldi istituzioni e società intorno a proposte credibili.
Se è vero che il centrodestra ha raccolto meno voti del ’96 e che può fruire di un'ampia maggioranza parlamentare in virtù dell’alleanza con la Lega e del sistema maggioritario, tuttavia la vittoria del centrodestra ha tratti di solidità assai maggiori di quella del ’94. Oggi il leader del Polo non è più internazionalmente isolato, ma è membro riconosciuto del PPE. Il centrodestra può disporre di un ceto politico espressione di un sistema diffuso di relazioni con la società. E il rapporto di Forza Italia con i cittadini non è più affidato soltanto alla mediazione televisiva, ma poggia su un radicamento sociale crescente. E, soprattutto, se nel ’94 Berlusconi era portatore di un generico e confuso “nuovismo”, oggi il Polo si caratterizza per un progetto in cui l’intreccio neoliberismo-populismo si manifesta capace di intercettare le domande e i consensi di una maggioranza, sia pure relativa, di italiani.
Berlusconi - forte anche di un disponibilità finanziaria enorme e del controllo di una quota consistente del sistema informativo - ha fatto leva su quel potente collante che è il populismo, cioè su quel sentimento dell’anti-politica e dell’anti-Stato, che è radicato nella società italiana e che riemerge ogni qual volta il paese è investito da mutamenti e le forze democratiche stentano a guidare il cambiamento. Ha colpevolizzato la sinistra indicandola come “conservatrice” e ha costruito un’alleanza tra una destra economica esplicitamente antisindacale, settori della società a cui si è promesso di liberare le energie dai vincoli esistenti e parte dei ceti meno abbienti a cui si è fatto credere - con molte promesse - che la destra li avrebbe in ogni caso garantiti.

Un simile assemblaggio ha certo in sé contraddizioni e debolezze emerse nei modesti risultati dei primi "100 giorni" di governo e in diversità di atteggiamenti manifestatesi in più occasioni tra i partiti del centrodestra. Ma sarebbe un errore sottovalutare la possibile capacità di tenuta e il fascino che può esercitare questa convergenza di populismo e neoliberismo, nonché la tendenza del centrodestra ad assumere toni aggressivi, con l'ambizione di dar vita ad un lungo ciclo di governo.

Per questo serve fin da subito un’opposizione intransigente e adeguata. Non l’opposizione stizzita di chi ha perso, né la semplice contrapposizione di tanti no. Serve invece un’opposizione che, con tempestività e determinazione, si ispiri ogni giorno agli interessi del Paese e alle domande dei cittadini; un’opposizione capace di accompagnare ad ogni no una proposta più credibile. Un’opposizione riconoscibile, ma anche “riconosciuta” da una vasta parte di opinione pubblica.
I temi per una forte opposizione non mancano: norme per il conflitto di interessi; regole per un’informazione trasparente e pluralista; compimento e attuazione della riforma federalista; rilancio di un’attiva funzione italiana nelle nuove tappe dell’integrazione europea; prosecuzione dell’azione riformatrice di questi anni nella scuola, nella sanità e nella pubblica amministrazione; impegno, a partire dalla legge finanziaria, per uno sviluppo economico e un rapporto impresa-mercato fondato sull’innovazione e sulla qualità; un’effettiva redistribuzione di redditi, opportunità, lavoro nel segno dell’equità e tutelando i diritti del mondo del lavoro; efficienza ed equità della giustizia; forte ruolo delle donne nelle istituzioni e nella società. Una battaglia di opposizione che - ricercando le necessarie convergenze con le altre forze di opposizione democratica - dovrà svilupparsi non solo nelle istituzioni, ma allargarsi alla società coinvolgendo organizzazioni economiche, mondo della cultura, energie della società civile in uno sforzo di elaborazione e di mobilitazione capaci di dare testa e gambe ad un progetto riformista per l’Italia.

TESI 2 LE RAGIONI DELLA SCONFITTA

Nonostante i governi di centrosinistra - con l’euro e riforme in ogni campo - abbiano fatto dell’Italia un paese più stabile e più forte, il centrosinistra non è stato premiato dagli elettori.
Instabilità politica, insufficiente coesione dell’Ulivo, errori nell’azione di governo, difficoltà dei partiti a stare nella società, hanno pesato nell’esito elettorale. Così come hanno pesato la mancata soluzione al conflitto di interessi e il travagliato passaggio dal Governo Prodi al Governo D’Alema, di cui si sono sottovalutate le conseguenze sulla coesione dell’Ulivo. E sull'esito del voto ha giocato a favore del centrodestra un sistema di alleanze più largo.
Ma le ragioni della sconfitta sono più di fondo.Abbiamo pagato una insufficiente cultura riformista, spesso incapace di misurarsi con i cambiamenti della società; e il minore radicamento dei partiti - anche del nostro - nella società e la progressiva riduzione della loro capacità di rappresentare e organizzare domande e bisogni dei cittadini. Per realizzare le riforme “essere al governo” è essenziale, ma occorre anche “essere nella società”. Il riformismo non vince senza consenso, senza cittadini. Serve una moderna cultura riformista, una coalizione e partiti capaci di ascoltare le domande, di orientare i cambiamenti e far vivere le riforme nella società. Le ragioni della sconfitta sono naturalmente molte. L’instabilità politica che ha portato, in cinque anni, a quattro governi e tre diversi premier. La scarsa convinzione con cui, per troppo tempo, le indebolite forze politiche del centrosinistra hanno sostenuto la coalizione e l’immagine dell’Ulivo.
L'insufficiente capacità di comunicare al Paese il senso e i contenuti dell'azione di governo. Il minore radicamento sociale del centrosinistra - e anche del nostro partito - e la progressiva riduzione della capacità di rappresentare e organizzare le domande dei cittadini. Né sono mancati errori, tra cui il non essere riusciti a dare soluzione al conflitto di interessi.
Così come ha pesato l’insufficiente dibattito che ha accompagnato il passaggio dal Governo Prodi al Governo D’Alema, con una evidente sottovalutazione - non solo nostra, ma da parte di tutti i partiti della coalizione - delle contraddizioni e dei conflitti che quel passaggio avrebbe aperto nell'Ulivo e delle maggiori difficoltà che avrebbe determinato nell’azione di governo. E certo ha influito negativamente il disagio suscitato da quel cambio di governo nell’elettorato che aveva visto nell’Ulivo - più che nei suoi partiti - lo strumento per rinnovare la politica.
Né si può dimenticare che sull'esito del voto ha pesato negativamente la mancata intesa elettorale tra Ulivo e altre forze politiche - Rifondazione Comunista e Italia dei Valori - tanto più a fronte di un'alleanza di centro-destra più larga.

Ma ci sono ragioni più profonde legate al riassetto dell'economia e della politica di questo decennio.
La prova che era davanti a noi era davvero ardua e senza precedenti. Era quella non solo di risanare, ma di modernizzare l’Italia tenendola unita e, quindi, dando risposte alla parte più dinamica dell'Italia - il Nord - senza che ciò significasse l’emarginazione del Mezzogiorno e dei settori più deboli della società. E ciò a fronte del disfacimento del vecchio sistema politico, le nuove sfide dell’integrazione europea, la mondializzazione dei mercati e l’avvento di una nuova economia basata su una rivoluzione epocale delle tecniche e dei saperi. Il tutto con effetti sconvolgenti non solo sui modi di produrre, ma anche su quelli di vivere e di pensare, sulle vecchie identità sociali e anche sulle paure e sulle speranze degli individui.
Quella prova in buona misura noi l'abbiamo superata. L'individuazione di errori e limiti nell'azione di governo non può oscurare il fatto che se il Paese è uscito da una crisi che rischiava di travolgerlo ed è riuscito nell'impresa - che nel '96 sembrava impossibile - di rimanere agganciato ai paesi più avanzati dell'Europa e di partecipare alla sua integrazione in un ruolo non subalterno, questo è merito del centrosinistra e, in notevole misura, della sinistra.

E peraltro l’azione di governo è stata caratterizzata da riforme che hanno investito ogni settore della vita del Paese: privatizzazioni e liberalizzazioni economiche; riforma della scuola, sanità e assistenza; modernizzazione del sistema fiscale e della pubblica amministrazione; creazione di nuova occupazione, rilancio degli investimenti e strategie per il Mezzogiorno; politiche per la famiglia e per l’infanzia; impegno per un’immigrazione regolata, per la sicurezza dei cittadini e una giustizia certa. E una politica estera che ha restituito all’Italia profilo e ruolo internazionale.

Se, nonostante tutto ciò, l’esito elettorale non premia il centrosinistra, significa che la spiegazione della nostra sconfitta è più profonda.
Essa, in particolare, va individuata in un “deficit di cultura riformista”.
Per un verso l'ambiguità nella cultura e nel modo di essere del partito: accanto ad una cultura di governo, a una visione moderna della società e delle sfide che si rivolgono al riformismo, hanno continuato a convivere sia una vecchia cultura di "opposizione", sia atteggiamenti radicaleggianti condizionati assai più dai messaggi mediatici che da una reale conoscenza dei problemi del Paese. Per altro verso, di fronte alle trasformazioni e ai cambiamenti della società italiana, sono apparsi non del tutto superati atteggiamenti statici, preoccupati più di difendere l’esistente che di aprirsi alle innovazioni necessarie a rispondere a nuove domande della società e ad assicurare, in condizioni nuove, diritti e sicurezze.
Questi limiti di cultura politica, noi abbiamo creduto di poterli superare - anche con una certa illusione "dirigista" - con l’azione di governo pensando che l’”essere al governo” fosse di per sé sufficiente per raccogliere consenso intorno ad una politica di riforme.
Ma proprio l'esito del voto ci porta a dire che quando si avviano riforme profonde la leva dell’azione di governo è essenziale, ma da sola non basta. Perché il riformismo non vince senza popolo, senza consenso.
Un’azione riformatrice per essere compresa e assunta dai cittadini deve incidere nel vissuto quotidiano e rendere visibile a ciascuno il vantaggio del cambiamento.
Il fatto che la straordinaria opera di risanamento finanziario messo in campo per l’euro, non sia tuttavia stata percepita come utile a sé da settori - pensionati e fasce di reddito basse - che si sono rivolti alla destra, considerandola più capace di offrire tutela, indica un deficit di rapporto - sia del governo, sia dei partiti del centrosinistra - con interessi e sensibilità decisive per qualsiasi politica riformatrice.
Come pure occorre capire perché il voto - mentre ha segnato significativi recuperi al Nord - non ci abbia premiato nel Mezzogiorno, nonostante un indubbio sviluppo promosso dall’azione governativa, che non ha tuttavia sanato contraddizioni e squilibri, su cui Berlusconi ha innestato promesse populiste apparse più credibili agli elettori.

E qui, allora, si pongono le due questioni di fondo intorno a cui ruota la nostra riflessione: un centrosinistra che voglia interpretare, rappresentare e tenere insieme l’Italia e le sue domande ha bisogno di una cultura autenticamente riformista capace di misurarsi con i cambiamenti e con le domande - sia di innovazione, sia di tutela e diritti - che vengono da una società in evoluzione. E una cultura riformista, a sua volta, ha bisogno di soggetti - la coalizione e i suoi partiti - che la radichino, la vivano, raccolgano intorno a essa energie e consensi nella società. Ed è esattamente su questi due terreni che è maturata in questi anni la crisi della sinistra italiana: all’ambizione progettuale riformatrice dell'Ulivo non è corrisposta una altrettanto alta, moderna e innovativa cultura politica riformista, la cui formazione è stata ostacolata dal fatto che i partiti - a partire dal nostro - si sono rivelati spesso incapaci di cogliere, rappresentare e organizzare le domande della società italiana.






TESI 3 GLOBALIZZARE I DIRITTI CIVILIZZARE LA GLOBALIZZAZIONE

Viviamo in un mondo sempre più interdipendente e le politiche nazionali devono tener conto in misura crescente del contesto internazionale. Sinistra e riformismo vanno pensati oggi nei nuovi orizzonti del mondo e dell’Europa. Alla mondializzazione bisogna dare una guida democratica e capace di combattere le ingiustizie, ridurre le disuguaglianze, globalizzare i diritti, civilizzare e umanizzare la globalizzazione e rendere ciascuno padrone del proprio futuro. Con il popolo di Seattle serve un confronto per passare dal “no” al “come” realizzare una globalizzazione dal volto umano.
La sinistra e il riformismo vanno pensati nei nuovi orizzonti del mondo e dell’Europa. Il compromesso keynesiano - su cui la sinistra in ogni paese industrializzato ha costruito tante fortune come sindacato e come partito - non si è esaurito per caso, ma per il venir meno della dimensione nazionale della crescita e della coincidenza del mercato nazionale con lo Stato, spiazzati ogni giorno da processi di internazionalizzazione e di globalizzazione che hanno reso vani e inefficaci ombrelli protezionistici che giustificavano differenze di velocità e di sviluppo. L’elemento vero della competizione globale di oggi è che la competizione non è solo tra imprese, ma di tutti i fattori sociali e tra sistemi. E tenere il paese dentro la dimensione nuova della mondializzazione e dell’integrazione europea, significa ripensare politiche e strumenti del riformismo.

Pace là dove ancora c’è guerra, i Balcani e il Medio Oriente in primo luogo; riduzione del debito e accesso ai mercati anche per i paesi più poveri; lotta alla fame, alle malattie e all'esclusione sociale; tutela dei diritti dei bambini in ogni parte del mondo; attuazione del protocollo di Kyoto sul clima; riduzione degli armamenti e contrasto allo scudo spaziale e alla proliferazione delle mine antiuomo; forme di regolazione delle transazioni finanziarie internazionali; lotta ai paradisi fiscali, al riciclaggio, alla corruzione, al segreto bancario, alle carenze di trasparenza dei mercati; promozione di un’alfabetizzazione che consenta anche ai paesi poveri di godere delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie informatiche: sono questi obiettivi intorno a cui costruire le risposte a quella “domanda di senso e di giustizia” che oggi viene da tanta parte dell’opinione pubblica e da una nuova generazione che nel segno della globalizzazione scopre la politica. E soprattutto saldare quegli obiettivi alla costruzione di una nuova “sovranità globale”, fondata su regole trasparenti e condivise e su istituzioni sovranazionali riformate e dotate di poteri e risorse - a partire da un forte rilancio dell’ONU - per superare la contraddizione di un mondo globale che rischia, per la crescente inadeguatezza dei poteri nazionali, di essere governato da poteri non democratici, e di alimentare la spirale delle disuguaglianze. Perché è soprattutto la mancanza di efficaci strumenti politici per governare la globalizzazione ad acuire la sensazione di insicurezza diffusasi nelle nostre società e a suscitare angosce e timori ai quali si deve dare una risposta. Ecco dove sta il fondamento di un nuovo "internazionalismo riformista" capace di globalizzare i diritti, umanizzare e civilizzare la globalizzazione, coglierne le opportunità e combatterne le ingiustizie e i rischi.

