Cambiare il partito, migliorare la
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Premessa
Questo documento nasce dal lavoro di iscritti e non iscritti ai
Democratici di Sinistra col duplice obiettivo di fissare quello che
crediamo la sinistra debba assolutamente fare e di poter essere
letto da tutti. Per questo lo abbiamo pensato sintetico e, forse, un
po’ spigoloso: ci interessa infatti che altri lo condividano
avendo ben chiari i punti di accordo e di disaccordo. Siamo ben
consapevoli che nella sinistra convivono, oggi un po’ più che nel
passato - ma non molto di più, in fondo - tante idee, tante
sensibilità, tante storie diverse. Ecco perché la scelta di un
documento e non di una mozione: fuori da personalismi o correnti,
esso può essere sottoscritto da chiunque lo condivida,
indipendentemente da quale delle tre mozioni vorrà sottoscrivere o
votare. Ci servono 2000 firme di iscritti per presentare il
documento a congresso: vogliamo farcela.
Il Partito dei Democratici di Sinistra ha perso i sensi
La vista, perché ha chiuso gli occhi di fronte al cambiamento; l’udito,
perché non ha avvertito i rimproveri e le critiche di chi gli
chiedeva di cambiare; il tatto e l’olfatto, perché ha smarrito i
suoi legami con la società. Ha perso, infine, anche il gusto: il
gusto di fare politica.
Noi vogliamo recuperare i sensi perduti e cercare di rinnovare il
significato del nostro sentirci di sinistra: contribuire a rendere
migliore la vita delle persone.
Ci rivolgiamo e chiediamo aiuto non solo agli iscritti al nostro
partito ma anche a tutti coloro che in questi anni lo hanno lasciato
per fare cose più utili, a coloro che hanno smesso di “fare
politica”, a coloro che l’avrebbero fatta se avessero ricevuto l’invito
a partecipare ad almeno una riunione. Vi chiediamo di partecipare al
nostro congresso, e quindi vi chiediamo di tornare a iscrivervi, o
di provare a iscrivervi per la prima volta. L’adesione ad un
partito non è una scelta definitiva, e per questo potete “correre
il rischio” di unirvi a noi, almeno fino a dicembre.
Il nostro partito deve cambiare. Di più: dobbiamo cambiare tutti, e
per questo abbiamo bisogno soprattutto di voi.
Un Partito per la Politica
Giunti al punto più basso del consenso elettorale, del potere
politico e dell’influenza culturale, i Democratici di Sinistra
debbono abbandonare il fardello di un passato che non hanno saputo
né fare passare né superare e debbono progettare una nuova
esistenza.
Il punto di partenza, assolutamente non sacrificabile ad ignote
prospettive “democratiche”, sta ancora una volta nel prendere
sul serio il proprio nome: essere democratici ed essere di sinistra.
Meglio: diventare democratici, collocarsi a sinistra.
Per fare questo bisogna ripensare il partito, la sua organizzazione,
la sua identità, la sua politica e le sue alleanze. Questo
documento vuole dare un contributo alla costruzione di un partito di
sinistra, socialdemocratico in Italia.
Il partito socialdemocratico non è finito e, in Italia, non è
neppure mai nato. Non basta sostenere che i Ds sono un partito
ancorato al socialismo europeo: oltre alle parole servono le
politiche.
Un partito socialdemocratico è tale quando è socialista negli
obiettivi e democratico nel funzionamento. Le esperienze
socialdemocratiche non sono affatto superate e, quand’anche lo
fossero, sono state superate dagli stessi partiti socialdemocratici
che hanno saputo andare oltre.
[Un conto, però, è rinnovare le politiche economiche e sociali, un
conto è costruire l’organizzazione che sceglierà quelle
politiche. Senza un’organizzazione rinnovata non può esserci una
nuova politica.]

I Ds sono un partito squilibrato, asfittico, con
una vita interna dominata, alternativamente, dal conformismo e dal
correntismo. Nulla di tutto questo facilita le decisioni ma,
soprattutto, nulla di tutto questo rende il partito socialista e
democratico. Oggi la democrazia interna, spesso sacrificata al
potere di qualche dirigente e della sua cordata, è altrettanto
spesso un rituale terribilmente noioso che genera frustrazione nella
base attiva allontanando sempre più aderenti, soprattutto giovani,
ogni anno. Il partito deve essere ricostruito partendo da una felice
commistione tra volontari, funzionari, pochi e a tempo determinato,
e gli eletti con i loro comitati elettorali. In tutto il paese
questi comitati sono luoghi nei quali molti hanno fatto politica
durante la campagna elettorale, nel 2001 e ancor più nel 1996; dove
si trovano cittadini ancora disponibili a continuare.