Sono queste le nostre ragioni. Sono il diritto degli uomini e dei popoli di decidere del loro destino, di difendere le identità culturali; di stare nelle grandi reti dell’educazione e delle conoscenze; di essere curati; di decidere del corpo e della vita; di conoscere, discutere, essere informati; di decidere su cose come l’ambiente, l’aria, l’acqua, la pace, chi governa. La sinistra deve parlare di questo e organizzarsi politicamente e socialmente nella nuova dimensione globale, per rendere credibili e attuali i suoi valori, soprattutto a quei giovani che si avvicinano alla politica proprio ponendosi domande di “senso” sui destini del mondo.

Ed è su questo terreno che va costruito il confronto con i nuovi movimenti, come il popolo di Seattle e i 200.000 di Genova, tra i quali vi erano molti giovani della Sinistra Giovanile e uomini e donne del nostro partito e con i tantissimi che parteciperanno alla marcia Perugia-Assisi. Movimenti verso i quali una sinistra riformista ha il compito non già di identificarsi meccanicamente, ma di riconoscere una piena autonomia e di interloquire, aiutandoli a espellere ogni forma di violenza e favorendo un approdo alla politica, che consenta di passare dal “no” alla globalizzazione al “come” governarla, renderla più giusta, darle una diversa qualità sociale e culturale. E questo non solo perché globalizzazione e interdipendenza sono processi che coinvolgono già oggi tanta parte del mondo, ma perché la questione politica è come se ne riducono i rischi e se ne accrescono le opportunità; chi orienta, per che cosa e con quale consenso democratico.

Un aspetto importante della globalizzazione è rappresentato dall’immigrazione, i cui flussi sono in aumento in ogni continente e investono - come già è accaduto ad altri paesi europei - anche l’Italia.
Un fenomeno che ha caratteri strutturali e incide sulla demografia, sul mercato del lavoro, sulle forme stesse di organizzazione della società. E per questo un fenomeno che deve essere governato, con apertura e rigore, per liberare l’immigrazione dalle paure che sempre porta con sé.
Il nostro paese, d'altra parte, ha alle spalle una storia secolare di emigrazione, che ha sedimentato nel mondo una presenza di circa 60 milioni di persone di origine italiana. Esso, dunque, può attingere a questo prezioso patrimonio di esperienze di integrazione, di dialogo culturale, di valori di tolleranza, di rispetto delle reciproche identità. Questa rete di relazioni può essere non solo un fattore dinamico di internazionalizzazione e di proiezione degli interessi nazionali, ma anche la base di un orientamento civile ed etico che deve ispirare giuste politiche di accoglienza e di integrazione di chi immigra verso il nostro paese.
Una politica estera dinamica ispirata ai principi della pace, della cooperazione, della promozione di uno sviluppo solidale può consentire un governo efficace dei flussi migratori attraverso, da un lato, gli accordi bilaterali con i paesi da cui provengono gli immigrati e, dall’altro, promuovendo sostegni allo sviluppo di quei medesimi paesi.
Accordi bilaterali, politica comune europea relativa a tutti gli aspetti dell’immigrazione, fermo contrasto dell’immigrazione clandestina e dei drammatici fenomeni dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù di donne e bambini, promozione di una politica di ingressi regolari e di flussi a numero programmato, politiche di accoglienza e di formazione, patto di diritti e doveri con le persone immigrate; diritto di elettorato, attivo e passivo, a livello amministrativo: questi i capisaldi della nostra politica dell’immigrazione a cui la legge Turco-Napolitano ha dato attuazione.
Essi si ispirano all’idea che la persona immigrata è, appunto, una persona di cui va riconosciuta la piena dignità e con cui contrarre un patto di diritti e doveri.

TESI 4 IL FUTURO DELL'ITALIA E' L'EUROPA

L’Europa sarà sempre di più il luogo del nostro futuro. Il centrosinistra ha il merito di aver collocato l’Italia nel cuore dell’integrazione europea. Con la destra, invece, si rischia un’emarginazione dell’Italia in Europa. Pensare l’Italia in Europa è una scelta irrinunciabile per cogliere le opportunità delle nuove tappe dell’integrazione. La collocazione della sinistra italiana nel socialismo europeo è un tratto essenziale della nostra identità riformista.

Il più grande merito del centrosinistra è aver pensato il futuro dell’Italia in Europa e aver costruito le condizioni perché il nostro Paese fosse in grado di cogliere un passaggio epocale come la moneta unica per ricollocarsi nel cuore del processo di integrazione europea.
L’Europa è e sarà sempre più lo spazio, la dimensione, il luogo entro cui costruire il futuro di ogni donna e di ogni uomo che viva in questo continente. Le politiche nazionali non avranno capacità di incidere e pesare se non si penseranno anche come politiche europee.
La partecipazione all’euro è stata l’occasione non solo per dare solide basi ad un processo di risanamento finanziario, ma anche per riqualificare gli assetti produttivi e finanziari - con le liberalizzazioni, le privatizzazioni, la modernizzazione del sistema fiscale - e per innalzare a standard europei gli assetti sociali, a cominciare da scuola, sanità e assistenza.
Così come l’ingresso nel sistema di libera circolazione di Schenghen e l’assunzione di responsabilità piene nella politica estera europea - nei Balcani, nel Mediterraneo, per l’allargamento - hanno costituito un salto di qualità della partecipazione italiana al processo di integrazione, a cui ha dato visibile riconoscimento la nomina di Prodi a Presidente della Commissione Europea.
E certo vi è da riflettere criticamente sul perché troppo spesso scelte così strategiche siano state rappresentate e vissute da troppi soltanto come vincolo per un ineludibile processo di risanamento finanziario, più che come opportunità di un salto civile dell’Italia.

Non a caso il Polo delle Libertà ha ripreso vigore proprio dopo l’entrata dell’Italia nell’Euro: perché a molti è apparso che l’avvenuto aggancio alla moneta unica fosse ormai sufficiente a garantire - unitamente all’ingresso di Forza Italia nel Partito Popolare Europeo - che il legame Italia - Europa non sarebbe stato comunque reciso, consentendo, anzi, più “spesa” e meno “rigore”, più "libertà" e meno “vincoli”.
Un atteggiamento che in ogni caso, va oggi superato se si vuole che le prossime tappe dell’integrazione europea - l’Euro come moneta circolante; la ratifica del trattato di Nizza; l’avvio dell’allargamento alle nuove democrazie dell’Est; la creazione dell’area di libero scambio euromediterranea; la realizzazione di politiche comuni in politica estera, di difesa, di sicurezza e giustizia; la costruzione di un’Europa sociale; la riforma istituzionale e l'avvio dell'elaborazione di una Costituzione europea - vedano l’Italia protagonista e, soprattutto, siano vissute dagli italiani come opportunità per il nostro Paese e per la loro vita. Nessuna di quelle scelte sarà neutra nei suoi esiti e nelle sue modalità. E non sarà davvero ininfluente come la sinistra - che ha ormai la dimensione europea come DNA della sua identità - saprà battersi di fronte ad un centrodestra il cui europeismo è fin troppo recente, insidiato ogni giorno dai populismi localistici della Lega, dalle nostalgie protezionistiche di AN e dal neoliberismo senza regole di Forza Italia, incline assai di più ad un acritico allineamento alla politiche di Bush, piuttosto che ad una piena partecipazione alle politiche dell'Unione Europea.
Ed è la dimensione europea che rende evidente e irreversibile la scelta compiuta 10 anni fa di radicare la sinistra italiana nell’alveo dell’Internazionale Socialista e del Socialismo Europeo. Una scelta che, forse, troppo spesso e troppo a lungo è stata letta e vissuta nel nostro partito solo come affiliazione utile ad una piena legittimazione internazionale, mentre era fondata sulla consapevolezza che per rispondere alle nuove sfide c’è bisogno di cultura, strategie e di strumenti - tra cui partiti e sindacati - organizzati su scala mondiale ed europea.

TESI 5 TENERE INSIEME MODERNITA' E DIRITTI

La modernizzazione del paese è il campo della sfida tra destra e sinistra. Per vincerla la sinistra deve superare la separazione tra modernità e diritti.
La destra ha una concezione darwiniana della modernità. La sinistra nasce e vive per rendere la società moderna più giusta e più umana, per offrire a ciascuno più libertà, per affermare antichi diritti e promuoverne nuovi.
Modernità, innovazione, flessibilità e globalizzazione non sono neutri. I loro esiti dipendono da chi li dirige, per quali finalità, sulla base di quali valori.
La sinistra ha perso perché troppo spesso ha dato l’impressione più di proteggersi dai cambiamenti, che di volerli guidare. Non si è più forti se si ha un atteggiamento difensivo e di rifiuto dei cambiamenti, bensì se li si interpreta e orienta con autonomia culturale e senza subalternità e facendo vivere i nostri valori. Solo così la sinistra recupererà la rappresentanza sia di chi chiede maggiore innovazione, sia di chi ha bisogno di maggiori protezioni.

Presentando il Governo alle Camere il nuovo Presidente del Consiglio ha dichiarato che il centrodestra si propone l’obiettivo di “una seconda grande modernizzazione dell’Italia”, analoga per intensità e ampiezza alla ricostruzione post-bellica e al boom economico. La modernizzazione del Paese è, dunque, il campo della sfida tra centrodestra e centrosinistra.
La destra ha una concezione darwiniana e deregolativa della modernità: come pura liberazione da ogni e qualsiasi regola per la parte più forte della società e come pura soggezione ai meccanismi di selezione naturale e di mercato per la parte più debole.
Noi vogliamo una modernità per tutti, non separata dall’equità, dalla giustizia, dalla libertà e che diventi occasione di maggiori opportunità per ciascuno e di civilizzazione dell’intera società.
Ma per vincere questa sfida dobbiamo fare i conti con il rapporto tra modernità e diritti.
Da un lato, infatti, la modernizzazione passa per crescenti fattori di dinamizzazione, elasticità, flessibilità, adattabilità, di ogni aspetto della vita del Paese, sia esso il lavoro, i consumi, la produzione, gli stili di vita, i modi di organizzarsi della società. Per altra parte ciascuno di questi fattori di dinamizzazione può mettere a rischio certezze consolidate in cui si svolge la nostra vita.
Ed è precisamente questo il nodo che una cultura riformista della sinistra deve essere in grado di sciogliere, superando un atteggiamento che consegna alla destra la modernità e assegna alla sinistra il solo compito di assicurare tutele. Qui c’è la sfida vera per una sinistra riformista che abbia ambizioni di governo: tenere insieme modernità e diritti, realizzando così contenuti di civilizzazione e di più alta qualità della vita per tutti e non per pochi.
Ad esempio, di fronte ad un tema cruciale come la mobilità e la flessibilità del lavoro, mentre la destra lo riduce alla “libertà di licenziare”, per noi l’obiettivo è superare la precarietà assicurando anche per chi fa un lavoro flessibile, temporaneo, mobile diritti e certezze quali formazione, remunerazioni adeguate, un sostegno al reddito decoroso anche nei periodi di non-lavoro, tutele previdenziali e sociali, forme di rappresentanza.
E così di fronte ad un sistema previdenziale che deve fare fronte a molte novità - allungamento del tempo di vita, flussi migratori, ingresso delle donne nel mercato del lavoro, forme di lavoro temporanee o flessibili - l’obiettivo deve essere non già un sistema pensionistico con minori sicurezze, ma rafforzare opportunità, diritti e certezze di vita ad ogni persona anziana.

Punto cruciale è sapere che di fronte al cambiamento non si è più forti se ci si limita alla difesa dell’esistente, ma se lo si orienta sulla base di un’autonomia culturale e con una elaborazione che vada oltre la tradizione. Modernità, innovazione, flessibilità, globalizzazione non sono neutri: assumono connotati e significato a seconda di chi la dirige, di quali valori la ispirano, di quali finalità persegue, di come la si governa. Questa è la sfida vera, l’unica con la quale la sinistra può recuperare una capacità di rappresentanza sia di strati tradizionali che vivono nell’angoscia di minori tutele, sia di strati nuovi che pongono domande di maggiore modernità.

TESI 6 LIBERTA' E LAICITA' VALORI DELLA SINISTRA

C’è una domanda di “libertà” che la sinistra non ha raccolto e che la destra ha fatto sua in maniera demagogica. Per noi libertà significa maggiori opportunità e maggiori possibilità di scelta per ciascuno e per tutti: in primo luogo libertà dal bisogno, ma anche libertà di agire, libertà di ricerca, libertà di comunicazione, libertà di scegliere il futuro.
La sinistra deve tornare a promuovere ed estendere antiche e nuove libertà, riappropriarsi del valore essenziale della laicità, riconoscere il pluralismo culturale, etico e religioso, riconoscere la libertà di scelta.

Misurarsi con i cambiamenti è anche il modo per fare i conti con una forte “domanda di libertà”, un’altra sfida per noi decisiva.
Non può non essere materia di seria riflessione che la destra abbia vinto le elezioni utilizzando due parole simbolo della sinistra - cambiamento e libertà - accreditando l’idea che solo con la destra ciascuno sia più libero. E se è vero che la destra usa quelle parole in modo demagogico, resta per noi da capire perché gli elettori abbiano creduto più a loro che a noi.

Libertà è una “nostra” parola. Ma anch’essa - come innovazione e modernità - deve essere declinata concretamente. Non basta rivendicarla e pronunciarla in modo indefinito, come fa la destra, perché ciò significa concepirla acriticamente come semplice libertà passiva “da” qualche vincolo o regola; bisogna invece farla vivere come maggiori opportunità per la vita di ciascuno, come libertà positiva “di” realizzare più pienamente se stessi, come libertà di ognuno che si accompagna alla libertà di tutti.
La sinistra deve ritrovare la sua peculiare funzione generale di promuovere e di estendere antiche e nuove libertà, sul cui riconoscimento è fondata la stessa Costituzione della nostra Repubblica.

Ce lo chiedono le donne che hanno modificato il lavoro, il rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita, le relazioni tra i sessi e le generazioni, gli stili di vita, senza che tutto ciò si sia tradotto in un generale riconoscimento di ruolo e di effettiva parità di rappresentanza. Donne che, in particolare, chiedono libertà nelle scelte procreative fondate su un’etica della differenza.

Ce lo chiedono i tanti che vivono di lavoro autonomo e di impresa, che vogliono uno Stato e una pubblica amministrazione efficienti non perché pongono vincoli, ma perché creano opportunità e accompagnano ciascuno nella crescita.
Ce lo chiedono scienziati e ricercatori, che non capiscono perché debbano andare all’estero per mettere la propria intelligenza al servizio di un bene comune.
Ce lo chiede una nuova generazione che guarda con inquietudine al proprio futuro.

Queste domande di libertà dobbiamo sentirle come nostre. Una sinistra che a chi chiede libertà rispondesse solo con la parola “regole”, rischierebbe di proporre il volto dirigista di chi pensa che la libertà si concede. E invece la libertà “si riconosce”. E i diritti sono essenziali perché sono lo strumento per consentire a ciascuno di essere più libero.

Aspetto essenziale per ogni democrazia è una piena libertà di comunicazione e informazione. Ciò è tanto più vero in Italia, per il permanere di una coincidenza nella stessa persona delle figure di Presidente del Consiglio e di proprietario del principale gruppo privato nei settori televisivo, editoriale e pubblicitario. Il che rende urgente agire per superare ogni forma - diretta o indiretta, esplicita o mascherata - di controllo dominante sul sistema dei media.

Così come occorre riappropriarsi del valore essenziale della laicità - altro valore negli ultimi anni troppo spesso smarrito - come cultura della libera scelta, come riconoscimento del pluralismo culturale, etico e religioso, come assunzione del limite dell’azione pubblica. Sono valori essenziali per un riformismo che - anche attraverso l’incontro tra culture laiche e pensiero religioso - voglia misurarsi con grandi questioni come la bioetica, le forme della famiglia, la libertà nelle scelte procreative, le nuove frontiere della ricerca, il pluralismo educativo.

Non è compito dei partiti, né dello Stato compiere scelte etiche sulla vita, ma creare un contesto legislativo e culturale nel quale le diverse opzioni possano convivere, rispettando il principio ultimo della libertà di scelta di ognuno. Anche i problemi posti dal grande sviluppo della ricerca genetica, biologica, medica, devono essere affrontati estendendo il confronto e costruendo un rapporto di fiducia tra istituzioni politiche e istituzioni scientifiche. Alla ricerca è affidato ormai sempre di più il futuro dell'umanità. La libertà della ricerca deve essere promossa e regolata nel contesto di un ampio e serio dibattito pubblico. La sinistra riformista deve essere sempre più alleata dei ricercatori, in particolare dei giovani ricercatori che nel nostro paese non ricevono ancora un sufficiente sostegno finanziario né adeguato riconoscimento nella stessa opinione pubblica.

TESI 7 LA PRIMA LIBERTA' E' IL LAVORO

Una società libera ha nel lavoro un valore fondante imprescindibile, quantità e qualità del lavoro sono misura di libertà e giustizia. Piena e buona occupazione e un’attività per ogni persona sono priorità assolute per una società libera e giusta.
Il sapere e la formazione sono strumenti essenziali per liberare il lavoro da nuove forme di precarietà, dare qualità ad ogni lavoro e offrire a ciascuno e a ciascuna la libertà di scegliere il proprio futuro.
Ma se fino a ieri il lavoro era uno, e quasi sempre lo stesso per tutta la vita, oggi è più articolato e individualizzato. Anche la centralità del lavoro deve, dunque, essere radicata dentro i cambiamenti e l’innovazione.
La "nuova frontiera" della rappresentanza sta nell'essere capaci di dar voce a tutti i lavori.
Al liberismo e al corporativismo della destra si deve rispondere con una rete più universalistica e inclusiva di diritti. Serve uno "Statuto di tutti i lavori" che individui ed estenda diritti comuni per ogni lavoro.

Una società libera ha nel lavoro un valore fondante imprescindibile. Per noi la quantità e la qualità di lavoro che una società sa garantire ai suoi cittadini è uno dei parametri per giudicare se quella società è libera, democratica e giusta. Perché il lavoro non è solo reddito, ma è anche possibilità di realizzare i propri progetti di vita. Il lavoro non è solo dipendenza e alienazione, ma può e deve essere facoltà di scelta, strumento di autorealizzazione, promozione di sé.
La riconquista di un'idea di libertà nel lavoro, come elemento distintivo dell'identità storica e programmatica della sinistra è oggi sollecitata dalle nuove tecnologie e da grandi cambiamenti delle forme, della natura, dei modelli organizzativi del lavoro. Cambiamenti che - anche ai livelli più esecutivi - richiedono una cooperazione intelligente dei lavoratori.
"Conoscere per poter partecipare consapevolmente alle decisioni": questo imperativo categorico delle democrazie moderne è vuoto se non si esprime anche in nuove forme di democrazia nel lavoro, che valorizzino le potenzialità creatrici di ogni lavoratore e lavoratrice. E le trasformazioni del lavoro in questo passaggio di secolo ci dicono che l'esigenza di ampliare gli spazi di autonomia della persona che lavora non riguarda solo il lavoro salariato, ma investe sempre più tutte le forme di lavoro e di attività.
Il diritto a progredire professionalmente e a una maggiore autonomia nel lavoro mediante il sapere, dunque, per noi è il cuore di una proposta strategica che sappia parlare a tutto il Paese, sia alla sua parte più dinamica e competitiva, sia a chi rischia di essere escluso dai processi di modernizzazione. Perché la principale risorsa da cui dipende, in ultima istanza, lo sviluppo e la capacità competitiva di un'impresa, di un territorio, di una nazione è il lavoro intelligente e informato, in grado di innovare e di "risolvere i problemi".
Valorizzare questa risorsa, investire nel lavoro umano, costituisce, inoltre, la vera sfida di una politica economica per la piena e buona occupazione. Perpetuare la separazione tra la quantità dell'occupazione e la sua qualità, il suo senso, il suo poter anche essere scelto, significa riproporre un vecchio approccio all'occupazione meramente distributivo e risarcitorio che anche la sinistra ha praticato con sempre minore fortuna.

Ciò è tanto più necessario perché occorre riconoscere con franchezza che nella cultura del partito si è appannato nel corso degli anni il valore del lavoro come elemento costitutivo della nostra stessa identità politica, e occorre riconoscere che al nostro declino elettorale ha concorso anche una riduzione del radicamento nella realtà del lavoro. Non casualmente i pur significativi risultati sul fronte dell’occupazione conseguiti dal centrosinistra - la disoccupazione sotto il 10% per la prima volta dopo 15 anni! - non sono riusciti ad arginare l’offensiva della destra, che è spesso riuscita a interpretare sia il desiderio di autorealizzazione di chi, all’interno del mondo del lavoro, ha gli strumenti conoscitivi e professionali per padroneggiare il proprio futuro, sia sulle paure di chi, sul versante opposto, rischia di essere sempre più spinto in uno stato di precarietà.

Essenziale è misurarsi con un lavoro che, con i mutamenti di questi anni, sempre di meno è e sarà uno solo per tutta la vita. Anche la centralità del lavoro deve essere radicata dentro i cambiamenti e l'innovazione.
In un mercato del lavoro sempre più articolato, flessibile, individualizzato è sul terreno della formazione e delle nuove responsabilità del lavoro che si può realizzare unità e solidarietà non fittizia di un mondo di lavori molto diversi tra loro.
Sapere e lavoro sono elementi fondanti l’identità di una sinistra che voglia continuare a battersi per obiettivi di uguaglianza, di liberazione umana, di riconoscimento dei diritti della persona. Lavoro come luogo e forma della realizzazione di ogni donna e ogni uomo. Sapere come strumento di tale obiettivo.
Ciò è tanto più vero nella società dell’innovazione e dei lavori, dove diffusione del sapere e formazione sono essenziali per perseguire uno sviluppo affidato non solo alla ricerca affannosa di un costo del lavoro sempre più competitivo - e perciò sempre più teso a comprimere anche la sicurezza e la remunerazione del lavoro - bensì fondato su una più alta qualità produttiva, tecnologica e culturale.

Tutto ciò comporta più diritti e un nuovo quadro di tutele. E a chi chiede, come la destra di governo e la Confindustria, abbassamento delle tutele, libertà di licenziamento, smantellamento del potere sindacale in azienda, noi rispondiamo che oggi, partendo dai cambiamenti che hanno rivoluzionato il lavoro, serve un più avanzato “Statuto di tutti i lavori”, che ridefinisca i diritti inviolabili e comuni a ogni tipologia lavorativa, a cominciare da una formazione permanente che deve diventare un elemento costitutivo del lavoro. E dobbiamo batterci per una rete più universalistica e inclusiva di diritti: che certifichi i passaggi professionali compiuti negli itinerari di lavoro e formazione; che accompagni i periodi di mobilità con attività formative in vista del reimpiego; che tuteli una effettiva sicurezza fisica e ambientale nei luoghi di lavoro, per non pagare più il prezzo intollerabile- umano, sociale ed economico - di un milione di infortuni, di 1300 morti e di 30 mila invalidi sul lavoro ogni anno; che offra a tutti i lavoratori una garanzia di reddito nelle fasi di passaggio da un lavoro ad un altro, rimodulando tutto il sistema degli ammortizzatori sociali; che concepisca le forme temporanee di impiego come strumento di accesso al lavoro, ma anche di sua stabilizzazione; che investa sempre di più in sapere e formazione per liberare il lavoro - in particolare i lavori flessibili - da nuove forme di precarietà, consentendo a ciascuno una effettiva libertà di scelta e nuove frontiere di uguaglianza; che rafforzi l’istituto della conciliazione e dell’arbitrato nelle cause di lavoro; che favorisca l’emersione del lavoro “nero” e irregolare; che metta a frutto l’anzianità maturata da ogni cittadino - quale che sia il lavoro svolto - assicurando universalità di prestazioni e di tutele sociali. Così come valorizzazione del lavoro significa anche adeguati riconoscimenti salariali.

Si tratta, in sostanza, di promuovere un sistema di cittadinanza del lavoro che, rispetto al passato, tuteli meglio non solamente i diritti, ma anche le “sorti” dei singoli, nelle concrete realtà dei differenti luoghi di lavoro e mercati del lavoro.
Sta qui la nuova frontiera della rappresentanza del mondo del lavoro che richiede sia un forte sindacato - capace di rinnovare le proprie strategie rivendicative e contrattuali per aderire a un mondo dei lavori sempre meno rappresentato dal solo lavoro industriale della grande fabbrica - sia una sinistra politica capace di parlare e dare voce e rappresentanza a tutte le figure di lavoro.

TESI 8 UN SINDACATO DEMOCRATICO, UNITO, AUTONOMO E RICONOSCIUTO

C'è bisogno di più sindacato e non di meno. Una società moderna non si governa senza riconoscere le parti sociali, la contrattazione e la concertazione. Considerare il sindacato un ostacolo alla crescita è un errore. Rinnovare contenuti e metodi delle relazioni sindacali per rispondere a sfide nuove. Serve una legge sulla rappresentanza sindacale per dare voce ad un universo di lavori molto più diversificato. Non c'è sinistra riformista vincente se tra sindacato e partito c'è estraneità. Rilanciare unità e autonomia sindacale, valori irrinunciabili.

E' in primo luogo attraverso il sindacato che il lavoro si afferma come soggetto collettivo e i lavoratori tutelano i propri diritti e partecipano, nell'impresa e nella società, alle decisioni che li riguardano.
Una società moderna e avanzata richiede un sistema di relazioni sindacali che riconosca la funzione essenziale delle parti sociali, della contrattazione e della concertazione. E, dunque, c’è bisogno di più sindacato, e non di meno.
Da un lato, il sindacato è il perno intorno al quale ruota l'intero sistema dei diritti del lavoro, dall'altro non può mai essere dimenticato quanto abbiano contribuito le scelte coraggiose del movimento sindacale confederale al risanamento del Paese e alla politica di aggancio della lira all'euro.
Né si può ignorare che il sindacato italiano è stato parte attiva di una politica di concertazione che ha contribuito - con la contrattazione e con accordi tra la parti sociali - a superare il divario di competitività e produttività che separava l'Italia dagli altri paesi industriali.
Oggi il governo e alcuni settori imprenditoriali, in particolare confindustriali, cercano apertamente di ridimensionare quel ruolo. È infatti esplicito il tentativo di dividere il movimento sindacale e di isolare la CGIL, di alterare le regole contrattuali, di svuotare il metodo della concertazione, di disciplinare in termini autoritari il rapporto di lavoro. Vanno in questa direzione le proposte del Governo sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che noi respingiamo perché avrebbero l’unico effetto di accrescere la precarietà dell’impiego.
Rappresentare - come spesso fa la destra - il sindacato come un impaccio alla crescita è un errore. Non è deprimendo la contrattazione e il ruolo del sindacato che si garantirà maggiore sviluppo.
Si tratta, invece, di rinnovare contenuti e metodi delle relazioni sindacali, sollecitando ogni parte sociale a misurarsi con i nuovi problemi che emergono dalle trasformazioni della produzione e del lavoro, con i mercati aperti e la globalizzazione dell'economia.

Questo è oggi l'orizzonte di un sindacato moderno, il cui raggio d'azione si allarga oltre la sfera contrattuale, e la cui stessa funzione rappresentativa non può più limitarsi solo alle figure classiche della fabbrica fordista. Per questo vanno sostenuti gli sforzi volti a rafforzare un sindacato di tipo nuovo, capace di rappresentare tutti i lavori - e non solo nei luoghi tradizionali della produzione - impegnato non solamente a contrattare le condizioni di lavoro, ma anche a intervenire sui modelli di sviluppo e sulla loro qualità sociale. Per questo è necessaria una legge sulla rappresentanza del sindacato per dare certezza democratica ai lavoratori e circoscrivere così la discrezionalità dell'impresa o della mediazione politica e istituzionale.

Pur nella distinzione dei ruoli di ciascuno, una sinistra riformista ha bisogno di un rapporto - dialettico, ma costante - tra sindacato e rappresentanza politica. Un forte riformismo non ha bisogno di vecchi collateralismi, né di riduzione di reciproche autonomie. Ma un forte riformismo - basta guardare all’esperienza europea - non può vivere se tra sindacato e rappresentanza politica c’è - come troppo spesso è accaduto in questi anni - estraneità e scarsa reciproca comunicazione. Peraltro il rapporto tra sindacato e politica non riguarda solo DS e CGIL. Sia perché ai DS sono iscritti, molto più che nel passato, dirigenti e lavoratori che militano nella CISL e nella UIL - ed è nostro dovere che ciascuno di essi senta il partito come la propria casa - sia perché è l’insieme del movimento sindacale, nella sua autonomia, che deve fare i conti con l’evoluzione del sistema politico e con le grandi scelte strategiche che stanno davanti al Paese. Il bipolarismo, d’altra parte, e una visibile distinzione tra centrodestra e centrosinistra mutano anche il rapporto tra quadro politico-istituzionale e organizzazioni sindacali.

Per queste ragioni la scelta dell’autonomia sindacale non solo è irreversibile ma va rilanciata, rifiutando la tesi di chi vedesse in passaggi difficili - quali gli accordi separati sui contratti a termine e le divisioni sul contratto metalmeccanico - l’esaurirsi della politica di unità sindacale. Noi siamo vitalmente interessati alla ripresa di un processo unitario, condizione essenziale sia per una crescita del sindacato che per una efficace politica di concertazione e - nel pieno rispetto della autonomia - sentiamo la responsabilità di dover concorrere a una discussione che consenta di riprendere e rilanciare il cammino dell’unità.