La loro attività è indispensabile per mantenere i collegamenti tra
l’opposizione parlamentare e l’opposizione sociale. Immaginiamo
un partito strutturato anche per collegi, di cui i comitati di
collegio, fatti di cittadini e militanti, siano parte essenziale e
strumento per rappresentare la società, stimolare la partecipazione
e rivitalizzare l’azione parlamentare. Ad un’opposizione
politica finora in difficoltà e capace di alcune critiche
moralistiche, peraltro imbarazzanti a causa della loro
inadeguatezza, saremo in grado di sostituire allora la democrazia
partecipativa.
Da qui, pensiamo, riparte qualsiasi ristrutturazione organizzativa
di un partito di sinistra in questa fase storica.
Abbiamo poi imparato che le correnti organizzate costituiscono, nei
DS come in qualsiasi altro partito, compresa la vecchia Democrazia
Cristiana, la negazione della democrazia interna. Quando funzionano,
e cioè quando sono collegate a gruppi sociali esterni, le correnti
garantiscono una competizione oligarchica; quando non funzionano,
come nei DS, sono soltanto sterili strumenti di potere e di
spartizione delle cariche. La democrazia interna non deve servire a
tutelare i potenti, ma a consentire agli iscritti e ai gruppi di
sostegno esterni di contare e di contribuire ai processi
decisionali. Per questi motivi cambiare il Partito richiede anche
una profonda riforma dello Statuto.
Una Politica per il Partito
Un partito è di sinistra quando persegue obiettivi di miglioramento
della qualità complessiva della vita dei cittadini e, persino, dei
non cittadini. Il criterio fondamentale per stabilire quando un
partito è di sinistra non consiste solo nell’innovazione che,
come sappiamo, non è mai neutrale e non è necessariamente prodotta
da un partito.
Il valore fondamentale per un partito di sinistra consiste, invece,
nel perseguire la riduzione delle disuguaglianze che qualsiasi
mercato, persino il più competitivo, produce e riproduce; nel
garantire l’eguaglianza delle opportunità e dei punti di
partenza; nel sostenere chi, per ragioni diverse, non possa più
partecipare alla legittima e sana competizione economica e sociale.
L’obiettivo di riduzione delle disuguaglianze si realizza nella
definizione di quali sono gli “spazi” in cui ricerchiamo l’uguaglianza.
In primo luogo, crediamo che il nostro compito sia assicurare l’uguaglianza
nella libertà. La vecchia contrapposizione tra libertà e
uguaglianza è superata. Non è l’uguaglianza a limitare la
libertà ma, piuttosto, il problema è garantire una libertà “eguale”
per tutti i cittadini. La libertà di cui parliamo consiste nel
realizzarsi, nel valorizzare i propri talenti e nel gratificare i
propri meriti nella legittima competizione economica e sociale. Il
riconoscimento dell’eccellenza fa legittimamente parte di una
moderna visione di sinistra. Karl Marx sarebbe sicuramente d’accordo:
garantita l’eguaglianza delle opportunità si dia “a ciascuno
secondo i suoi meriti”. Tre sono i pilastri della “libertà
eguale”:
un sistema di istruzione accessibile a tutti in condizioni di
parità;
una sanità pubblica che ripristini la libertà negata dagli
accidenti della vita;
un reddito di cittadinanza che assicuri tutti i cittadini contro le
incertezze del mondo del lavoro. Solo così la flessibilità che il
sistema economico richiede può diventare libertà discegliere e non
ricatto della povertà.
In secondo luogo, crediamo che compito della Sinistra sia il
perseguimento di un’altra eguaglianza: l’equità nella
distribuzione dei benefici che il sistema produce. Né la
capillarità del sistema educativo né la flessibilità del sistema
previdenziale e assistenziale possono essere definiti soltanto in
termini di compatibilità e di criteri economici. La politica dei
redditi, il tanto celebrato strumento di controllo dell’inflazione,
può essere anche il mezzo attraverso cui la società redistribuisce
i suoi “dividendi”, i dividendi sociali, al lavoro. D'altro
canto, abbiamo il dovere di vivere coi nostri mezzi senza diventare
un peso per le generazioni future.
Andare in pensione a 55 anni o addirittura prima non è un problema
esclusivamente economico per i conti dello Stato: è un problema di
giustizia sociale. Dobbiamo chiarire se questo sia un diritto
estendibile a tutti, generazioni presenti e future, o sia solo il
privilegio di pochi. Ci sono casi specifici e motivati, lunghe
carriere contributive, professioni logoranti che vanno protette, ma
in generale l’età della pensione deve garantire l’equità
sociale: a lavori uguali devono corrispondere trattamenti
comparabili in tutte le generazioni. I privilegi accordati a poche
categorie sono solo ingiusti.
Per fare le riforme un partito di sinistra argomenta e persuade con
una visione che coniuga gli interessi generali della società con la
giustizia sociale.