TESI 9 PIU’ SAPERE PER IL FUTURO DI UNA NUOVA GENERAZIONE

La domanda di libertà proviene in particolare dai giovani, finora i più penalizzati dalla “modernizzazione senza sviluppo”, che ha tenuto una generazione ai margini della crescita, delegandone il sostentamento alle famiglie. L'accesso alla formazione e al sapere - senza barriere di censo - è leva decisiva per un lavoro di qualità e per i tanti giovani che vogliono scommettere su di sé. Ai giovani dobbiamo offrire alti livelli di libertà insieme ad altrettanto alti livelli di cittadinanza.

La distribuzione ineguale e ingiusta di garanzie punisce oggi in primo luogo i giovani. Con un ruolo subordinato nel mercato del lavoro e nel sistema dei consumi essenziali per una vita quotidiana non precaria. E’ il prezzo pagato dalle giovani generazioni al modello di “modernizzazione senza sviluppo” adottato dalle classi dirigenti italiane nell’epoca del tramonto della “prima repubblica” caratterizzata da una crescita trainata dalla domanda di beni di consumo e dal debito pubblico invece che dalla competitività delle imprese. Una crescita segnata da una chiusura corporativa e “gerontocratica” del mercato del lavoro e dei sistemi di welfare, e da uno sviluppo del nuovo terziario fondato sull’assenza di regole e sullo scarso livello di innovazione tecnologica. In altre parole un paese che ha scelto di ritardare il proprio declino appoggiandosi ad un alto tasso di consumo delle famiglie e a un esercito di giovani inoccupati mantenuti dai genitori e disposti ad accettare bassi salari e scarse garanzie. Un paese, insomma, che non riesce a investire sul proprio futuro e sui propri figli.
Mentre un futuro non precario o per pochi deve offrire ai giovani alti livelli di libertà ad altrettanto alti livelli di cittadinanza.

I giovani guardano al lavoro in modo assai diverso da come lo vivevano i loro padri. Scommettono su di sé e sulla propria autopromozione, se è vero che ben il 63% dei giovani tra i 15 e i 25 anni dichiara di pensare il futuro “in proprio”.
Chiedono al lavoro di essere compatibile con libertà di vita, di scelta, di aggiornamento, superando oligarchie professionali e barriere corporative che soffocano il dispiegarsi delle potenzialità dei giovani.
Chiedono formazione perché innovazione tecnologica e redistribuzione del lavoro vogliono una diffusa e forte produzione di cultura e di sapere e una preparazione al lavoro che consenta di cogliere opportunità di impiego sia in Italia, sia all’estero. Il sistema scolastico non è più luogo autosufficiente di formazione. Né ci si forma una volta per tutte nell'età scolare. La formazione non può essere univoca e rigida; devono essere previsti rapporti costanti tra istruzione nell'età formativa e aggiornamento permanente delle conoscenze.
Anche sulla base della consapevolezza di questa complessità, va riaffermato con forza il principio che la formazione non può essere semplicemente delegata al mercato - come vorrebbe la destra - perché priorità di un sistema educativo moderno deve essere la promozione dell'equità e dell'uguaglianza delle opportunità per ogni persona, e favorire una competitività del sistema economico fondata sulla qualità.

Le riforme del sistema scolastico varate dai governi di centrosinistra erano ispirate a questi criteri e si proponevano di innalzare il sapere e il saper fare di ogni giovane come condizione per consentire a ciascuno di cogliere più ampie opportunità di lavoro, di vita e di futuro.
La difficoltà a superare ostacoli e resistenze e a far condividere quelle riforme da una parte non piccole di famiglie e insegnanti, sono un esempio di quel deficit di cultura riformista che la sinistra ha spesso manifestato nella realizzazione delle riforme.

Le migliaia di ragazze e ragazzi accorsi a Genova manifestano una sensibilità sui destini del mondo. Il crescente numero di giovani che si impegna nell’associazionismo e nel volontariato testimonia di una disponibilità all’impegno civile e politico. Lo stesso voto indica che l’Ulivo ha ottenuto una quota di voto giovanile superiore a quello del centrodestra.
Una nuova generazione si affaccia alla politica e la politica ha il dovere di rispondere ad aspettative che si manifestano spesso in modo inedito.
Per questo elaborare una organica ed innovativa risposta alla questione giovanile di oggi è fondamentale per la sinistra italiana: non solo perché il grave ritardo su questo tema è oramai così consolidato da aver generato una gravissima ed innaturale crisi nel rapporto tra i giovani e la sinistra - ed in particolare con il nostro partito, a cui molto spesso un giovane aderisce principalmente per la forza di una tradizione familiare - ma soprattutto perché dare senso e prospettiva ad una nuova generazione significa in definitiva porre le basi per l’istituzione di un nuovo “patto per lo sviluppo” che riguarda il mondo del lavoro e dei lavori, l’impresa, la società e l’interesse generale del paese.

TESI 10 L'AMBIENTE MISURA DELLA VITA

I destini del mondo dipendono dalla tutela di risorse ambientali essenziali, intorno a cui si organizzano movimenti di dimensioni globali. La qualità ambientale è parametro di civiltà e modernità. Serve un nuovo patto tra umanità e natura che, investendo in ricerca e nuove tecnologie, faccia dell’ambiente un fattore di sviluppo, investimenti e lavoro.

L’effetto serra, la desertificazione di intere regioni continentali, la distruzione di fonti di energia, il sommarsi tragico di fame, malattie e sottosviluppo e degrado ambientale nelle aree più povere del pianeta - in primo luogo l’Africa - sono la testimonianza della criticità drammatica a cui è giunta la questione ambientale. Cresce la consapevolezza che i destini del mondo sono legati alla capacità dell’uomo di tutelare e rinnovare risorse essenziali per la sua vita: l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, le città in cui viviamo.

L’ambiente è divenuto il principale tema intorno a cui si manifesta e si organizza la sensibilità di un vasto movimento di opinione di dimensioni globali.
Ed è significativo che uno dei principali temi dell’agenda politica internazionale intorno a cui si sono ridefinite le stesse relazioni tra Stati Uniti ed Europa e tra paesi ricchi e paesi poveri sia il protocollo di Kyoto, per la cui attuazione è necessaria una iniziativa politica che contrasti le ambiguità del governo italiano.

D’altra parte le nuove frontiere a cui è giunta la ricerca in pochi decenni, offrono l’opportunità di un salto straordinario nella tutela della vita umana e nella qualità dell’esistenza quotidiana.
Così come con lo sviluppo di nuove tecnologie è oggi possibile una gestione non conflittuale delle trasformazioni ambientali e del loro impatto sul territorio e habitat, superando la contrapposizione tra tutela dell’ambiente e modernizzazione infrastrutturale.

E’, dunque, tema centrale di moderno riformismo la definizione di un nuovo patto tra uomo e natura, come risposta ad una crescita troppo spesso distruttiva di risorse naturali e ecologicamente incontrollabile.
E ciò è tanto più vero per l’Italia che ha nella dimensione ambientale - le risorse paesaggistiche, il patrimonio culturale, la qualità alimentare, l’industria turistica - un fattore di identità e di sviluppo economico e sociale. Difesa dell’ambiente, prevenzione rispetto ai rischi naturali che flagellano l’Italia, sviluppo ecosostenibile, qualità della vita sono temi fondanti della battaglia politica e culturale di una sinistra moderna.

Serve uno sviluppo sostenibile che veda nella qualità dell’ambiente e dell’habitat un fattore di promozione di ricerca, di tecnologie, di investimenti, di occupazione.
Anche per questo è necessario un salto di qualità - verso standard europei - nelle risorse che il nostro paese deve dedicare alla ricerca, alla promozione del sapere, alla sperimentazione, mettendo effettivamente la comunità scientifica nelle condizioni di essere fattore di crescita culturale e sociale.
Più in generale serve una cultura ambientalista che si sottragga ai rischi di un fondamentalismo che vede un danno o un rischio in qualsiasi modifica del rapporto uomo-natura, quando invece il vero tema è a quali condizioni e per quali obiettivi quel rapporto viene cambiato.
Investire in fonti rinnovabili di energia, estendere le aree protette, proseguire la lotta all’abusivismo, favorire una qualità ecologica dell’agricoltura, promuovere l’applicazione di nuove tecnologie sicure nella gestione dei rifiuti e delle scorie, decongestionare la mobilità, in primo luogo nei centri urbani: intorno a questi obiettivi si tratta di costruire un modello di sviluppo capace di una più alta qualità sociale e ambientale.

TESI 11 QUALITA' E INNOVAZIONE PER LE SFIDE DEL MERCATO

Il centrosinistra ha consentito all’Italia un salto di qualità nel suo sviluppo.
I valori dell’impresa sono essenziali per una società avanzata e vanno coniugati con regole e diritti.
Rivoluzione scientifica e innovazione tecnologica sono la base per un rapporto dinamico tra impresa e mercato e per un innalzamento qualitativo di tutti i fattori del sistema paese.
Serve una programmazione che non sia solo vincolo, ma creazione di opportunità.

I valori dell’impresa - lavoro, competizione, spirito imprenditoriale, rischio personale, autopromozione, professionalità - sono essenziali per una società avanzata e un riformismo moderno deve essere capace di coniugarli con un sistema di regole e di diritti che consentano a quei valori di essere risorsa per la società intera.
Alla sinistra spetta dare voce e rappresentanza a un universo di attività che ai lavori dipendenti vede aggiungersi ogni giorno nuove forme di attività indipendenti, autonome, parasubordinate, cooperative, professionali che tutte concorrono a determinare la qualità dell’impresa e dello sviluppo. E, peraltro, regole e diritti sono necessari per nuove forme di lavoro autonomo che spesso presentano caratteri di precarietà e subalternità non dissimili da quelli che si manifestano in settori di lavoro dipendente.
Noi concepiamo l'impresa, dunque, nella sua complessità come un sistema di relazioni sociali, in cui vanno esplorate le possibili forme di partecipazione dei lavoratori alle decisioni che li coinvolgono.
E' merito delle politiche del centrosinistra aver promosso e favorito un salto di qualità degli assetti produttivi e finanziari dell'economia italiana. Il risanamento dei conti pubblici, l'aggancio all'Euro e la stabilizzazione del cambio, la modernizzazione del sistema fiscale, le politiche di privatizzazione e liberalizzazione, la promozione - a partire dalla pubblica amministrazione - della società dell'informazione, la nuova centralità assegnata alle politiche della formazione e di riforma del sistema scolastico ed educativo: sono i tanti aspetti di uno sviluppo non più affidato ad un cambio debole o alla sola compressione dei costi, ma ad una più alta e competitiva qualità.

La rivoluzione scientifica e l’innovazione tecnologica rappresentano anche per i prossimi anni la base materiale non solo per ridefinire le forme del lavoro, ma anche il rapporto tra impresa e mercato, puntando a un innalzamento della qualità produttiva del sistema paese; ad una crescita delle dimensioni di impresa e della loro capacità di finanziamento; ad una effettiva apertura al mercato di settori finora protetti; a liberalizzazioni, e non solo privatizzazioni, in settori finora monopolistici; ad una ricerca scientifica sostenuta dei flussi finanziari a livelli europei; ad una formazione permanente essenziale per un mercato del lavoro mobile, ma non precario; a un vasto progetto di ammodernamento infrastrutturale verso cui orientare forti flussi finanziari pubblici e privati; a uno sviluppo sostenibile che assuma l’habitat non solo come vincolo, ma come elemento costitutivo di una più alta qualità sociale e civile.
Non meno decisivo è proseguire nella modernizzazione delle pubbliche amministrazioni e nella semplificazione delle procedure - o, meglio, l’eliminazione delle stesse - tutte le volte che diventa possibile. L’esternalizzazione di funzioni svolte dalla Pubblica amministrazione, una trasparente accessibilità alla incentivazione delle iniziative imprenditoriali, la liberalizzazione e privatizzazione dei servizi, la tutela della concorrenza in tutte le sue forme, la piena autonomia della ricerca e la stretta relazione fra questa ed il mondo produttivo sono le chiavi per rispondere alla parte più attiva e dinamica del Paese e per porre le basi per una nuova classe dirigente.

Sono sfide essenziali per tutto il paese se davvero si vogliono cogliere tutte le opportunità che vengono dall’economia globale. Sfide che richiedono una nuova concezione dell’azione dei poteri pubblici e della programmazione intesa non più come predisposizione di vincoli, ma creazione di opportunità e contesti favorevoli allo sviluppo.
Sono sfide decisive per il Nord, là dove oggi si concentrano in misura maggiore lavoro, tecnologie, sapere, finanza, internazionalizzazione, nei rapporto di crescente integrazione con mercati europei e globali. E sono sfide tanto più decisive per il Mezzogiorno dove accanto ad aree di arretratezza inaccettabili - soprattutto nei servizi ai cittadini e nella qualità della vita, nonché nell'incidenza di vecchi e nuovi poteri criminali - si registrano significativi fenomeni di crescita produttiva , tecnologica e occupazionale.

TESI 12 PER UN MEZZOGIORNO PROTAGONISTA

Nonostante un forte impegno dei governi di centrosinistra per il Sud, nel Mezzogiorno la sconfitta del centrosinistra è stata più grave. C’è un Mezzogiorno che sta cambiando e cresce un tessuto produttivo e professionale nuovo. Ma c’è anche un altro Sud più debole. Questi due Sud si devono incontrare in una politica di sviluppo per tutto il Mezzogiorno.
Nella politica del centrodestra il Mezzogiorno è residuale.
La sinistra deve rilanciare una sua proposta: programmare “meno ma meglio”; investire Regioni ed Enti locali di effettive responsabilità; superare ogni forma di burocrazia e di intermediazione clientelare; far crescere una cultura dei diritti contro nuove e vecchie mafie e ogni forma di violenza e criminalità. Il bacino mediterraneo occasione di centralità strategica del Mezzogiorno nelle relazioni Nord-Sud.

E’ soprattutto nel Mezzogiorno che il 13 maggio si è misurata, con nettezza, la distanza fra il centrosinistra e gli italiani. Distanza confermata dal voto regionale siciliano.
Una sconfitta elettorale tanto più cocente, rispetto all’impegno messo in campo nel Mezzogiorno dal centrosinistra negli ultimi anni.
Nel Mezzogiorno - e non più solo in alcune sue aree - sta emergendo, infatti, molto di nuovo: nuove imprese tecnologicamente avanzate, una capacità di esportare e competere su mercati difficili, una voglia di imprenditorialità , la nascita di poli di ricerca e tecnologia, una diffusione dei saperi che sta lasciando il segno su larga parte della gioventù. E pur persistendo un’elevata disoccupazione - che deve essere la priorità di ogni intervento - si registrano segnali di incremento dell’occupazione che dimostrano la possibilità di invertire la cronica tendenza alla disoccupazione e sollecitano a proseguire l’impegno in tal senso. A questo Mezzogiorno vogliamo parlare. E’ una domanda, anche qui, di libertà che chiede da parte nostra fantasia e coraggio.

Ma c’è anche e ancora un altro Mezzogiorno, più debole, più bisognoso di diritti e di un potere pubblico sano capace di affermare buona e piena occupazione, nuovi diritti di cittadinanza ed al tempo stesso rendere effettivi quei diritti sociali che sono tali da tempo altrove nel Paese e non lo sono ancora nel Mezzogiorno: dall’istruzione alla sanità, dall’assistenza sociale alle condizioni del lavoro e nel lavoro alla sicurezza dei cittadini, tema che continua ad essere in molte aree del Sud drammaticamente critico per la pervasiva azione di vecchie e nuove mafie e di molteplici forme di criminalità.

I governi di centrosinistra hanno aperto un terreno nuovo nelle politiche rivolte al Mezzogiorno: programmazione negoziale e territoriale, project finance per gli investimenti nelle infrastrutture e nelle opere pubbliche, finalizzazione dei fondi nazionali e comunitari a sostegno degli investimenti. Tuttavia quelle scelte si sono spesso sovrapposte, producendo effetti contradditori e risultati inferiori alle aspettative. Il che ha contribuito ad accreditare in molti cittadini del Mezzogiorno la convinzione che per il Sud era stato fatto poco e male e a considerare più credibile, più carica di opportunità, più ricca di prospettive l’offerta politica della destra.

Eppure non è così. I primi “cento giorni” del Governo Berlusconi hanno chiarito fin troppo bene la funzione residuale e clientelare che il Mezzogiorno occupa nell’agenda della destra. Per la sinistra sono ampi i margini di recupero se prevarranno scelte nette intese a stabilire uno stretto rapporto con quei meridionali che come noi vogliono impedire che “il peggior Mezzogiorno” veramente ritorni.

Ridefinire il rapporto fra la sinistra ed il Mezzogiorno significa oggi, quindi, recuperare lo spirito delle scelte che fin dal 1992 avevano marcato una svolta radicale nelle politiche per il Sud: dalla lotta alla criminalità al rafforzamento delle capacità di governo delle città, alle nuove procedure di trasferimento dei fondi e di superamento del sistema della politica clientelare e della intermediazione delle strutture burocratiche che di quel sistema politico erano l’altra faccia.

Una nuova politica per il Mezzogiorno richiede in primo luogo di “programmare meno, ma meglio”, semplificando le procedure, ricorrendo anche a competenze esterne alle pubbliche amministrazioni, esercitando un costante monitoraggio che eviti al Mezzogiorno di perdere - come ha colpevolmente fatto nel periodo 1994-1999 e come minaccia di fare per il futuro - migliaia di miliardi di fondi europei.

Non meno significativo sarà sostenere la strategia di decentramento già adottata dallo Stato nei confronti delle Regioni sollecitando - laddove possibile e necessario - a devolvere competenze e responsabilità - in primo luogo in materia di programmazione e fondi europei - ai Comuni ed alle loro aggregazioni, superando forme di neocentralismo regionale.
Questione cruciale resta liberare le tante imprese meridionali tecnologicamente avanzate, i piccoli imprenditori che chiedono solo di crescere, i moderni studi professionali, i ricercatori meridionali dal peso di una politica e di una burocrazia che rappresenta un freno alla crescita e alla competitività.

Un nuovo meridionalismo deve avere forte la consapevolezza che lo sviluppo del Sud va inserito in una più complessiva strategia europea. Il Mezzogiorno per la sua storia, le sue potenzialità e la stratificazione di culture è luogo ideale di passaggio tra l’Europa e i paesi della riva sud del Mediterraneo dove centinaia di milioni di donne e di uomini stanno affacciandosi allo sviluppo, chiedono investimenti e offrono nuovi mercati.
La nascita nel 2010 dell’area euromediterranea di libero scambio - che comprenderà i paesi dell’Unione europea e tutti i paesi della riva sud ed est del Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia - costituisce per il Mezzogiorno l’occasione per trasformare la sua centralità geografica in centralità strategica, utilizzando i fondi di Agenda 2000 e altre risorse disponibili, per cogliere tutte le opportunità offerte dal grande polmone produttivo culturale, formativo, commerciale e finanziario di tutta l’area.

TESI 13 UNA SOCIETA’ SENZA ULTIMI.
NO STATO SOCIALE PER LA PERSONA.

Costruire una società capace di offrire a ciascuno le opportunità per vincere la gara della propria vita. Non si tratta, come sostiene la destra, di aiutare soltanto “chi resta indietro”, ma di fare in modo che nessuno resti indietro. Noi vogliamo una società in cui non ci siano più gli ultimi e penultimi, ma uguali diritti e pari prestazioni per ogni cittadino. Per questo, antichi e nuovi diritti della persona sono il fondamento della cittadinanza e devono diventare l'obiettivo di un welfare capace di superare forme di assistenzialismo, di utilizzare strutture e risorse pubbliche e private, di valorizzare la funzione sociale della famiglia e di avvalersi del contributo essenziale del “terzo settore”.

Rispondere alla domanda di libertà significa assumere i diritti di cittadinanza come il terreno su cui rifondare il welfare del nostro secolo, rigenerandone la funzione. Lo stato sociale non può essere considerato come un costoso sistema di garanzie che frena lo sviluppo, ma come fonte di opportunità, in una società sempre meno rigida nei ruoli e nei tempi di vita, e che per questo restituisca al singolo la scelta dell’organizzazione della propria vita.
Occorre perciò respingere l'offensiva neo-liberista che cerca di utilizzare il discredito del sistema di welfare provocato in molti cittadini dall'esercizio distorto delle politiche di tutela, dagli sprechi, dalle inefficienze e dagli eccessi burocratici. Per la sinistra è irrinunciabile il carattere universalistico del welfare, a partire dalla sanità, dall'istruzione e dalla previdenza. Nel contempo il nostro obiettivo deve essere quello di rendere sempre più giusto ed efficiente il sistema di welfare, tenendo conto delle nuove stratificazioni sociali, dei nuovi lavori e delle nuove povertà, e facendo leva non soltanto sulla macchina statale, ma anche sui doveri e sulle responsabilità sociali. Il welfare del futuro deve recuperare elementi delle sue origini comunitarie e mutualistiche.

Le politiche di welfare devono rispondere a bisogni antichi come il contrasto della povertà - ancora così diffusa nel nostro Paese, anche in fasce sociali come i giovani - ed a domande inedite, differenziate e variabili: l'allungamento della vita media; la riduzione delle nascite; la presenza sempre crescente di persone immigrate; il passaggio dal lavoro ai lavori; l'innalzamento dei livelli di scolarità soprattutto femminili e la maggiore apertura del mercato del lavoro alle donne; la domanda crescente di beni ambientali e culturali, la ricerca di una dimensione del tempo più umana. Sono domande di libertà e di qualità nuova della vita e richiedono uno stato sociale pensato in modo nuovo.
Ma la strategia della cittadinanza, quando diventa così ambiziosa, non può fermarsi alla rivendicazione di diritti, deve porsi il problema di quali siano le istituzioni che ne garantiscano a tutti l’effettivo esercizio e di quali ne siano le premesse etiche. Perché una comunità - a maggior ragione se multietnica e multiculturale - sia forte è necessario anche un senso di condivisione e di responsabilità comune.

E’ ciò che si chiama “coesione sociale”, a cui la politica ha il compito di provvedere con istituzioni che la sostengano e superando l’eventuale conflitto tra diritti e coesione. Un moderno sistema di protezione sociale si fonda sulla valorizzazione del sapere e della formazione; promuove pari opportunità per donne e uomini; valorizza e sostiene le famiglie riconoscendone l’insostituibile funzione sociale; accompagna il desiderio di maternità e paternità; offre un corredo di diritti a tutti i lavori; crea un percorso di cittadinanza agli immigrati dentro un patto condiviso di diritti e di doveri, a partire dal riconoscimento pieno della loro dignità di persone. E fondamento di ogni politica deve essere la universalità delle prestazioni e l’uguaglianza dei diritti per ogni persona.
Oggi le politiche sociali debbono essere considerate, al pari di altre attività, produttrici di idee, tecnologie, ricchezza e occupazione, superando una vecchia concezione che vedeva il welfare come settore separato rispetto allo sviluppo economico e alle politiche del lavoro. E la finalità pubblica e generale di uguali diritti e prestazioni a ogni cittadino dovrà essere perseguita sia riconoscendo - con risorse adeguate - il ruolo delle strutture pubbliche, sia avvalendosi di risorse e strutture private, del volontariato e del no profit, coinvolgendo gli attori locali, secondo un principio di sussidiarietà. Libertà, equità, sostenibilità economica, apertura ai cambiamenti: questi sono i valori orientativi del welfare del nuovo secolo, al cui centro ci sia la libertà di ogni cittadino, di ogni persona.

TESI 14 UN NUOVO PATTO TRA LE DONNE ITALIANE E LA SINISTRA

Le donne sono state protagoniste dei più incisivi processi di modernizzazione e dei cambiamenti del secolo appena trascorso. Hanno cambiato il lavoro, la demografia, la famiglia, i valori della società. Soprattutto, hanno imposto la fine della separazione fra il tempo della produzione e della riproduzione. Cambiamenti che impongono una piena cittadinanza femminile nel lavoro, nella vita sociale, nelle istituzioni. Serve nella politica, nelle istituzioni e nei partiti una rappresentanza femminile che riconosca il ruolo delle donne per costruire una democrazia paritaria. Queste sono le basi di un nuovo patto tra la sinistra e le donne italiane.

La riforma della società e l’innovazione dello stato sociale non si possono fare se le donne non ne sono protagoniste.

Le donne hanno realizzato i cambiamenti più grandi del secolo alle nostre spalle. Hanno cambiato il lavoro, lo hanno "femminilizzato" - anche se in Italia il tasso di occupazione femminile resta tra i più bassi d'Europa - e hanno imposto la fine della separazione tra tempo della produzione e tempo della riproduzione. Hanno cambiato il rapporto tra il tempo di lavoro ed il tempo della cura delle persone. Hanno modificato la composizione demografica del Paese. Hanno riproposto in chiave moderna il valore della famiglia, superando vecchi gerarchie nei rapporti interpersonali e affermando i diritti di ciascuno. Hanno affermato una nuova idea della libertà, basata sul riconoscimento della differenza sessuale e perciò capace di evidenziare il legame che unisce ciascuna persona all'altra come misura della propria affermazione individuale. E il punto di vista delle donne ha innovato i valori, i sensi comuni, il costume della società moderna.

Dalle giovani, in particolare, viene la spinta a non abbandonare il cammino dell’autonomia femminile che viene vissuta e riscoperta a seconda delle fasi della vita, con maggiore libertà, voglia di sperimentazione e di scambio di esperienze. Da loro viene la sollecitazione più netta a rinnovare forme, contenuti, linguaggi, luoghi della rappresentanza. Sono giovani donne che hanno scommesso sullo studio e che pagano prezzi altissimi per potercela fare, per poter scegliere. Sono giovani donne i cui sogni e le cui aspirazioni spesso incontrano muri di cecità, antichi egoismi, pigrizie, ricatti.

Le donne italiane hanno dimostrato di avere capacità, competenze e talenti. Eppure le sedi decisionali dell'economia, della politica e dei media non hanno saputo avvalersi di tali risorse, né le donne sono riuscite a costruire strategie vincenti per imporsi. La politica resta il luogo più chiuso ed ostile, come confermano i dati sulla rappresentanza femminile che collocano l'Italia agli ultimi posti in Europa e nel mondo.

Le donne sono scolarizzate, anche più degli uomini, ma tante volte il loro sbocco occupazionale non è corrispondente alle qualità professionali e sono esse la componente più consistente dei lavoro a tempo determinato. Ma il punto di maggiore sofferenza per le donne italiane - che fa pagare un prezzo a tutta la società - è l'inimicizia tra il tempo di lavoro e il tempo della cura, delle relazioni e della famiglia. Le conseguenze sono laceranti: l'abbandono del lavoro durante il periodo della maternità oppure, fatto ancora più grave, la rinuncia ad avere i figli che si desiderano.

Nonostante molte leggi elaborate dai governi di centro-sinistra, a favore delle donne - a partire dalla legge sui tempi - anche nel rapporto con le domande e i bisogni delle cittadine italiane si è manifestato un deficit di cultura riformista. La sinistra deve avvalersi di un nuovo rapporto tra produzione economica e riproduzione sociale per progettare le politiche economiche di sviluppo.
Per diventare maggioranza nel paese il centrosinistra, e prima di tutto la sinistra, deve dunque promuovere “un nuovo patto con le donne italiane”, ponendo al centro della sua idea di sviluppo del paese la piena cittadinanza femminile nel lavoro, nella vita sociale e familiare, e nelle istituzioni, per rendere l’Italia più giusta e più libera. Perché questo patto sia efficace è necessario che vengano adottate tutte le misure legislative e politiche per garantire al Parlamento nazionale e a tutte le altre assemblee politiche rappresentative una rappresentanza delle donne adeguata alla loro presenza nella società italiana. La sfida della modernizzazione solidale si vince con le donne protagoniste - nel '900 e anche nel nuovo secolo - del cambiamento.

E tutto ciò ripropone il problema irrisolto del potere delle donne nel mondo, nella società e nella politica, per cambiarne rappresentatività, democraticità, linguaggi, logiche, simboli. Perché il nuovo contratto che la sinistra deve stipulare con la società affidi nelle mani delle donne, a loro progetto, un mandato di cambiamento.

TESI 15 LA CRISI DELLA POLITICA. LA RIFORMA DELLO STATO

La lunga transizione istituzionale non è compiuta. Una crisi che nasce anche dalla mancanza di una visione condivisa della storia nazionale. Su questo nasce la grande forza dell’antipolitica, caratteristica della destra italiana, e di conseguenza la difficoltà a riformare il sistema politico e istituzionale. Il fallimento della Bicamerale ripropone la necessità di riforme che contrastino derive populiste e plebiscitarie. Riforma federalista dello stato; consolidamento istituzionale e legislativo del bipolarismo; informazione democratica ; legalità, sicurezza e giustizia certa; impegno permanente sulla questione morale e una nuova etica pubblica: sono passaggi decisivi per una generale democratizzazione della vita pubblica, alla cui vitalità e larga partecipazione le ragioni della sinistra sono indissolubilmente legate.