Educa, in un dibattito certamente aperto e mai predefinito, la
cittadinanza.
Si espone, con dirigenti che rischiano in prima persona, alla
democrazia deliberativa.
Sa che il partito è soltanto uno degli strumenti della politica, ma
sa anche che non c’è vera politica senza un partito di Sinistra.
Sa che dove non c’è un partito di Sinistra, la società è più
ingiusta e la distribuzione del reddito e delle opportunità più
squilibrata.
Sa che dove le donne sono subalterne e i bambini sfruttati non c’è
libertà e non potrà esserci né giustizia sociale né sviluppo
economico.
Sa, infine, che il partito non può mai esimersi dal dare la linea,
dal cercare di scrivere l’agenda, dall’aprire spazi di libertà
a cominciare dai temi moderni per eccellenza: la globalizzazione e
la bioetica.
I Gruppi di Riferimento
Proprio perché un partito di sinistra sa di non possedere da
solo la ricetta salvifica di un riformismo duro e puro, deve
confrontarsi con la società tutta e, in particolare, con i suoi
naturali gruppi di riferimento, a cominciare dal sindacato. Non può
esistere un partito di sinistra che non faccia riferimento al mondo
del lavoro, organizzato e non.
Con il mondo del lavoro organizzato il partito avrà una dialettica
intensa e preferenziale. Nessuno fra i Ds potrà mai pensare che
criticando la Cgil il partito riuscirà ad apparire, per questo solo
fatto, “moderno” e “trasgressivo” e così a conquistare i
ceti medi. D’altra parte, deve essere altrettanto chiaro che un
partito ridotto a cinghia di trasmissione del sindacato si condanna
ad un ruolo residuale nella società. Di quel partito né la
Sinistra né il mondo del lavoro hanno bisogno.
Il ruolo del partito è di scrivere l’agenda politica, dopo avere
ascoltato, filtrato e mediato. La discussione avverrà in via
privilegiata con il sindacato al quale si chiederà di tenere conto
delle esigenze di una società giusta per le generazioni presenti e
future. Allo stesso tempo, il partito definirà i suoi interlocutori
sociali ed economici con i quali dovrà mantenere rapporti frequenti
nel corso del tempo. E potrà farlo perché sarà un partito
rinnovato: aperto, orientato all’esterno, in una parola
democratico.
Proprio perché aperto, orientato all’esterno e democratico, il
partito sarà presente in quei luoghi dove esistono e nascono gruppi
che sono interessati alla trasformazione del sistema
socio-economico, che mirano ad una società che premi l’innovazione,
che riducano le disuguaglianze e rendano la vita più degna di
essere vissuta. Questi gruppi sono molti, non sono predefinibili,
non debbono necessariamente essere cooptati. Con loro un partito di
Sinistra dialoga e interagisce per migliorare l’elaborazione
programmatica e la politica. A loro non offre favori settoriali e
particolaristici, ma rappresentanza politica complessiva.
Una buona occasione per imprimere una svolta al nostro agire -
recuperando anche temi per troppo tempo accantonati o affrontati
superficialmente - è costituita dal movimento No-Global,
recentemente protagonista (o vittima) della terribile vicenda
genovese. Una composita aggregazione di cittadini e forze molto
differenti si è da poco levata. Due opposti atteggiamenti si
incontrano oggi nel nostro partito: da una parte, quello di chi
ostenta insofferenza verso una presunta inefficacia del movimento e,
dall’altra, un opportunista tentativo di fare del movimento un
semplice bacino di consenso. Il partito della Sinistra di governo,
impegnato a fare politica seriamente, si deve relazionare al
movimento in maniera coerente: si sforza di comprendere, dibatte e
quindi propone politiche credibili che sappiano rispondere alla
richiesta di giustizia mondiale. Non possiamo fermarci e sperare
nella “globalizzazione dal volto umano”. Dobbiamo avere il
coraggio di cambiare la nostra prospettiva per avere il coraggio di
mutare le prospettive del mondo.
Le Istituzioni
Un partito è democratico non soltanto quando al suo interno opera
secondo regole e procedure democratiche, ma anche quando crea all’esterno
le condizioni per una partecipazione incisiva dei cittadini, singoli
e organizzati, ai processi decisionali, rendendo questi ultimi il
più possibile trasparenti e accessibili. Fra i peggiori errori dei
DS sta quindi il loro atteggiamento nei confronti della riforma
delle istituzioni, prima subita, poi opportunisticamente accettata e
furbescamente manipolata (gli opportunismi e le manipolazioni degli
altri, alleati e avversari, non costituiscono in ogni modo nessuna
giustificazione accettabile).