La lunga transizione politica e istituzionale - per le modalità con cui è precipitata la crisi della “prima repubblica” e per la debole tradizione storica dei poteri pubblici - non è ancora compiuta.
A ciò ha concorso l’incapacità di esprimere un giudizio adeguato sulla vicenda storica repubblicana e di fondare l’apertura di una nuova stagione politica sulla base di una visione condivisa della propria storia. La tendenza a considerare l’Italia un paese intrinsecamente “sbagliato”, segnato da cinquant’anni di partitocrazia e di malaffare, è una visione minoritaria che, oltre a non essere all’altezza della storia di una grande nazione quale è l’Italia, ha accentuato gli elementi di “memoria divisa”, dando forza al “nuovismo” dell’antipolitica caratteristico della destra italiana, e ha reso più lenta quell’alleanza dei diversi riformismi italiani che - ieri su sponde opposte durante la guerra fredda - oggi sono insieme nell’Ulivo.
E’ tempo di offrire una rappresentazione della storia repubblicana in cui possa riconoscersi l’insieme della comunità nazionale, restituendo un’elementare verità storica: pur in una competizione politica che ha conosciuto momenti di conflitto anche aspri e passaggi drammatici - si pensi all’eversione nera e al terrorismo rosso - le classi dirigenti italiane hanno saputo guidare la ricostruzione e la rinascita del paese nella democrazia e nella pace. E alla storia dell’Italia - diventata in pochi decenni la quinta potenza del pianeta - appartiene con pieno diritto una sinistra italiana capace di esercitare - sia dall’opposizione, sia nel governo - una funzione profondamente nazionale che nessuno può disconoscere.

Su questa analisi si è basato il tentativo di superare la debolezza del sistema politico nel suo complesso agendo sul doppio binario dell’integrazione europea - per rispondere alla crisi dello stato-nazione - e della riforma istituzionale della politica italiana.

La Commissione Bicamerale - la cui istituzione, in alternativa all'ipotesi dell'Assemblea costituente, era prevista nel programma con cui l’Ulivo vinse le elezioni nel ’96 - rispondeva all’obiettivo di scrivere principi e regole per un “nuovo patto fra gli italiani" e per una nuova fase di vita della Repubblica. Che il tentativo sia fallito - per grave responsabilità della destra - non significa che non dovesse essere perseguito. Semmai ci si deve interrogare fino in fondo se si sia sempre avuta consapevolezza degli ostacoli che Berlusconi avrebbe opposto alle riforme. E, in ogni caso, l’incompiutezza della transizione istituzionale rappresenta un punto di debolezza su cui oggi la destra - forte anche di un’ampia maggioranza parlamentare - può fare leva per proporre soluzioni plebiscitarie e populiste.
Portare a compimento la transizione istituzionale resta dunque una priorità dell’agenda politica.

La riforma federalista approvata dal centrosinistra - che dovrà trovare compimento con il referendum e con una successiva riforma per l’istituzione del Senato federale - rappresenta un passaggio cruciale per un nuovo assetto dei poteri e dei rapporti tra stato centrale e territori regionali e locali, tra pubbliche amministrazioni e formazioni sociali, secondo principi di sussidiarietà e di federalismo cooperativo e solidale. La riforma sarà tanto più efficace in quanto ad essa si accompagni il pieno trasferimento delle risorse necessarie per reggere le nuove competenze, una radicale riorganizzazione della pubblica amministrazione - proseguendo l’opera avviata dal centrosinistra - e una estensione del federalismo fiscale, sulla scorta delle normative approvate nella passata legislatura. Un federalismo fiscale fondato su una corresponsabilità piena di poteri locali sia nella gestione delle politiche sociali, sia nel rispetto dei criteri del patto di stabilità.

La questione decisiva è la qualità e la vitalità della democrazia politica, oggi minacciata da tendenze plebiscitarie e da una struttura oligarchica del potere. Mantenendo ferma la scelta per un sistema politico di tipo bipolare - che in questi anni si è consolidato con l’elezione diretta dei Sindaci, Presidenti di Provincia e Presidenti di Regione - occorre intervenire sui modi e le forme del bipolarismo in atto, sui gravi difetti di verticismo e di esasperata personalizzazione della vita politica, per ricostruire istituzioni che valorizzino tutte le forme di partecipazione e riconoscano il valore di fondo della rappresentanza politica.

Più in generale legge elettorale, ruolo centrale delle assemblee elettive, riforma del sistema politico, promozione delle diverse forme di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, garanzie democratiche nel sistema dell’informazione, sono tutti capitoli da riscrivere nella prospettiva di una generale democratizzazione della vita politica.

E così, per altro verso, la diffusione delle tecnologie informatiche e di Internet apre straordinarie opportunità per rinnovare le forme della democrazia e per ammodernare amministrazioni e servizi pubblici, realizzando così una nuova governance per il XXI secolo.

E’ parte essenziale di un assetto istituzionale riformato corrispondere alla domanda di legalità e sicurezza, temi che per troppo tempo settori della sinistra hanno considerato “di destra”, quando invece sono percepiti dai cittadini come essenziali per la propria vita quotidiana.
La legalità oggi è anche prevedibilità delle conseguenze giuridiche dei propri comportamenti; l’incertezza delle leggi, la lentezza della giustizia, la non omogeneità delle decisioni, la non certezza della pena e delle sanzioni recano danni materiali ai cittadini e logorano la coesione civile del paese.
Affermare l’autorità della legge e dello Stato contro la criminalità organizzata; contrastare le molte forme di illegalità che generano in molti cittadini una diffusa percezione di insicurezza; impedire che forme di corruzione possano nuovamente minare il corretto funzionamento della pubblica amministrazione e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni; garantire una giustizia più accessibile e più rapida e un'effettiva certezza della pena; assicurare alle forze dell’ordine la formazione e le risorse necessarie per una tutela dell’ordine pubblico efficace e rispettosa della legalità: tutto ciò è condizione perché ogni cittadino, vivendo in una società sicura, si senta più libero.
Così come essenziale è affermare - non solo nelle leggi, ma anche nei comportamenti e nel senso comune della società - una etica pubblica che ispiri il modo di essere della politica, l’azione dei partiti e l’uso dei pubblici poteri.

TESI 16 UNA SINISTRA RIFORMISTA UNITA

Ciò che serve è dunque una sinistra riformista che fondi la propria identità sull’innovazione, sul rapporto tra sapere e lavoro, sulla libertà, sulla cittadinanza e i diritti, fortemente ancorata alle idealità, alla cultura e alle esperienze del socialismo europeo. Una sinistra che si pensi nell’Ulivo e concorra a fare dell’Ulivo la casa dei riformisti italiani.
Riprendere il cammino di unità dei diversi riformismi della sinistra avviato al Congresso di Torino e raccogliere la proposta di Giuliano Amato per costruire una sinistra unita capace di superare divisioni del passato e rappresentare una larga opinione di sinistra. Una sinistra riformista potrà favorire il rapporto tra Ulivo e riformismo europeo.

E’ questa, dunque, la sinistra a cui pensiamo. Una sinistra riformista che fonda la propria identità sull’innovazione, sul rapporto tra sapere e lavoro, sulla libertà, la cittadinanza e i diritti.
Una sinistra che si pensi nell’Ulivo e voglia, con la sua identità riformista, contribuire a fare dell’Ulivo la casa comune dei riformisti italiani.
Una sinistra che - portando a compimento la “svolta” dell’89/91 - si colloca così a pieno titolo nel pensiero e nelle idealità del socialismo democratico, non solo perché affiliata all’Internazionale socialista e al Pse, ma perché esprime e pratica quella cultura politica e programmatica che, da tempo, consente ai partiti socialisti e socialdemocratici europei di assolvere a una funzione dirigente.

Un partito di sinistra capace di far incontrare e fondere storie, culture e percorsi diversi riprendendo il cammino avviato a Torino, al primo Congresso dei DS nell’incontro tra il PDS e l’esperienza dei Cristiano sociali, dei Laburisti, dei Comunisti unitari, di Repubblicani e laici. Un percorso di reciproca contaminazione culturale non compiuto e anzi frenato da ritardi e lentezze.
E anche in questo caso, peraltro, può soccorrere l’esperienza europea se solo si pensa al contributo decisivo dato da correnti radicali e cristiane alla rifondazione del socialismo francese; all’influenza di forti esperienze evangeliche e di culture ambientaliste nei partiti socialdemocratici del Nordeuropa; al fatto che lo stesso Presidente dell’Internazionale Socialista, l’attuale primo ministro portoghese Guterres, è uomo di forti ed esplicite convinzioni religiose.

Con lo stesso spirito accogliamo la sollecitazione di Giuliano Amato a mettere a disposizione le energie del principale partito della sinistra italiana, i DS, per costruire una forza socialista plurima nelle radici, ma unita in un solo partito riformista. Un obiettivo di unità che ci siamo sempre posti e per il quale all'indomani del Congresso si dovrà lavorare senza indugi.
D’altra parte le ragioni che a lungo hanno diviso e contrapposto le diverse anime della sinistra stanno alle nostre spalle. La storica contrapposizione tra movimento comunista e socialdemocrazia è stata risolta dal crollo del Muro di Berlino e dal riconoscimento che l’esperienza del riformismo socialdemocratico è l’unica sinistra che ha vinto le sfide della società contemporanea. Le divisioni politiche che a lungo hanno contrapposto PCI e PSI sono anch’esse consegnate alla storia e oggi gli eredi di quei partiti si riconoscono in comuni valori e idealità, appartengono alle stesse organizzazioni socialiste internazionali, stanno insieme nell’Ulivo.

Nulla giustifica più il permanere a sinistra di più partiti, tanto più quando il voto ci sollecita a dare corso a un progetto politico capace di parlare non solo a quell’elettorato che già oggi vota per i partiti della sinistra - DS, SDI, Comunisti Italiani, settori ambientalisti - ma anche a un’opinione di sinistra ben più ampia, superando vecchi schemi e vecchie culture della sinistra del Novecento, riconoscendo la funzione dei molti filoni del riformismo italiano, aprendo una ricerca e un dibattito reale, spregiudicato, serio, capace di coinvolgere l’insieme del popolo della sinistra. In tale processo fondamentale è la realizzazione di una forte unità sindacale e il rilancio unitario del movimento cooperativo. Una sinistra riformista unita potrà così anche assolvere a una funzione essenziale di rapporto tra l’Ulivo - che è la casa dei riformisti italiani - e il Partito del Socialismo Europeo, laddove siedono i partiti che rappresentano in ogni paese d’Europa il riformismo.

Un nuovo processo unitario a sinistra deve tendere anche a riaprire un dialogo positivo e costruttivo con Rifondazione Comunista, pur nel permanere di evidenti divaricazioni programmatiche e strategiche. E va dunque riaperto il confronto sui contenuti, sugli obiettivi, per creare possibilità di convergenza, per l’oggi e per il domani.

TESI 17 LA NOSTRA COALIZIONE, L’ULIVO

Il centrosinistra è una scelta strategica, perché né centro, né sinistra vincono da soli. L’Ulivo va radicato con scelte politiche ed organizzative nelle istituzioni e nel territorio. Dare agli italiani un nuovo patto di cittadinanza, perché la vera sfida per il centrosinistra è elaborare una visione dell’Italia più credibile di quella della destra, anche attraverso una competizione virtuosa e non conflittuale tra le diverse forze politiche dell’Ulivo. Il successo della Margherita rafforza l'Ulivo. Adesso anche la sinistra deve compiere scelte di unità per un Ulivo più grande.

Il centrosinistra è una scelta strategica, tanto più in un sistema bipolare in cui i destini di ogni forza politica sono legati indissolubilmente al successo della coalizione.
Ridefinire e rilanciare così la funzione di una sinistra riformista è anche il modo migliore e più proficuo per far crescere l’Ulivo, evitando l'errore compiuto dall’insieme della coalizione dopo la vittoria del ’96, quando non si scommise sul valore dell’Ulivo favorendone il logoramento a vantaggio di una frammentazione partitica incapace spesso non solo di coesione, ma anche di sentimenti e linguaggi comuni.
Il risultato elettorale, anche per l’azione efficace svolta da Francesco Rutelli, ha dimostrato la vitalità della coalizione e le possibilità di crescita dell’Ulivo, non come superamento delle identità politiche, ma come luogo permanente di collaborazione strategica tra le diverse componenti del centrosinistra. E il risultato elettorale indica in modo inequivocabile che l’elettorato - in misura peraltro crescente - si identifica nella coalizione.
Il consolidamento e il radicamento dell’Ulivo è dunque passaggio indispensabile per dare all’opposizione profilo e qualità adeguata. Ma tale scelta non può avvenire solo per forza di inerzia post-elettorale. Comporta misure politiche e organizzative consapevoli quali l’organizzazione permanente dell’Ulivo nei collegi elettorali, la Federazione dei gruppi parlamentari del centrosinistra, un’azione coordinata e portavoce unico nelle Commissioni parlamentari, una annuale Conferenza programmatica nazionale. Così come occorre individuare metodi di selezione della leadership della coalizione e delle candidature che coinvolgano forze politiche, elettori e cittadini.

L’Ulivo nel ’95 nacque dall’incontro del riformismo della sinistra democratica con il riformismo cattolico e i settori più dinamici della borghesia imprenditoriale intorno a un progetto di modernizzazione dell’Italia che trovò nell’ingresso nell’euro e nell’ancoraggio dell’Italia all’Europa il suo elemento più visibile.
Analogamente oggi la questione è dare agli italiani un “nuovo patto di cittadinanza”, un nuovo senso dello Stato e dell’interesse nazionale a fronte della integrazione europea e della globalizzazione.

Un Ulivo strutturato e più forte non contraddice l’articolazione e il pluralismo della coalizione, ma sollecita una riorganizzazione dei diversi riformismi che lo costituiscono. La nascita della Margherita come formazione politica costituisce - dopo il successo elettorale - un passaggio essenziale per un Ulivo più coeso e più riconoscibile. Analogamente la sinistra deve oggi compiere scelte di unità e di suo rilancio, come condizione per un Ulivo più forte.
Il centrosinistra non è uno spazio chiuso all’interno del quale la crescita dell’uno sottrae forza e ruolo all’altro, né si tratta di stabilire ruoli precostituiti: alla Margherita il centro, alla sinistra di fare il “suo mestiere”. La vera sfida per il centrosinistra è elaborare una visione dell’Italia, anche attraverso una competizione virtuosa e non conflittuale tra le diverse forze politiche dell’Ulivo, in cui ciascuno punti a espandere il proprio radicamento.
Un Ulivo dinamico, capace di parlare alla società italiana, sarà anche in grado di rilanciare il confronto con le altre forze di opposizione, quali Rifondazione Comunista, l’Italia dei Valori, e Democrazia Europea, ricercando quelle possibili intese che avrebbero potuto dare diverso esito alle elezioni del 13 maggio e hanno favorito il successo nelle elezioni amministrative di grandi città.

TESI 18 UNA POLITICA FORTE DI IDEE, VALORI, PASSIONI, PROGETTI

La crisi della sinistra si è manifestata anche nella crisi della sua forma - partito.
Lo “Stato dei partiti” è finito: più che dirigere, oggi è decisivo "accompagnare" e orientare la società nella sua crescita e predisporre regole perché ciascuno abbia più opportunità. In un sistema bipolare alle coalizioni spetta la funzione di governo, mentre servono partiti capaci di visioni progettuali, idealità, istanze etiche su cui mobilitare forze, intelligenze e passioni. Per questo la politica ha bisogno di partiti forti, strutturati, aperti alla società, nuovi nel modo di essere e di agire.

Un altro grande nodo da sciogliere per dare credibilità e forza al progetto della sinistra riformista: è il suo soggetto politico organizzato.
In questi anni la forma-partito - capace per anni di leggere e rappresentare la società - ha conosciuto il progressivo ossidarsi dei canali di comunicazione, un offuscamento costante di immagine, un impoverimento di relazioni, una riduzione continua di adesioni e di risorse finanziarie. E tutto ciò si è tradotto in partiti via via più autoreferenziali, spesso più attratti dall’attività amministrativa che non dall’azione nella società.

Anche nella nostra esperienza la forma partito e la cultura organizzativa che la ispira, sono gli aspetti su cui, dalla svolta del ’91 a oggi, meno si è inciso. L’organizzazione è, in gran parte, ancora quella ereditata dal Pci, ma più piccola, più povera, più lenta. Si impone una radicale svolta, che ripensi la politica organizzata e il modo di essere dei partiti nella società italiana di oggi.

Un moderno partito della sinistra, capace di agire con efficacia nelle nuove condizioni della società moderna, deve risolvere alcuni problemi essenziali: la democratizzazione della sua vita interna e il pieno accesso da parte di tutti gli iscritti al processo decisionale; la revisione di tutti gli strumenti di informazione e di comunicazione, usando le opportunità offerte dalle nuove risorse tecnologiche; la costruzione di canali trasparenti di dialogo con la società, con le competenze, con i movimenti organizzati; la dotazione di strumenti efficaci di elaborazione programmatica; la selezione dei gruppi dirigenti e dei rappresentanti nelle istituzioni con nuovi strumenti di formazione politica e con la valorizzazione delle qualità, delle competenze, dell’autonomia personale; la individuazione di forme e strumenti di finanziamento dell’attività politica coerenti con il rigoroso impegno di moralizzazione della vita pubblica e di rigorosa separazione tra politica e affari.

I partiti - dopo la lunga notte del fascismo - furono lo strumento per costruire la democrazia, per dare all’Italia Repubblica e Costituzione, fondandole sui valori dell’antifascismo, per promuovere la partecipazione di grandi masse alla politica, per fare dell’Italia un paese grande e moderno.
Sappiamo come poi via via si sia prodotta una crescente identificazione tra partiti - in primo luogo quelli al governo - e gestione del potere che ha progressivamente logorato i rapporti tra politica e società, fino all’epilogo di tangentopoli che ha segnato una crisi profonda dei partiti e della loro credibilità nei cittadini.

Se oggi è finita la stagione dei grandi partiti “storici”, ciò non significa più che la politica possa fare a meno dei partiti e che, anzi, essi siano un ostacolo ad una consapevole partecipazione dei cittadini.
Le cose non stanno così. In ogni paese democratico la politica si organizza attraverso i partiti come libere e volontarie associazioni di donne e uomini che si uniscono in nome di comuni valori e per perseguire comuni e condivisi obiettivi. Ciò che oggi è necessario è un nuovo tipo di rapporto tra politica e società, superando le vecchie concezioni del “primato della politica”, ne’ adattarsi alle teorie del “partito personale”, all’idea e alla pratica di un nuovo notabilato che riduce la partecipazione politica ad un rapporto di fedeltà personale. Il ruolo del partito politico va reinventato e rilanciato, come elemento essenziale della dialettica democratica in un paese civile e moderno, come essenziale punto di collegamento tra le istituzioni e la società, in una prospettiva, quindi, che non può essere solo quella dell’amministrazione, dell’azione di governo, ma deve sempre tendere alla crescita democratica della società, al massimo sviluppo della partecipazione, al confronto delle idee e delle culture politiche.

Il vecchio tempo dello Stato dei partiti è finito. Non si può più pensare di governare in nome di un blocco sociale come ai tempi dell’industrialismo. Governare significa sempre più offrire regole capaci non di inibire, ma di favorire la libera scelta di ciascuno; confrontarsi con una sempre più crescente complessità e varietà di poteri, non solo economici e non solo nazionali; “accompagnare” e orientare, più che dirigere dall’alto, una società nella sua crescita. Comporta l’uso di strumenti e di canali che i partiti oggi non hanno, cambiare il loro linguaggio, rifondare strumenti di elaborazione, di iniziativa politica e di relazione con la società.
Qui sta il ruolo nuovo del partito: sempre meno strumento di gestione del potere, ma sempre più fattore di promozione sociale e culturale della comunità. Ciò è tanto più vero in un sistema politico che, tendendo al bipolarismo, consegna alle coalizioni la funzione di governo e affida ai partiti di essere strumento di riforma e organizzazione della società. Qui è la svolta da fare. Creare un partito di governo che stimoli la creatività e i nuovi bisogni umani, che sia capace di mobilitare forze, intelligenze, passioni.
Mentre i partiti dediti alla gestione del potere deperiscono e perdono contatto con la vita, diventano sempre più essenziali nuovi soggetti politici che siano portatori di visione progettuale e di istanze etiche.

TESI 19 IL PARTITO CHE VOGLIAMO

Serve un partito: federale, popolare, aperto alla società e ai suoi saperi.
Un partito che valorizzi le donne riconoscendo loro il 40% degli incarichi di direzione.
Un partito democratico non prigioniero delle correnti.
Un partito diretto non da un leader solitario, ma da un gruppo dirigente ricco di personalità e esperienze diverse.
Un segretario eletto con voto disgiunto dalle mozioni, per superare i rigidi schemi correntizi.
Piero Fassino Segretario in grado di ricostruire un gruppo dirigente ampio, plurale, solidale.

Serve dunque un “partito”.

Un partito “federale” che traduca nella sua identità organizzativa quella trasformazione dello Stato in senso federalista fondata su nuovi rapporti fra centro e territori regionali e locali e che ritrovi nel gruppo dirigente nazionale la ricchezza delle esperienze di direzione regionale e locale.

Un partito “popolare”, perché radicato profondamente nella società e capace di rappresentare la quotidianità e di lì trarre le ragioni della propria azione politica.

Un partito “di donne e di uomini”, capace di far vivere davvero nel proprio modo di essere la soggettività femminile e per questo di valorizzare le donne puntando nei prossimi tre anni all’obiettivo del 40% di donne impegnate in incarichi di direzione ai diversi livelli, oltre che a una loro significativa presenza negli esecutivi.

Un partito “aperto” che, forte della sua autonomia culturale, sia capace di stabilire con le sedi di produzione intellettuale e culturale un dialogo e uno scambio continui, superando definitivamente l’idea di un partito che ha un sapere “suo” da comparare con altri.

Un partito “democratico e unito” in cui la dialettica tra posizioni distinte non sia prigioniera in formazioni correntizie chiuse e rigide che vanno superate, per favorire, invece, la ricerca di una più vera e consapevole unità, riconoscendo a iscritti ed elettori l’effettiva possibilità di contare e una piena cittadinanza politica.
Per questo - ferma restando la libera articolazione del pluralismo interno - le mozioni congressuali devono esaurire la loro funzione con lo svolgimento del Congresso e non dare luogo a correnti permanenti. Ed è opportuno che il Congresso nazionale, in sede di revisione dello Statuto, renda più flessibile lo svolgimento dei Congressi prevedendone più modalità (per mozioni, per tesi, per dichiarazioni di intenti, per temi singoli). Così come appare opportuno che il Congresso esamini la possibilità, in futuro, di eleggere il Segretario nazionale con voto disgiunto dalle mozioni, in modo da consentire una scelta libera e fondata su più criteri di valutazione - linea politica, capacità di direzione, autonomia culturale, accreditamento esterno - e a chi sarà eletto di esercitare la propria responsabilità senza essere vincolato a rigidi schemi correntizi.

Serve un partito capace di valorizzare i suoi dirigenti non sulla base di appartenenze, ma di ciò che ciascuno effettivamente sa, sa fare e fa e di promuovere quella nuova generazione di quadri che già oggi dirige molte nostre strutture locali.
Un partito che abbia un “gruppo dirigente”, costituito dalle personalità più forti e riconosciute, capace di collocare anche la maggiore personalizzazione della politica - che è un tratto ineliminabile della democrazia moderna - entro una collegialità che valorizzi tutte le potenzialità culturali e intellettuali di cui un partito è ricco e che riconosca adeguatamente funzioni dirigenti a chi proviene da esperienze diverse dal PCI.

E soprattutto un partito diretto non da un leader solitario ma da un Segretario nazionale che offra la più ampia garanzia di una direzione politica salda, di una gestione del partito democratica, di forti relazioni con la società, e di saper costruire intorno a sé un gruppo dirigente ampio, plurale e solidale.
Profilo a cui corrisponde Piero Fassino che proponiamo come nuovo Segretario nazionale dei DS.

Un partito, infine, che riacquisisca il valore della “solidarietà”, di cui tutti noi avvertiamo il rischio di uno smarrimento. Un partito ha bisogno di valori, strategie, programmi, obiettivi. Ma tutto ciò non basta se si smarrisce il senso di una comune appartenenza, di un’impresa comune a cui donne e uomini si sentano legati prima di tutto per ragioni etiche e civili. E quella solidarietà è tanto più necessaria nel momento in cui non si vogliono falsi unanimismi. La possibilità per ciascuno di esprimersi liberamente, e anche di distinguersi, sarà tanto più feconda quanto più si sia consapevoli che tutti noi siamo impegnati in una comune missione per un comune destino.