Il nostro partito ha assunto nel corso di questi ultimi anni
posizioni e orientamenti diversi, spesso contraddittori, sicuramente
incoerenti. Abbiamo contribuito a disorientare l’elettorato e a
banalizzare una questione che è invece fondamentale: il modello di
governo, la struttura del parlamento e la legge elettorale non sono
materie specialistiche riservate a un’élite di esperti
costituzionalisti. Il loro funzionamento è il cuore
di una democrazia che soddisfi le esigenze dei cittadini.

Allora, poiché un documento congressuale non è
un trattato di diritto pubblico o di scienza politica, ci limitiamo
a dire che tutte le istituzioni della Francia della Quinta
Repubblica funzionano, se non in maniera esemplare, sempre meglio
delle istituzioni italiane; che rendono praticabile l’alternanza;
che danno più potere agli elettori; che consentono ai governi di
essere tanto efficienti quanto sappiano esserlo e che, persino nella
coabitazione, combinano stabilità governativa con efficacia
decisionale. Quelle istituzioni, e soltanto quelle,
garantiscono l’esistenza di una sinistra plurale che quando si
coalizza vince e quando si frammenta subisce la giusta sconfitta
elettorale. Tutto il resto, come dimostrano quasi vent’anni di
chiacchiere, è mero opportunismo che porta agli scempi di un
federalismo impossibile e di una devolution che merita la
definizione di “sbragata”.
Il Governo
I partiti socialdemocratici governano oggi tre quarti dei paesi e
della popolazione dell’Unione Europea. Quando non governano sono
partiti che contano. Qualche volta sono egemoni. I DS non governano
a livello nazionale, contano poco e non sono affatto egemoni, ma non
possono neanche essere ritenuti fatalisticamente “figli di un dio
minore”. Troppo spesso vengono esibiti dai nostri dirigenti, a
tutti i livelli, atteggiamenti di sufficienza insopportabili anche
in un partito egemone, odiosi in un partito medio-piccolo.
Comunque, l’egemonia a parole non serve più a nessuno. L’egemonia
va riconquistata sul campo con i voti, oltre che con le idee e la
cultura. Preso poi atto che ancora per molto tempo sarà necessario
avere alleati, bisogna indicare su quale programma i Ds li
cercheranno e in che modo andranno prese le decisioni comuni, a
cominciare dalle primarie per la scelta del candidato alla
Presidenza del Consiglio e, nei casi controversi, delle altre
cariche monocratiche.
Questo Ulivo è un prezioso punto di partenza, ma non può essere il
punto di arrivo della trasformazione politica italiana. La forza
dell’Ulivo come coalizione consiste nella sua capacità di mettere
e di tenere insieme culture diverse, culture che non sono destinate
né a fondersi né a scomparire ma che dovrebbero quantomeno
migliorarsi.
La misura del miglioramento si trova nella capacità di produrre
riformismo, inteso come una visione e come un insieme di politiche.
L’Ulivo, quello che ha operato negli ultimi cinque anni, ha
prodotto alcune politiche riformiste ma nessuna reale visione
riformista. Già nel 1996 ci si presentava agli elettori promettendo
un “governo per la legislatura”. Quattro Governi in cinque anni
sono forse il simbolo più evidente della incompletezza del progetto
originario dell’Ulivo: rimpasti di Governo e ritorno a vecchi
stili partitocratici sono stati determinanti nell’allontanare i
cittadini dalla coalizione e dai DS in particolare.
Senza distribuire pregiudizialmente i compiti, tocca anche ai
Democratici di Sinistra impegnarsi a fondo per rilanciare l’Ulivo,
definire le politiche e proporre la visione di un riformismo
contemporaneo. In Italia come altrove, sono riformiste quelle
politiche che garantiscono il massimo di libertà individuale, una
completa protezione e promozione dei diritti umani e consentono,
nello stesso tempo, una riduzione delle disuguaglianze che incidono
sulle possibilità di realizzare il proprio progetto nella vita.
Per Cominciare
Quella che stiamo vivendo non è una semplice campagna congressuale.
Se sapremo applicare anche al nostro interno correttamente e senza
opportunismi e manipolazioni i criteri della libertà, dei diritti e
delle eguaglianze possibili e irrinunciabili, riusciremo a costruire
un programma e un modello di società vicino alle aspirazioni della
maggioranza degli italiani. Il resto verrà fatto da dirigenti e
governanti che con il loro stile politico e con il loro esempio
acquisteranno la fiducia dei cittadini, perché perseguono e
conseguono il potere non per interesse personale, ma per migliorare
la qualità della democrazia e della vita.
Per contattare gli scriventi e sottoscrivere il documento (se
iscritti indicare la sezione, il comune e la provincia): cambiareilpartito@tiscalinet.it
Gianfranco Pasquino, Matteo Costi, Filippo Taddei, Rosanna
Tortorelli, Antonio Travaglini
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