Prime sottoscrizioni mozione Fassino

Piero Fassino Deputato, Direzione Nazionale DS

Pierluigi Bersani Deputato, Direzione Nazionale DS

Abbondanzieri Marisa Deputato
Acri Antonio Pres. Provincia di Cosenza
Adamo Marilena Direzione Nazionale DS
Adamo Nicola Pres. Gruppo DS Regione Calabria
Adduce Salvatore Deputato
Agostini Luciano Coord. DS Giunta Regionale Marche
Aiello Francesco Sindaco di Vittoria (RG)
Albonetti Gabriele Deputato
Alborghetti Guido Già parlamentare
Alder Tonino Pres. DS Valle d'Aosta
Allodi Guglielmo Direzione Nazionale DS
Altobello Sabino Capogruppo DS Regione Basilicata
Amati Silvana Direzione Nazionale DS
Amici Maria Teresa Deputato
Annunziata Anna Direzione Nazionale DS
Angius Gavino Presidente Senatori DS
Arbocco Gianni Segr. Federazione DS Cuneo
Artali Mario Direzione Nazionale DS
Azzi Giancarlo Segr. Federazione DS Rovigo
Baldarelli Francesco Direzione Nazionale DS
Baldelli Orietta Direzione Nazionale DS
Baldini Bruno Vicepres. Prov. Ravenna
Balzo Vanio Segr. Federazione DS Verona
Barbieri Silvia Direzione Nazionale DS
Barbieri Paolo Vicepres. Prov. Vibo Valentia
Barbolini Giuliano Sindaco di Modena
Barsocchi Paolo Segr. Federazione DS Lucca
Bassanini Franco Senatore, Direzione Nazionale DS
Basso Marcello Senatore
Bastico Mariangela Direzione Nazionale DS
Battafarano Giovanni Senatore
Battaglia Augusto Deputato
Becattini Lorenzo Segr. Federazione DS Firenze, Direzione Naz.le DS
Bellomo Walter Direzione Nazionale DS
Benaglia Franco Direzione Nazionale Laburisti
Benvenuti Ubaldo Direzione Nazionale DS
Benvenuto Giorgio Deputato, Direzione Naz.le DS
Bergianti Claudio Vicepres. Provincia di Modena
Bernazzoli Vincenzo Vicepres. Provincia di Parma
Bettini Goffredo Deputato
Bianchi Romana Direzione Naz. DS
Bocchini Arianna Direzione Naz. DS
Bolognari Mario Sindaco di Taormina
Bolognesi Marida Deputato, Direz. Naz. DS
Bonito Francesco Deputato
Borioli Daniele Vicepres. Prov. Alessandria
Borrelli Luigi Deputato
Borroni Roberto Già Sottosegretario
Bova Giuseppe Vicepres. Cons. Reg. Calabria, Direz. Naz. DS
Bova Domenico Deputato
Bracco Fabrizio Direzione Naz. DS
Bresso Mercedes Pres. Provincia di Torino, Direz. Naz. DS
Brina Massimo Segr. Federazione DS Alessandria
Brunale Giovanni Senatore
Brutti Massimo Senatore, Direzione Naz. DS
Bubbico Filippo Pres. Regione Basilicata
Budin Milos Senatore
Bugli Vittorio Sindaco di Empoli
Buglio Salvatore Deputato
Bulgarelli Vanni Segreteria. Reg.DS Emilia
Burchiellaro Gianfranco Sindaco di Mantova
Burlando Claudio Deputato, Direz. Naz. DS
Buzio Alberto Segr. Fed. DS VCO
Cabras Antonello Deputato, Segr. Regionale Sardegna
Caddeo Rossano Senatore
Caivano Pietro Vicepres. Provincia di Matera
Caldarola Giuseppe Deputato
Calvi Guido Senatore
Calvisi Giulio Dir.Naz.DS
Caminiti Giuseppe Segr. Federazione DS Reggio Calabria
Camocardi Claudio Direzione Nazionale DS
Capitani Fabio Segr. Federazione DS Grosseto
Capitelli Piera Deputato
Capodicasa Angelo Direzione Nazionale DS
Cappella Michele Coord. Reggenti DS Catania
Caredda Giorgio Segr. Fed. DS Cagliari
Caronna Salvatore Segr.DS Bologna
Carini Ernesto Vicepres. Provincia di Piacenza
Carli Anna Direzione Naz. DS
Carli Carlo Deputato
Caroli Gianna Pres. Comitato Reg. Puglia
Carra Marco Segr. Fed. DS Mantova
Cazzaro Bruno Deputato
Ceccarelli Vincenzo Pres. Provincia di Arezzo
Ceccherini Fabio Pres. Provincia di Siena
Ceccuzzi Franco Segr. Federazione DS Siena, Direz. Naz.
Cenni Maurizio Sindaco di Siena
Cenni Susanna Direzione Naz. DS
Chiamparino Sergio Sindaco di Torino
Chianale Mauro Deputato
Chiaromonte Franca Deputato,Dir. Naz.DS
Chiesa Ezio Segr. Fed. DS Chiavari
Chiti Vannino Deputato, Direzione Naz. DS
Chiusoli Franco Senatore
Coen Federico Direzione Naz. DS
Colonnella Pietro Pres. Provincia di Ascoli Piceno
Colucci Giuseppina Assessore alla Cultura di Brindisi
Coluccini Margherita Deputato
Consiglio Lino Segr. Federazione DS Siracusa
Conti Giordano Sindaco di Cesena
Cordoni Elena Deputato, Direz. Naz. DS
Cosimi Alessandro Segr. Federazione DS Livorno
Cracolici Antonello Direzione Naz. DS
Crisci Nicola Deputato
Cugini Renato Segr. Federazione DS Olbia
Cuillo Roberto Già responsabile Comunicazione DS
Cuperlo Gianni Direzione Naz. DS
D'Alete Pardo Antonio Segr. Regionale DS Molise
D'Amico Giovanni Segr. Federazione DS Marsica
D'Annibale Tonino Segr. Federazione DS Castelli
D'Auria Giovanni Capogruppo DS Prov. di Taranto
Dati Giuseppe Segr. Federazione DS Versilia
De Biase Emilia Direzione Naz. DS
De Biase Mario Sindaco di Salerno
De Brasi Raffaello Deputato
De Carolis Stelio Direzione Naz. DS
De Cia Roberto Segr. Federazione DS Savona
De Col Ermanno Sindaco di Belluno
De Dominicis Pino Pres. Provincia di Pescara
De Luca Vincenzo Deputato, Direzione Naz. DS
De Piccoli Cesare Già Sottosegretario
De Santis Lelio Direzione Naz. DS
Del Vecchio Gianni Segr. Federazione DS Prato
Dessì Maria Grazia Direzione Naz. DS
Di Bisceglie Antonio Già deputato
Di Girolamo Leopoldo Senatore
Di Pietro Gianni Vice Sindaco di Teramo
Di Resta Domenico Segr. Federazione DS Latina
Di Rosa Roberto Segr. Regionale DS Liguria
Diana Lorenzo Deputato
Dipietrangelo Carmine Vicepres. Assemblea Regionale Puglia
Domenici Leonardo Sindaco di Firenze, Direz. Naz. DS
Dubois Tea Vicepres. Comm. Pari Opportunità Regione Puglia
Errani Vasco Pres. Regione Emilia Romagna
Esu Mauro Segr. Federazione DS Sulcis-Iglesiente
Fabbri Ferdinando Pres. Provincia di Rimini
Fabrizzi Simona Direzione Naz. DS
Fedi Ernesto Direzione Naz, Laburisti
Fiamminghi Miro Segr. Fed. DS Ravenna
Figliulo Michele Vicepres. Provincia di Salerno
Filippeschi Marco Deputato, Segr. Federazione DS di Pisa
Finocchiaro Anna Deputato, Direz. Naz. DS
Folino Vincenzo Segr. Federazione DS Potenza
Fontanelli Paolo Sindaco di Pisa
Fortuna Daniele Segr. Federazione DS Fermo
Franceschetti Fausto Segr. Fed.DS Fermo
Franci Claudio Deputato
Franco Giorgio Segr. Federazione DS Ivrea
Franco Vittoria Senatore, Direz. Naz. DS
Frisullo Sandro Capogruppo DS Regione Puglia
Gaetani Rocco Direzione Naz. DS
Gambini Sergio Deputato
Garatti Bruno Segr. Federazione DS Crema
Gardini Paolo Segr. Federazione DS La Spezia
Garraffa Costantino Senatore
Gasbarri Mario Senatore, Segr. Federazione DS Tivoli
Gatti Luciano Segr. Federazione DS Frosinone
Geremicca Andrea Direzione Naz. DS
Gherghetta Enrico Segr. Federazione DS Gorizia
Giacco Luigi Deputato
Giacobbe Carlo Vicepres. Provincia di Savona
Giannico Enzo Segr. Federazione DS Taranto
Giganti Simone Segr. Federazione DS Civitavecchia
Giocondi Roberto Segr. Federazione DS Rieti
Giovannelli Oriano Sindaco di Pesaro
Giraldi Domenico Direzione Naz. DS
Giraldo Silvana Direzione Naz. DS
Giuliani Fabrizio Segr. Federazione DS Ancona
Gozi Graziano Segr. Federazione DS Cesena
Gruosso Vito Senatore
Gualazzini Gabriele Pres. Cons, Provinciale Piacenza
Gruccione Carlo Segr. Federazione DS Cosenza
Guerrieri Luciano Sindaco di Piombino
Guerrieri Massimo Direzione Naz. DS
Guerzoni Roberto Deputato
Guerzoni Luciano Senatore
Ianni Luigi Segr. Federazione DS Teramo
Intrieri Marilina Direzione Naz. DS
Izzo Francesca Direzione Naz. DS
Labate Grazia Deputato, Direzione Naz. DS
Lai Silvio Segr. Federazione DS Sassari
Lamberti Gianfranco Sindaco di Livorno
Lardo Angelo Pres. Cons. Provinciale Potenza
Larizza Rocco Già senatore
Latorre Nicola Pres. Associazione Futura
Lavarra Enzo Parlamentare Europeo
Licciardi Attilio Segr. Federazione DS Palermo
Locchi Renato Sindaco di Perugia
Lorenzetti Maria Rita Pres. Regione Umbria
Luca Antonio Vicepres. Provincia di Lecce
Lucà Mimmo Deputato, Pres. Naz. Cristiano Sociali
Luciani Massimo Segr. Federazione DS Pescara
Lucidi Marcella Deputato, Direzione Naz. DS
Lulli Andrea Deputato
Lumia Giuseppe Deputato, Direzione Naz. DS
Luongo Antonio Deputato, Direzione Naz. DS
Macciotta Giorgio Cons. Naz. CNEL
Maconi Loris Senatore
Mafai Miriam Direzione Naz. DS
Magno Michele Coordinamento per il Progetto
Magnolfi Beatrice Deputato, Direzione Naz. DS
Mancina Claudia Direzione Naz. DS
Manciulli Andrea Segr. Federazione DS Piombino
Manica Giuliana Direzione Naz. DS
Manzini Paola Deputato, Direzione Naz. DS
Maran Alessandro Deputato, Segr. Regionale DS Friuli V.G.
Marantelli Daniele Segr. Federazione DS Varese
Maritati Alberto Senatore
Marcenaro Pietro Segr. Reg. DS Piemonte, Direzione Naz. DS
Marchese Gabriele Segr. Fed. DS Chieti
Marchignoli Massimo Sindaco di Imola
Margheri Guido Capogruppo DS Bolzano
Mariani Paola Deputato
Mariotti Arnaldo Deputato
Marrocu Antonio Segr. Federazione DS Campidano
Martella Andrea Deputato, Segr. Federazione DS Venezia
Marziano Bruno Pres. Provincia di Siracusa
Mascioni Giuseppe Senatore
Masone Maurizio Segr. Federazione DS Agrigento
Massa Augusto Sindaco di Campobasso
Mattei Fabrizio Sindaco di Prato
Matteucci Fabrizio Segreteria Regionale Ds Emilia
Maurandi Pietro Deputato
Mazzarello Graziano Deputato
Mazzeo Franco Segr. Federazione DS Vibo Valentia
Mazzoli Alessandro Segr. Federazione DS Viterbo
Melilla Gianni Pres. Gruppo DS Regione Abruzzo
Melucci Maurizio Vicesindaco di Rimini
Mercatali Vidmer Sindaco di Ravenna
Meta Michele Capogruppo DS Regione Lazio
Mezzetti Massimo Segr. Federazione DS Modena
Mezzolani Almerino Segr. Federazione DS Pesaro e Urbino
Migliavacca Maurizio Pres. Cooperativa Eridana
Miglio Roberto Segr. Federazione DS Lodi
Minieri Angelo Sindaco di Matera
Minniti Marco Deputato, Direzione Naz. DS
Mirabelli Franco Segreteria regionale DS Lombardia
Misiani Antonio Segr. Fed. DS Bergamo
Mognato Michele Vicesindaco di Venezia
Montalbano Accursio Senatore
Montaldo Claudio Vicesindaco di Genova
Montanari Nanda Pres. di Ambiente Lavoro
Montanari Roberto Segr. Federazione DS Ferrara, Direz. Naz. DS
Montecchi Elena Deputato,Direzione Naz.DS
Montino Esterino Senatore
Morri Fabrizio Coordinatore Nazionale della mozione
Motta Carmen Deputato
Murgia Franco Segr. Federazione DS Ogliastra
Murineddu Nini Senatore
Naccarato Alessandro Segr. Federazione DS Padova
Nannicini Rolando Deputato
Nardi Giammaria Segr. Federazione DS Massa Carrara
Nardozza Angelo Vicepres. Provincia Potenza
Nazzaro Alfredo Segr. Cittadino DS Benevento
Nieddu Gonario Deputato
Nieddu Gianni Senatore
Nigra Alberto Deputato, Segr. Federazione DS Torino
Nunes Gino Pres. Provincia di Pisa
Oddo Camillo Deputato A.R.S.
Oliverio Mario Deputato, Direz. Nazionale DS
Olivo Rosario Direzione Naz. DS, Pres. dei Laburisti
Orrù Dino Segr. Unione Industria Fed. Torino
Ottolenghi Federico Segr. Federazione DS Milano, Direz. Naz. DS
Ottone Rosella Deputato
Pacetti Massimo Direzione Naz. DS
Paganelli Lino Tesoriere, Direz. Naz. DS
Pagano Giorgio Sindaco di La Spezia
Paltrinieri Manuela Direzione Naz. DS
Pampaloni Alessandra Direzione Naz. DS
Paolini Carlo Direzione Naz. DS
Paolini Enrico Segr. Regionale DS Abruzzo
Pariani Anna Segr. Federazione DS Imola
Parodi Renato Segr. Sez. DS Ansaldo di Genova
Pascarella Gaetano Senatore
Pasquini Giancarlo Senatore
Pedulli Giuliano Segr. Federazione DS Forlì
Pellicani Gianni Già parlamentare
Peluffo Vinicio Presidente Nazionale Sinistra Giovanile DS
Penati Filippo Sindaco di Sesto San Giovanni
Perifano Luigi Segreteria Regionale DS Campania
Petrone Carlo Segretario Regionale DS Basilicata
Piatti Gianni Senatore
Pigliapoco Sauro Pres. Provincia di Macerata
Piglionica Donato Deputato
Piloni Ornella Senatore
Pittella Gianni Parlamentare Europeo
Pizzetti Luciano Segr. Regionale DS Lombardia
Polesana Antonio Segr. Federazione DS Belluno
Porcari Carlo Segr. Federazione DS Pavia
Preda Aldo Deputato
Prospero Michele Direzione Naz. DS
Pucci Roberto Sindaco di Massa Carrara
Puccio Giovanni Segr. Federazione DS Catanzaro
Raffaelli Paolo Sindaco di Terni
Raffaldini Franco Deputato
Rai Mauro Segr. Federazione DS Piacenza
Ranieri Umberto Deputato, Direzione Naz. DS
Rapisarda Salvatore Segr. Sezione DS Mirafiori/Rivalta
Rava Lino Deputato
Reichlin Alfredo Direzione Naz. DS
Rella Alberto Pres. Direz. Provinciale DS Trento
Reschigna Aldo Sindaco di Verbania
Revelli Franco Vicepres. Provincia di Cuneo
Riba Lido Vicepres. Cons. Regionale del Piemonte
Riccio Francesco Direzione Naz. DS
Rizzato Claudio Segr. Fed. DS Vicenza
Rizzo Claudio Segr. Sezione DS Portuali di Genova
Rossetti Giorgio Già parlamentare europeo
Rossi Nicola Deputato
Rossiello Giuseppe Deputato
Ruffini Claudio Pres. Provincia di Teramo
Ruffino Elvio Già deputato
Ruffolo Giorgio Parlamentare Europeo
Rugghia Antonio Deputato
Rusticali Franco Sindaco di Forlì
Ruzzante Piero Deputato
Salerno Franco Sindaco di Barletta
Sandi Italo Deputato
Sandri Alfredo Deputato
Sanlorenzo Dino Direzione DS Torino
Sanna Emanuele Direzione Naz. DS
Santi Rizziero Reggenza Federazione DS Rimini
Sateriale Gaetano Sindaco di Ferrara
Scalvenzi Franco Segr. Regionale DS Lombardia
Scaramucci Alba Direzione Naz. DS
Scarpetti Lido Sindaco di Pistoia
Scheggi Lio Pres. Provincia di Grosseto
Sciamanna Giovanni Segr. Fed. DS Ascoli Piceno
Secchiari Antonio Segr. Fed. DS Macerata
Sedioli Sauro Deputato
Segnanini Lucio Sindaco di Carrara
Serafini Anna Direzione Naz. DS
Sereni Marina Deputato
Sgorbini Stefano Vicepres. Provincia di La Spezia
Silenzi Giulio Capogruppo DS Regione Marche
Siniscalchi Vincenzo Deputato
Smaldone Domenico Segr. Federazione DS Matera
Solaroli Bruno Già Sottosegretario
Solinas Antonio Segr. Fed. DS Oristano
Spadaro Stelio Segr. Federazione DS Trieste
Stagnini Sandro Vice Presidente Gruppo DS Regione Toscana
Stanisci Rosa Senatore
Speziale Lillo Capogruppo DS A.R.S.
Stramaccioni Alberto Deputato, Direzione Naz. Ds
Sturani Fabio Sindaco di Ancona
Superti Pippo Segr. Fed. DS Cremona
Susini Marco Deputato
Talarico Carmine Pres. Provincia di Crotone
Tedeschi Massimo Sindaco di Fidenza
Terzi Riccardo Direzione Naz. DS
Tidei Pietro Deputato
Tidu Costantino Segr. Fed. DS Nuoro
Tizzoni Paolo Vicepres. Provincia di Genova
Trentin Oscar Segr. Fed. DS Treviso
Triggiani Ennio Vicepres. Provincia di Bari
Turco Livia Deputato, Dir. Naz. DS
Uccella Umberto Segretario Fed. DS di Lecce
Ucchielli Palmiro Pres. Provincia di Pesaro e Urbino
Urti Antonio Segr. Federazione DS Como
Vacca Ignazio Coord. Segr. Regionale DS Lazio
Vacca Giuseppe Segret. Regionale DS Puglia, Dir. Nazionale
Valenti Michelangelo Segr. Federazione DS Biella
Valenzi Maurizio Già Sindaco di Napoli
Vannucci Massimo Segret. Regionale DS Marche
Vattimo Gianni Parlamentare Europeo
Vedovato Sergio Già Senatore
Venier Fabrizio Segr. Federazione DS Pordenone
Ventura Michele Deputato
Venturi Gianfranco Pres. Provincia di Pistoia
Vianello Michele Deputato
Vicini Antonio Senatore
Vigneri Adriana Già Sottosegretario
Villani Adolfo Segr. Federazione DS Caserta
Villari Gianni Deputato A.R.S.
Visco Vincenzo Deputato, Direz. Naz. DS
Viserta Bruno Senatore
Zagatti Alfredo Vicepres. Provincia di Ferrara
Zanichelli Lino Capogruppo DS Cons. Reg. Emilia Romagna
Zanonato Flavio Capogruppo DS Regione Veneto
Zingaretti Nicola Segr. Federazione DS Roma
Zoggia Davide Vicepres. Provincia di Venezia
Zunino Massimo Deputato




Lista incompleta, in corso di aggiornamento

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